Omelia nella Domenica della Divina Misericordia

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 Stamattina cercheremo di entrare più a fondo nella comprensione della pagina evangelica che abbiamo ascoltato e vorrei soffermarmi su alcuni passaggi che reputo essenziali:

  • Giovanni sottolinea che è La sera di quel giorno, cioè il giorno della risurrezione, quando Maria di Magdala si reca al sepolcro e lo trova vuoto. È sera, quasi come se Giovanni volesse tradurre plasticamente i sentimenti che inabitano il cuore dei discepoli, un cuore colmo di timore. Ancora Giovanni ci fornisce un’indicazione di tempo: è il primo della settimana. È domenica. Letteralmente sarebbe il giorno uno della settimana. Giovanni sta richiamando in modo esplicito il giorno uno della creazione (cf. Gn 1,1ss), ci sta dicendo che ora ha inizio la nuova e definitiva creazione. È l’inizio di un tempo nuovo che Cristo stesso inaugura.
  • Giovanni appunta che le porte erano chiuse per timore dei Giudei. I discepoli stanno dentro perchè hanno paura. La paura è la condizione del discepolo che vive nel mondo perchè il discepolo si sente un estraneo nel mondo, vive nel mondo ma non appartiene al mondo. Il discepolo, proprio per questo, vive emarginato, perseguitato, vive nel rifiuto continuo e violento. Questi discepoli si sentono, inoltre, dei falliti perchè il loro maestro ha fallito. Hanno paura e sono perseguitati. Stanno vivendo la sera, il buio, la tenebra del dubbio, potremmo dire un lungo venerdì santo.
  • Eppure le cose sono destinate a cambiare, infatti improvvisamente irrompe Gesù. Egli compie alcuni gesti e dice alcune cose. Cerchiamo di comprenderli singolarmente:
  1. innanzitutto sta in mezzo a loro, è una presenta rassicurante.
  2. dice per tre volte Pace a voi, che non è semplicemente un saluto (in ebraico solitamente si saluta dicendo Shalom leka), ma un dono che contrasta la paura, che rischiara la sera, il buio, è un dono che li rende capaci di superare lo scandalo della croce e di iniziare una nuova tappa della loro vita, cioè essere testimoni. Qual è, infatti, la reazione al dono della pace? La gioia, la paura è scomparsa.
  3. dopo di ciò Gesù mostra i segni della passione. Quella paura che tenevano nel cuore perchè il loro maestro aveva fallito è contrastata non solo dal dono della pace ma dal fatto che Gesù mostra loro i segni glorificati della passione. È la testimonainza che da quel presunto fallimento Dio Padre ha fatto rifiorire la vita. È la testimonianza che l’amore è più forte della morte.
  4. Gesù si autopresenta come un mandato dal Padre e affida ai suoi discepoli, oramai maturi, un compito: essere anch’essi mandati, testimoni, apostoli. A questa missione Gesù associa un altro dono: lo Spirito Santo. Anche in questo caso Giovanni richiama il libro della Genesi quando Dio per creare l’essere umano soffia nelle sue narici un alito di vita (cf. Gn 2,4ss). Come quell’alito di vita sostiene l’essere umano, lo Spirito sostiene la missione di ogni testimone.
  5. Infine Gesù affida un altro mandato agli apostoli, che non è tanto un potere, ma una capacità e una responsabilità, quella della remissione dei peccati.
  • Finisce così la prima parte del racconto e inizia la seconda con un’annotazione: Tommaso non è presente a tutto quello che finora è accaduto. E qui mi vorrei soffermare maggiormente: spesso il discepolo Tommaso è mal visto perchè mette in dubbio quello che gli dicono i suoi fratelli. Eppure Tommaso è presentato come colui che è chiamato anche Didimo. Didimo in greco vuol dire gemello. Tommaso è il gemello di Gesù. Egli, infatti, è l’unico che, nel momento in cui Gesù sceglie di andare da Lazzaro per ridargli la vita, dice «Andiamo anche noi a morire con lui» (cf. 5 dom. di quaresima). Tommaso è gemello perchè attraverso quell’affermazione sceglie di condividere il cammino del maestro. Nel quarto Vangelo, dunque, Tommaso è il gemello e il dubbioso. Ora, io sfido chiunque a mettersi nei panni di Tommaso e a fare i conti con un fatto razionalmente impossibile: un uomo, Gesù, da morto risorge e compare ai suoi amici. È un assurdo. Tommaso ha ragione nel dubitare. Inoltre se non ci fosse stato Tommaso col suo dubbio, oggi forse non possederemo due elementi fondamentali del vangelo di Giovanni:
  1. la breve ma intensa, chiara e decisa professione di fede di Tommaso: Mio Signore e mio Dio. Compare due volte l’aggettivo possessivo mio. Alcuni hanno fatto notare che questo aggettivo richiama un passo del Cantico dei Cantici in cui è detto così: «Il mio amato è per me e io per lui» (6,3). Questo aggettivo non indica un possesso geloso, ma ciò che ha rubato il cuore, ciò che permette di vivere, indica una realtà cara che dà senso e significato alla vita e rende pieni, completi.
  2. la beatitudine che chiude il vangelo oggi: Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto. Nessuno di noi potrebbe dirsi beato se non ci fosse stato il dubbio di Tommaso. Ed è proprio questa affermazione di Gesù che apre il tempo della testimonianza degli apostoli.

Oggi ritengo che da questo vangelo impariamo diverse cose per la nostra vita spirituale:

  • per un tempo nuovo, – che è questo tempo inaugurato da Cristo risorto, un tempo che noi chiamiamo forte, il tempo pasquale – per questo tempo si esige uno stile di vita nuovo, consequenziale, che abbraccia con nuovo vigore la scelta di vita che abbiamo intrapreso. La mia vita verso dove o cosa è orientata in questo momento storico? Quanto ho perseverato, per usare una parola chiave della prima lettura, nella scelta?
  • da una situazione fallimentare Dio riesce a trarre sempre qualcosa di buono! È questo lo stile del Vangelo e dovrebbe essere lo stile di noi sacerdoti confessori: aiutare il penitente a trovare il bello e il buono nella situazione che sta vivendo.
  • i gesti e le parole di Gesù mostrano la costante cura, attenzione, presenza rassicurante e protezione che egli accorda ai discepoli e a ciascuno di noi. Anche il dono dello Spirito è un altro atto di rassicurazione da parte di Gesù, è un ricordarci che non siamo soli nella missione e nel mondo, ma sempre assistiti dall’alto.
  • rivalutare la figura di Tommaso, magari immedesimandoci nei suoi gesti e nelle sue parole cercando leggere la nostra vita alla luce del suo fare.

Il Signore ci aiuti a progredire sempre verso la sua meta e a corrispondere generosamente al suo progetto per ciascuno di noi.

 

don Daniele Centorbi