Alla scuola di Mosè nell’aridità del deserto contemporaneo

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A colloquio con Pietro Bovati, predicatore degli esercizi spirituali al Papa, ad Ariccia ·

Incontro personale con Dio nella preghiera, ma anche nella fiducia, fino a trasformarsi addirittura in scontro, pur di arrivare a comprendere che l’amore divino vuole il miglior bene per l’uomo. Parte dalla Scrittura, in particolare dal libro dell’Esodo e dal Vangelo di Matteo, il gesuita Pietro Bovati, segretario della Pontificia commissione biblica, per le meditazioni degli esercizi spirituali quaresimali che si svolgono nella casa Divin Maestro in Ariccia, dal 1° al 6 marzo. Il predicatore — che ha scelto come tema «“Il roveto ardeva per il fuoco” (Esodo 3, 2). L’incontro tra Dio e l’uomo, alla luce del Libro dell’Esodo, del Vangelo di Matteo, della preghiera dei Salmi» — ne spiega alcuni dettagli e le motivazioni in questa intervista all’«Osservatore Romano».

Perché la scelta di questo tema?

Siamo nel tempo di Quaresima, che ha come dimensione fondamentale quella di aiutarci a entrare nelle profondità spirituali dell’ascolto di Dio. Per questo ho impostato le riflessioni sul tema dell’incontro personale con il Signore, che è il principio di ogni riforma di vita, di ogni cambiamento, di ogni trasformazione. Questo cammino ci porta a comprendere il mistero della Pasqua come mistero della nostra salvezza. Penso che sia molto importante concentrarsi su testi che ci aiutino a sentire di nuovo l’importanza della preghiera come incontro personale con Dio, come ascolto di Colui che parla. Interpreto questa esperienza come esperienza profetica. Il profeta è l’uomo che, ascoltando la voce del Signore e sentendo la sua forza di bene, può andare nel mondo portando questa stessa parola, che è di ammonimento, di consolazione, di cammino verso la vita. Ho scelto come traccia il testo dell’Esodo che ci viene offerto anche dalla liturgia per comprendere questo cammino verso la Pasqua. Ho pensato anche di collegare i vari testi, che sono oggetto di preghiera, con dei passi paralleli di Matteo. Questo Vangelo, in un certo senso, riprende la figura di Mosè, mostrando come Gesù Cristo sia il nuovo Mosè, che vive come Mosè portando il popolo verso la Pasqua eterna.

Lei fa riferimento al libro dell’Esodo. Cosa dice questo testo agli uomini del nostro tempo?

Il testo è profetico, cioè non racconta solamente una storia del passato, ma in essa indica la necessità per l’uomo di camminare, di attraversare le prove, di avere fiducia nel Dio che guida. E invita anche ad avere fiducia in coloro che Dio ha stabilito nella storia come suoi uomini, come coloro che indicano come camminare su questa strada. Una via che non è altro che quella dei comandamenti, della Bibbia. È una via che conduce alla vera felicità, cioè alla terra buona dove scorrono latte e miele, che è un’immagine della beatitudine eterna. I testi antichi hanno questa forza profetica per indicare simbolicamente che cosa viviamo oggi nelle nostre traversie, nelle nostre prove, nelle nostre difficoltà. Sempre con la fiducia che Dio ci accompagna, in particolare attraverso coloro che ha stabilito come suoi ministri.

Perché afferma che tutto ebbe inizio dal deserto?

Il deserto è una grande metafora della vita. È il luogo dove si deve fare esperienza di ciò che manca. È il luogo della fede, della fame, degli incontri con nemici pericolosi, delle traversate, dove si sperimenta la notte. È simbolico del senso che noi diamo della vita, come qualcosa di difficile che ci fa paura. Abbiamo però la colonna di fuoco, Mosè che ci indica la strada, i segni della sua presenza. Questo dà a noi il coraggio di continuare a camminare, non solo nella fede in Dio, ma anche nella capacità di operare al servizio dei fratelli. Perché il deserto è il simbolo della vita? Perché la vita è fragile, mentre il cuore aspira a una realtà di beatitudine eterna che ci è promessa se camminiamo, se attraversiamo il deserto.

Per quale motivo abbina lotta e preghiera?

La Scrittura ce lo insegna, fin dalle prime manifestazioni. L’uomo va da Dio chiedendo e volendo. Significativa è la grande immagine di Giacobbe che lotta con un personaggio misterioso, che è un angelo, forse Dio stesso, per ottenere la benedizione. Questa immagine appartiene alla storia biblica e alla nostra. Quando c’è una difficoltà l’uomo va da Dio per cercare di convincerlo, per ottenere qualcosa. È una specie di corpo a corpo, fino a che l’uomo capisce che la vera vittoria è consegnarsi e abbandonarsi al mistero di Dio. Egli ha un amore più grande di quello che l’uomo ha per se stesso. Quindi è un cammino che parte dal voler ottenere quello che si vuole, fino ad arrivare nella preghiera a comprendere che la vera vittoria è capire che Dio vuole il nostro vero bene. Quindi, imparare a lasciar agire il Signore, ad abbandonandosi a Lui come il bambino tra le braccia della madre.

C’è ancora spazio per la presenza di Dio nelle nostre società?

La nostra società è diventata molto difficile sotto questo punto di vista, molto ribelle. Dobbiamo affrontare anche noi questo combattimento e capire cosa si nasconde dietro questa ansia dei beni materiali, questa preoccupazione della vita, che è presente in tutti gli uomini. Dobbiamo cercare di aprire la società a quella consolazione che è la speranza, che è l’andare al di là delle necessità materiali per saziare il cuore di un bene spirituale. Nell’aridità del deserto, che è quella del nostro mondo, il nostro compito è come quello di Mosè, di Cristo. È il compito di nutrire, dare l’acqua per soccorrere le piaghe, andare incontro ai bisogni degli uomini, facendo sentire quell’amore che di fatto è ciò che l’uomo desidera: essere salvato nella sua precarietà.

Come ha accolto la chiamata a predicare gli esercizi spirituali?

In un certo senso ho provato un po’ di imbarazzo, un senso di indegnità, di impreparazione, quasi di sgomento di fronte a un compito che ritengo certamente molto importante. Questa è la caratteristica di chiunque venga chiamato a prestare un servizio nella Chiesa. Non deve presumere di essere chissà chi, ma se viene chiamato, deve solo dire: sono pronto a fare quello che mi è chiesto. Allora, sono entrato nella preghiera e ho chiesto al Signore di aiutarmi ad aiutare delle persone che hanno responsabilità grandissime. Persone che a volte sono loro stesse in difficoltà, perché i bisogni del mondo sono grandi. Ci sono critiche, ostilità, e perciò bisogna aiutarle a vivere di fede a partire da una certa familiarità con la Scrittura: in sintesi, aiutarle a trovare fiducia e consolazione nel loro servizio.

di Nicola Gori