I vescovi nel cammino sinodale: da geografi ad esploratori (Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo).

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Il cammino sinodale «al quale siamo tutti chiamati per essere entusiasmati dal fuoco dello Spirito» (Newsletter Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi, n. 11, 23 aprile 2022) deve essere conosciuto. Accompagnarlo con le nostre preghiere quotidiane è importante. A livello comunitario siamo invitati a creare la «consuetudine d’amore» di pregare nel primo lunedì di ogni mese in tutte le famiglie, nelle parrocchie, nelle diocesi, nelle comunità religiose, negli ospedali, nei luoghi di lavoro e dovunque sia possibile.

C’è bisogno di un cambio antropologico profondo che i pastori devono favorire con bontà e perseveranza: «pregare per il Sinodo significa richiedere il dono del discernimento, la pazienza di accettare la lentezza di chi cammina con più fatica, la conversione del cuore che apre al vero ascolto, il coraggio di fare il primo passo verso chi ci sta più lontano, l’umiltà di chiedere perdono per le ferite che abbiamo inferto nel nostro cammino» (Newsletter Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi, n. 11, 23 aprile 2022).

Il ministero episcopale, che si declina nelle tre funzioni di insegnamento, santificazione e governo (Lumen gentium 25-27), come espressione della missione del Signore nel suo popolo, oggi è chiamato a discernere ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa, ascoltando il Popolo di Dio.

Vorremmo che tutti i nostri vescovi avessero già maturato una chiara identità sinodale, senza concedere l’attenuante che questo è un cammino reale che si scopre passo dopo passo, «si fa la strada nell’andare» come direbbe il poeta Antonio Machado («se hace camino al andar»). È un viaggio che si racconta intrecciando le storie quotidiane di tutti nella dimensione locale. Come direbbe il Piccolo Principe, i nostri vescovi non possono essere più soltanto dei geografi statici, immersi nei loro grandi registri, che ascoltano i resoconti dei viaggiatori, e segnano sulle carte le montagne, i fiumi e gli oceani delle loro diocesi. Insieme al popolo di Dio loro affidato, sono esploratori, scopritori di nuove esperienze e di sentieri aperti nella vita quotidiana per poter seguire con umiltà più da vicino Gesù, essere capaci di uscire dagli schemi con creatività per aiutare e guidare all’incontro con il Signore.

In questa fase di cambiamento non ci dobbiamo meravigliare delle numerose osservazioni che da parte dei vescovi giungono alla Segreteria generale del Sinodo, nel timore che la Chiesa sinodale possa sostituire quella gerarchica e che il Popolo di Dio rimpiazzi il magistero, nella contrapposizione ideologica tra «carisma» e «potere». Non un cammino dall’alto, né esclusivamente dal basso. Un cammino insieme nel rispetto dei ruoli. Perciò abbiamo bisogno di pregare molto affinché lo Spirito Santo realizzi l’apertura all’ascolto: «Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo» (Per una Chiesa sinodale. Comunione, preparazione, missione, 15) … tutti in cammino.

Il secondo momento sinodale è quello della collegialità: il discernimento dei pastori riuniti in assemblea, «ai quali si chiede di ascoltare ciò che lo Spirito ha suscitato nelle Chiese loro affidate». Nel primo lunedì mensile sia ora più forte la preghiera per i vescovi affinché, come spesso ha sottolineato Papa Francesco, siano pastori con l’odore delle pecore.

Sono molto belle le suggestioni che mostrano e spiegano attraverso l’immagine del telaio gli intrecci del percorso sinodale. Le parole usate sono: riallacciare, ricucire, ritessere le relazioni. Papa Francesco in un bel libro, curato da Andrea Monda, intitolato «La tessitura del mondo», usa questa immagine per indicare che il mondo è una tessitura a mano messa a dura prova, e che ha bisogno di essere rammendata con un lavoro artigianale con i fili «della speranza, della gioia, della misericordia». La tessitura a mano è un lavoro della comunità, che stimola la relazione fra le persone e la creatività, dove è necessaria la collaborazione degli altri e favorisce l’inclusione.

Oggi nel cambio epocale, nelle città e nelle periferie esistenziali, le Chiese locali stanno sperimentando di non avere un filato, ma grovigli fatti da fili spinati di sofferenze, scarto, violenza, pandemia e guerra; e anche di un benessere vissuto con egoismo, nell’apatia e nell’indifferenza agli altri. Se c’è stata vera esperienza sinodale con il popolo di Dio, i nostri vescovi andranno al momento collegiale con le mani ferite, consapevoli che prima di mettere mano al telaio c’è bisogno di faticare all’arcolaio, per dipanare quei garbugli di dolore e trasformarli in gomitoli di fili molto forti, di «funi indistruttibili» che realizzano il tessuto che collega tutto e tutti: riscoprire le alleanze volute da Dio, l’anima delle narrazioni del rapporto fra Dio e noi uomini, e degli uomini fra loro e con il creato.

Nel tessere c’è un «nodo d’oro» da non trascurare: «la comunità coniugale-famigliare dell’uomo e della donna è la grammatica generativa, il “nodo d’oro”, potremmo dire. La fede la attinge dalla sapienza della creazione di Dio: che ha affidato alla famiglia non la cura di un’intimità fine a sé stessa, bensì l’emozionante progetto di rendere “domestico” il mondo. Proprio la famiglia è all’inizio, alla base di questa cultura mondiale che ci salva; ci salva da tanti, tanti attacchi, tante distruzioni, da tante colonizzazioni, come quella del denaro o delle ideologie che minacciano tanto il mondo» (Francesco, Udienza generale, 16 settembre 2015).