La benedizione delle famiglie? La creatività «batte» il coronavirus

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I primi a porsi il problema erano stati i vicari generali dell’arcidiocesi di Bologna. Già a metà dicembre avevano affrontato il tema della benedizione pasquale delle famiglie che «si presenta più delicata del solito» in un tempo segnato dalla pandemia. E il rimedio suggerito era quello della “prenotazione”, ossia di «portare la benedizione nelle case solo alle persone che la chiedono spontaneamente»: compilando un modulo da consegnare al parroco o riempiendolo sul sito della parrocchia. Poi le raccomandazioni: tutti con la mascherina, i familiari e il sacerdote; tempi ridotti di permanenza nelle abitazioni, magari sostando solo sull’ingresso; stop agli incontri quando si registrano sintomi influenzali. A metà gennaio era stata la volta della Conferenza episcopale toscana: i vescovi avevano analizzato il daffarsi spiegando come «questo gesto pastorale, che pur ha un forte significato per il legame fra il pastore e la sua comunità, non possa essere compiuto quest’anno nella consueta modalità della visita nelle case». E avevano rimandato alle diocesi la scelta di «rinviare» il tutto oppure cercare «modalità nuove che ne permettano l’attuazione in una forma comunitaria che salvaguardi il distanziamento».

Come era avvenuto anche lo scorso anno, l’emergenza sanitaria modifica le “benedizioni”, come vengono popolarmente chiamate, che fanno passare il prete di casa in casa nelle settimane di Quaresima. E costringe i sacerdoti a rivedere «uno dei compiti principali della loro azione pastorale» che è la «cura di visitare le famiglie per recare l’annuncio di pace di Cristo», chiarisce il Benedizionale, cioè il libro che contiene le formule di benedizione per le diverse circostanze. Se oggi la parola d’ordine è sicurezza, che implica il rispetto delle misure anti-Covid, si è scelto di coniugare prudenza e creatività pastorale intorno a una tradizione già contemplata dal Concilio di Trento che rimane un “rito” capace di unire le parrocchie da Nord a Sud dell’Italia.

Le revisioni proposte tengono conto di restrizioni, sensibilità e risorse dei sacerdoti. In Emilia Romagna, ad esempio, la soluzione che prevale è quella della benedizione «solo su richiesta»: non c’è quindi il sacerdote che stila il calendario delle vie da percorrere ed entra nelle porte trovate aperte, ma si ferma se si è fissato un appuntamento. Nell’arcidiocesi di Ferrara- Comacchio le unità pastorali chiariscono che il prete «passerà da chi avrà fatto giungere la propria richiesta» alla parrocchia, persino via web. È una delle opzioni indicate anche dal vescovo di Albenga-Imperia, Guglielmo Borghetti, che ha stilato una sorta di vademecum per le benedizioni «in adeguata sicurezza»: nessuna visita se c’è chi ha una temperatura oltre i 37,5 gradi; sosta in un «ambiente arieggiato oppure sulla soglia»; durata massima di dieci minuti per ciascuna tappa; igienizzazione delle mani da parte del prete durante il tragitto. Tutto ciò per non privare le famiglie di un «dono di grazia», come lo definisce il vescovo.

Un’alternativa è quella di ritirare nelle chiese un’ampollina con l’acqua benedetta da portare a casa, spesso assieme a un sussidio che spiega come compiere in famiglia il gesto di prossimità e accompagnarlo con la preghiera. Ci sono chiese in cui si trovano cesti con le piccole boccette e i kit. Oppure, come avviene nelle parrocchie di Firenze, vengono organizzate in chiesa celebrazioni “ad hoc” per gli abitanti delle varie strade o zone durante le quali viene benedetta l’acqua che entrerà nelle famiglie, viene consegnata la lettera del cardinale arcivescovo Giuseppe Betori e viene presentata la preghiera da fare fra le mura domestiche con l’aspersione «preferibilmente nel giorno di Pasqua».

Una variante, già sperimentata a Milano durante l’Avvento quando nell’arcidiocesi ambrosiana vengono “anticipate” le benedizioni, prevede un breve incontro fra i residenti di uno stesso condominio o di un agglomerato: in un cortile interno o in un largo si danno appuntamento le famiglie per una preghiera comunitaria e per l’aspersione con l’acqua che la parrocchia ha consegnato. Poi ci sono i sacerdoti che compiono il rito “a distanza”, nel senso che passano lungo le strade secondo un’agenda condivisa ma non entrano nelle case. E benedicono tutti coloro che si affacciano alle finestre o sono sul portone. «Sempre nel rispetto del distanziamento fisico», tengono a ribadire.

Non manca chi ha deciso di rinviare le visite. Il vescovo di Chiavari, Alberto Tanasini, avverte che il segno sarà «riproposto quando la situazione sanitaria lo consentirà». E il vescovo di Macerata- Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, Nazzareno Marconi, suggerisce lo slittamento a dopo la solennità della Risurrezione utilizzando «l’acqua benedetta nella notte di Pasqua». Ma raccomanda ai preti di «rendersi vicini alle famiglie» anche con telefonate, chat, social e di andare a trovarle se qualcuna lo chieda. Perché, conclude, «il parroco è amico». Anche e soprattutto in un frangente così complesso.