Il nuovo arcivescovo di Napoli. Battaglia: Chiesa e Stato schierati contro la camorra

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Il nuovo arcivescovo di Napoli: recuperare credibilità coi giovani per liberarli da malavita. Sacerdoti, sentite l’urgenza di sporcarvi le mani con le fatiche della gente. Gli auguri a Sepe e Gattuso.
L’appuntamento è nell’unico momento di pausa di una giornata lunghissima. Don Mimmo ha appena concluso un pellegrinaggio silenzioso e riservato nella Napoli dei dimenticati, è la sua “preparazione” alla celebrazione in Cattedrale. D’altra parte l’ingresso in diocesi cade in un momento di incredibile apprensione della città e del Paese intero: vivere questo momento fingendo che intorno sia tutto normale sarebbe impossibile. «È vero, l’attuale situazione legata alla pandemia ha fatto sì che l’ingresso assumesse un carattere essenziale e sobrio – spiega il nuovo arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia -. Ma al di là delle restrizioni, che pure ci impongono uno stile di comportamento che sia di rispetto per chi soffre, credo che dietro tutto ciò possa rivelarsi un messaggio importante per tutta la Chiesa: la conversione come ritorno all’essenza del Vangelo, alla centralità di Cristo. E perciò, conversione dello sguardo».

Anche la preoccupazione per le condizioni di salute del cardinale Sepe ha dato un tono diverso alla giornata…

Sono molto dispiaciuto per le precarie condizioni del cardinale Sepe, che ho sentito più volte in questi giorni. Ancora una volta a lui va il mio ringraziamento per l’opera svolta in tutti questi anni. Per lui, la preghiera mia e di tutta la Chiesa di Napoli.

Lei è un vescovo “giovane” e Napoli una Chiesa “difficile”. Sono stereotipi o c’è un fondo di verità in queste definizioni?

Spesso, gli stereotipi nascondono aspettative, e le aspettative non permettono di conoscere l’altro per quello che è. Così, spesso, conosciamo Napoli per gli slogan negativi e i luoghi comuni. Dobbiamo riscoprire la complessa ricchezza di Napoli e dei napoletani: la generosità, lo spirito di accoglienza, la creatività e la resilienza. Napoli è una città bellissima, ha talenti per volare ma anche stanchezze che scoraggiano il volo. All’ombra del Vesuvio, con i suoi limiti e le sue possibilità, rappresenta un tesoro per tutto il Meridione italiano. Ritrovo nella gente di Napoli la stessa capacità di resistere della mia gente di Calabria, capacità che si realizza nella lotta quotidiana contro ogni forma di sopruso e di ingiustizia sociale e per questo mi sarà facile sentirmi a casa tra i napoletani.

Non le chiedo se si sente pronto. Le chiedo, però: cosa è pronto a dare a questo territorio ampio ed eterogeneo, ben più ampio del suo capoluogo?

A Catanzaro, da prete, ero chiamato a dare la vita. A Cerreto, da vescovo, chiamato a dare la vita. A Napoli chiamato ancora a dare la vita, alla sequela del Cristo, partendo dagli ultimi per arrivare a tutti.

Nella città e nell’area metropolitana di Napoli pochi sono i “centri” e tante, infinite e tentacolari, le periferie. Lei ha iniziato da lì, e molti si aspettano che nel suo ministero le periferie avranno più attenzione del “salotto buono”. È così?

Non occorre distinguere tra periferie e centro, basta avere la consapevolezza che le periferie devono essere il centro di ogni azione pastorale. Tutte le periferie, quelle territoriali così come quelle che si trovano nel cuore di ogni uomo. Perché è nelle periferie che possiamo cogliere i segni della presenza di Dio e della sua tenerezza. Spero di iniziare dall’Uomo, con tutte le sue fragilità e le sue diverse periferie esistenziali.

Nella crisi pandemica la camorra ha accentuato il ruolo da “para Stato” nei confronti delle fasce deboli. Da dove si riparte, don Mimmo, in questa battaglia?

Nella lotta contro la camorra e contro ogni tipo di mafia, credo siano essenziali due cose: schierarsi ed educare. A tutti i livelli. E la Chiesa è chiamata ad avere un ruolo profetico in questa lotta. Sempre a partire dalle persone. Dalle loro storie e dai loro sogni e bisogni, dai loro sorrisi e dalle loro lacrime, dalle loro voci e dai loro volti, dalle loro domande e dalle loro fatiche. Non abbiamo ricette. La pandemia ha di certo aumentato in modo esponenziale le diseguaglianze e nelle piaghe dell’ingiustizia sociale si annida il virus delle mafie. La camorra ti fa assaporare il gusto della libertà e del facile guadagno, ma in realtà ti intrappola con i suoi tentacoli. L’unica arma che abbiamo consiste nel ritrovare, tutti noi, Chiesa e Stato, la credibilità perduta. Quella credibilità che può dare solo l’impegno concreto per i bisogni delle persone. Partendo da quelli dei giovani e dei ragazzi in difficoltà che, più di altri, rischiano di restare affascinati dal sistema camorristico.

A Cerreto ha voluto con il clero un rapporto franco e diretto. Pensa sia una relazione replicabile anche con i sacerdoti di una “grande diocesi”?

Il rapporto con i sacerdoti per me è sempre stato fondamentale negli anni a Cerreto Sannita. Questo per dare un volto possibile e concreto alla fraternità sacerdotale. Mi sento di consegnare a tutti i sacerdoti l’“urgenza” di sporcarsi le mani, toccando le fatiche della gente, ogni giorno, in ogni angolo della nostra città, organizzando insieme la speranza. Ci vorrà tempo per poter conoscere il numeroso clero della Chiesa di Napoli, fin da ora però mi anima la riconoscenza per la loro vita donata e offerta in questa nostra Chiesa.

A Napoli trova un altro calabrese “tosto”, Rino Gattuso, sebbene viva ora un momento di difficoltà. E una città che fa della squadra di calcio una “malattia”. Le fa problema questa insana passione?

Intanto faccio gli auguri a “Ringhio”, soprattutto per il momento particolare che sta vivendo la squadra. Personalmente non vedo un problema nella malattia per il calcio della città di Napoli. Mi piacerebbe che, con la stessa passione, ci si coinvolgesse tutti, senza più deleghe ma da protagonisti, nell’affrontare i problemi che, quotidianamente, la città e tutto il territorio vive.

Lei arriva a Napoli mentre l’Italia assiste a una crisi politica con i tratti della sfida personale. Anche i cattolici sono strattonati: chi li vuole in campo con Conte, chi con Renzi, chi a sinistra, chi a destra, chi al centro. Dove devono stare i laici, oggi, don Mimmo?

Credo che i cattolici debbano stare dalla parte del Vangelo. Solo così potranno essere testimoni coerenti di una Politica che è vera ricerca del bene comune. Non mi appassiona l’idea di un “partito dei cattolici”, ma resto convinto, come diceva La Pira, che «l’impegno politico è un impegno di umanità e di santità». Attraverso l’impegno per le comunità, e dentro le comunità, i cattolici, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, sono chiamati a lavorare insieme per la giustizia e l’equità, senza farsi tirare per la “giacchetta” o acconsentire a strumentalizzazioni dei valori cristiani. E questa, soprattutto nel nostro Meridione, è una precisa responsabilità di ognuno di noi, insieme alla promozione della coscienza civile e di una cultura della speranza. Non si può rimanere neutrali di fronte alle ingiustizie.