«DANTE FU PROFETA DI SPERANZA, CANTORE DEL DESIDERIO UMANO, POETA DELLA MISERICORDIA DI DIO. papa Francesco ha scritto la lettera apostolica Candor lucis æternæ

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Sulla figura e sul pensiero dell’Alighieri, a 700 anni dalla morte, papa Francesco ha scritto la lettera apostolica Candor lucis æternæ. «È parte in­tegrante della nostra cultura, ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresen­ta il patrimonio di ideali e di valori che anche oggi la Chiesa e la società civile propongono come base della convivenza umana, in cui possiamo e dobbiamo riconoscerci tutti fratelli».

Cento anni dopo Benedetto XVI anche papa Francesco celebra Dante. E se il suo antico predecessore, con l’enciclica In praeclara summorum, voleva riabilitare e riappropriarsi, in occasione dei seicento anni dalla morte,  di «questo nobile poeta, che Noi non esitiamo a chiamare il più eloquente panegirista e cantore dell’ideale cristiano», per il Pontefice argentino si tratta di unire la propria voce, e quella della Chiesa, a quanti celebrano il genio di un uomo che «molto meglio di tanti altri, ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore».

Firmata il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, ma anticipata già lo scorso ottobre ricevendo in udienza una delegazione ravvenate, la Lettera apostolica Candor lucis æternæ, è divisa in nove paragrafi. Nel primo Francesco ricorda l’atteggiamento die Pontefici nei confronti del poeta toscano partendo proprio dalle parole di Benedetto XV e dal suo interesse perché fosse restaurata l’area di Ravenna dove avvennero le esequie e dove Dante fu sepolto. Attenzione che lo stesso Benedetto XVI spiegava così: «Inoltre (e ciò è più importante) si aggiunge una certa particola­re ragione per cui riteniamo che sia da celebrare il suo solenne anniversario con memore ricono­scenza e con grande concorso di popolo, per il fatto che l’Alighieri è nostro». E poi ancora ricorda Paolo VI che, nel 1965 «fece dono di una croce dorata per arricchire il tempietto ravennate che custodisce il sepolcro di Dante, fino ad allora pri­vo “d’un tale segno di religione e di speranza”». E le sue parole che individuano nel poema dantesco «una fonte di ric­chezze spirituali alla portata di tutti: “Il Poema di Dante è universale: nella sua immensa larghezza, abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende degli uomini, la dottrina sa­cra e quella attinta dal lume della ragione, i dati dell’esperienza personale e le memorie della sto­ria”. Ma soprattutto individuava la finalità intrin­seca all’opera dantesca e particolarmente alla Di­vina Commedia, finalità non sempre chiaramente apprezzata e valutata: “Il fine della Divina Com­media è primariamente pratico e trasformante. Non si propone solo di essere poeticamente bel­la e moralmente buona, ma in grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla mise­ria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’inferno a quella beatificante del paradiso”».

Nei punti successivi papa Francesco passa in rassegna la vita di Dante Alighieri come «paradigma della vita umana».  «L’opera di Dante», scrive, «è parte in­tegrante della nostra cultura, ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresen­ta il patrimonio di ideali e di valori che anche oggi la Chiesa e la società civile propongono come base della convivenza umana, in cui possiamo e dobbiamo riconoscerci tutti fratelli». E ancora il Papa, nei paragrafi successivi, passa in rassegna la sua missione come «profeta di speranza», come «cantore del desiderio umano», come «poeta  della misericordia di Dio, che sempre perdona e accoglie come dimostra anche il collocamento dell’imperatore pagano Traiano nel Paradiso, e della libertà umana».

E in cammino della libertà, si legge nel punto 6 dedicato all’immagine dell’uomo nella visione di Dio, «non porta con sé, come forse si potrebbe immaginare, una ridu­zione dell’umano nella sua concretezza, non aliena la persona da sé stessa, non annulla o tra­lascia ciò che ne ha costituito l’esistenza storica». Nel Paradiso di vedono i beati nella loro corporeità e persino nell’incontro finale con la Trinità, compare un volto umano, «quello di Cristo, della Parola eterna fatta carne nel seno di Maria».

E non è un caso che la Lettera sia firmata proprio nel giorno in cui la Chiesa ricorda l’annunciazione. «Il mistero dell’Incarnazione, che oggi celebria­mo», scrive Francesco, è infatti, «il vero centro ispiratore e il nucleo essenzia­le di tutto il poema. In esso si realizza quello che i Padri della Chiesa chiamavano “divinizzazione”, l’admirabile commercium, il prodigioso scambio per cui, mentre Dio entra nella nostra storia facendo­si carne, l’essere umano, con la sua carne, può en­trare nella realtà divina, simboleggiata dalla rosa dei beati. L’umanità, nella sua concretezza, con i gesti e le parole quotidiane, con la sua intelligen­za e i suoi affetti, con il corpo e le emozioni, è assunta in Dio, nel quale trova la felicità vera e la realizzazione piena e ultima, meta di tutto il suo cammino».

E celebrando il mistero dell’Incarnazione no si può che parlare di Maria, una delle tre donne della Commedia insieme con Beatrice e Lucia. «Nell’opera di Dante», spiega il Pontefice, «troviamo un bel trattato di mariologia: con accen­ti lirici altissimi, particolarmente nella preghiera pronunciata da San Bernardo, egli sintetizza tutta la riflessione teologica su Maria e sulla sua parte­cipazione al mistero di Dio». Il Papa sottolinea l’importanza della presenza femminile. Non ci si può salvare da soli e Dante, nel suo percorso, è accompagnato da Virgilio che lo incita a proseguire affidandosi a «Maria, la Madre di Dio, figura della carità; Beatrice, sim­bolo di speranza; Santa Lucia, immagine della fede».

E fra i tanti santi di cui il poeta parla nella sua opera, il Papa si sofferma sulla figura di Francesco d’Assisi «illustrata nel Canto XI del Paradiso, dove si parla degli spiriti sapienti. C’è una profonda sintonia tra San France­sco e Dante: il primo, insieme ai suoi, uscì dal chiostro, andò tra la gente, per le vie di borghi e città, predicando al popolo, fermandosi nelle case; il secondo fece la scelta, incomprensibile all’epoca, di usare per il grande poema dell’aldilà la lingua di tutti e popolando il suo racconto di personaggi noti e meno noti, ma del tutto uguali in dignità ai potenti della terra. Un altro tratto accomuna i due personaggi: l’apertura alla bel­lezza e al valore del mondo creaturale, specchio e “vestigio” del suo Creatore».

E, infine, l’ultimo paragrafo dedicato a come «accogliere la testimonianza di Dante Alighieri» e la sua ricchezza.  «L’opera del Sommo Poeta», conclude il Pontefice, «suscita anche alcune provocazioni per i nostri giorni. Cosa può comunicare a noi, nel nostro tempo? Ha ancora qualcosa da dirci, da offrirci? Il suo messaggio ha un’attualità, una qualche funzione da svolgere anche per noi? Ci può ancora interpellare? Dante – proviamo a farci interpreti della sua voce – non ci chiede, oggi, di essere semplice­mente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità».