Cosa ha rivelato il lockdown? “Un certo analfabetismo spirituale” (Mons. Mario Grech, Segretario generale del Sinodo dei Vescovi)

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“È curioso che molta gente si sia lamentata di non aver potuto ricevere la Comunione e celebrare funerali in chiesa ma non altrettanta si sia preoccupata di riconciliarsi con Dio e con il prossimo” “Analfabetismo spirituale”, “clericalismo”, “fede immatura”.

Il vescovo Mario Grech, nuovo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, è piuttosto critico nei confronti dell’atteggiamento di molti cattolici durante la crisi provocata dal Covid-19, come emerge da una lunga intervista rilasciata a La Civiltà Cattolica pubblicata il 14 ottobre. A suo avviso, la Chiesa deve imparare le lezioni dell’isolamento sfidando i suoi “modelli pastorali” e riabilitando la “Chiesa domestica”.

La vita della Chiesa non è interrotta dai lockdown.

L’ex presidente della Conferenza Episcopale Maltese (dal 2013 al 2016) è stato nominato nell’ottobre 2019 Pro-Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, e poi Segretario a settembre. In questo ruolo, ha ricevuto da Papa Francesco il compito di preparare il Sinodo sulla sinodalità che si terrà nel 2022. “Durante la pandemia è emerso un certo clericalismo, anche attraverso i social media. Abbiamo constatato un grado di esibizionismo e pietismo che ha più a che fare col magico che con l’espressione di una fede matura”, ha affermato il vescovo Grech, osservando che la Chiesa non è sempre stata all’altezza della situazione ed è stata divisa sulla questione dell’impossibilità di accedere ai sacramenti.

“Alcuni hanno detto addirittura che la vita della Chiesa è stata interrotta! E questo è davvero incredibile. Nella situazione che ha evitato la celebrazione dei sacramenti, non ci siamo resi conto del fatto che c’erano altri modi in cui sperimentare Dio”, ha lamentato. “Il fatto che molti sacerdoti e molti laici siano entrati in crisi perché all’improvviso ci siamo ritrovati nella situazione di non poter celebrare l’Eucaristia coram populo è in sé molto significativo”. Andando ancora oltre, ritiene “curioso che molta gente si sia lamentata di non aver potuto ricevere la Comunione e celebrare funerali in chiesa ma non altrettanta si sia preoccupata di riconciliarsi con Dio e con il prossimo, di come ascoltare e celebrare la Parola di Dio e di come condurre una vita di servizio”.

Pur se “fonte e culmine della vita cristiana”, ha ricordato il vescovo Grech, “l’Eucaristia non è l’unica possibilità che ha un cristiano per sperimentare il mistero e incontrare il Signore Gesù”. Al riguardo, ha citato Papa Paolo VI, che ha insegnato come “nell’Eucaristia la presenza di Cristo è ‘reale’, ma non per esclusione, come se le altre non fossero ‘reali’”. A suo avviso, quindi, “preoccupa che qualcuno si senta perso al di fuori dell’Eucaristia o del contesto di adorazione, perché mostra l’ignoranza di altri modi di impegnarsi con il mistero”, “un certo analfabetismo spirituale”, e anche una “prova dell’inadeguatezza dell’attuale pratica pastorale”. Il presule ha quindi espresso la convinzione che sia “molto probabile che nel passato recente la nostra attività pastorale abbia cercato di portare ai sacramenti e non – attraverso di essi – alla vita cristiana”.

“Se dopo la pandemia torneremo agli stessi modelli pastorali sarà un suicidio”.

Seguendo le orme di Papa Francesco, il nuovo Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi crede che la pandemia di coronavirus debba essere riconosciuta come un’opportunità per la Chiesa che offre una possibilità di rinnovamento. “Se dopo la pandemia torneremo agli stessi modelli pastorali che abbiamo messo in pratica fino a questo momento sarà un suicidio”, ha affermato. La crisi ha infatti portato alla riscoperta di “una nuova ecclesiologia, forse perfino a una nuova teologia, e a un nuovo ministero”, ha dichiarato. In primo luogo, questa esperienza ha confermato che il servizio ai malati e ai poveri è un modo efficace per far sì che i cristiani possano vivere la loro fede, “riflettendo una Chiesa presente nel mondo di oggi, e non più una ‘Chiesa da sagrestia’, lontana dalle strade, o che si accontenta di proiettare la sagrestia in strada”.

In secondo luogo, questo periodo di confino ha permesso alle famiglie di cogliere la loro vocazione e di “sviluppare il proprio potenziale”. In questo senso, la crisi dovrebbe portare a “riabilitare la Chiesa domestica e a darle più spazio”. Il fatto di vivere la Chiesa “nelle nostre famiglie” rappresenta, per il vescovo maltese, “la valida premessa della nuova evangelizzazione”. “Se la Chiesa domestica fallisce, la Chiesa non può esistere. Senza Chiesa domestica, la Chiesa non ha futuro!” 

La Chiesa domestica, vittima di clericalismo storico?

L’ex vescovo di Gozo (Malta) crede che questa nozione di Chiesa domestica, pur se sottolineata dal Concilio Vaticano II, sia stata indubbiamente vittima di un clericalismo perverso. A suo avviso, questa “svolta negativa” è da far risalire al concetto della Chiesa domestica risalente al IV secolo, “quando ha avuto luogo la sacralizzazione dei sacerdoti e dei vescovi, a scapito del sacerdozio comune del Battesimo”. Secondo il presule, “con l’aumento dell’istituzionalizzazione della Chiesa, la natura e il carisma della famiglia come Chiesa domestica sono diminuiti”. Alla fine, se “molti non sono ancora convinti” del carisma evangelizzatore della famiglia e della sua “creatività missionaria”, il vescovo Grech è convinto del contrario. Gli sposi sono “in grado di trovare un nuovo linguaggio teologico-catechetico per la proclamazione del Vangelo della famiglia”. E citando Papa Francesco ha aggiunto: “Dio ha affidato alla famiglia non la responsabilità dell’intimità come fine in sé, ma il progetto entusiasmante di rendere il mondo ‘domestico’”.