La Giornata delle Comunicazioni sociali. «Possibile ascoltarsi anche negli spazi virtuali». Parola di don Ravagnani

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Domenica 29 maggio la Giornata delle Comunicazioni sociali. Parla il giovane sacerdote diventato famoso in rete: il rapporto diretto tra perone resta privilegiato, ma anche online si creano relazioni

«Ciò che rende la comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia». L’invito di papa Francesco nel suo Messaggio per la 56ª Giornata delle comunicazioni sociali, che si celebra domenica 29 maggio, è semplice, quanto complesso da mettere in pratica, soprattutto in questa epoca in cui la comunicazione passa attraverso mezzi e strumenti che questo “ascolto” sembrano renderlo difficile.

QUI IL MESSAGGIO “Ascoltare con l’orecchio del cuore”

«Certamente incontrare dal vivo, parlare direttamente con un’altra persona resta la modalità privilegiata per una buona comunicazione, ma anche nel mondo social è possibile mettere in campo questo ascolto» sottolinea don Alberto Ravagnani, classe 1993, sacerdote dal 2019, attualmente coadiutore dell’oratorio di San Michele Arcangelo a Busto Arsizio (provincia di Varese, ma arcidiocesi di Milano), ma soprattutto giovane prete diventato un influencer nel mondo social con i suoi video (iniziati con il lockdown come forma di vicinanza ai suoi ragazzi dell’oratorio) nei quali è capace di affrontare temi della fede parlando ai ragazzi (e non solo).

«Non si può negare che nei social manchi una componente importante della comunicazione: il corpo e il suo movimento – sottolinea don Ravagnani –. Eppure credo che anche in queste piattaforme ci si possa mettere in ascolto dell’altro». E per farlo, aggiunge il sacerdote, «entrando in questi luoghi della comunicazione occorre avere lo stesso atteggiamento che si avrebbe entrando fisicamente in una stanza dove sono riunite delle persone, in un bar, in una sala dell’Oratorio: osservare, guardare, cercare di vedere cosa fanno o dicono gli altri. Insomma respirare l’atmosfera che in quell’ambiente c’è».

Ecco allora la necessità di «ascoltare la musica e i testi delle canzoni che oggi sono seguiti dai nostri ragazzi». Ma anche «vedere gli influencer che seguono sulle varie piattaforme social, per capire a quali messaggi si espongono, ma anche quali sembrano significativi per loro. Ecco un modo concreto per mettersi in ascolto del loro vissuto e delle loro attese». Dunque un ascolto tutt’altro che virtuale, ma appunto «concreto», come chiede il Papa nel suo Messaggio quando ribadisce che “l’ascoltare è il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione”.

«Se mi posso permettere di aggiungere un elemento – dice don Ravagnani –, un buon approccio con questi luoghi della comunicazione dipende molto da noi stessi e dalla nostra capacità di comprenderne le dinamiche per meglio abitare questi luoghi». Compito tutt’altro che semplice visto che sui social lo stile di conversazione sembra più improntato alla velocità, alla scarsa riflessione, all’emotività. «Tutto vero – risponde il sacerdote –, ma resta possibile un approccio diverso. Basta volerlo senza farsi catturare da questi elementi». E qui entra in gioco un altro aspetto sottolineato da papa Francesco nel suo Messaggio: “l’ascolto richiede sempre la virtù della pazienza”.

«Una sottolineatura che condivido pienamente – commenta don Ravagnani –. Ce ne vuole moltissima. Occorre non fermarsi al primo impatto con quello che viene scritto e detto sui social, ma provare ad andare un po’ più nel profondo delle intenzioni espresse. Del resto neppure nel dialogo faccia a faccia le vere intenzioni vengono immediatamente a galla, ma serve procedere nel discorso per arrivare al fondo del problema o della difficoltà che magari la persona che hai davanti cerca di comunicarti. Certo sui social è più complesso, ma non impossibile».

A preoccupare il sacerdote della parrocchia di Busto Arsizio è invece «la pervasività che il modello di comunicazione dei social rischia di avere sulla comunicazione reale, sul nostro modo di relazionarci con gli altri in presenza, dal vivo». Qualche esempio? «Come detto la velocità che non lascia spazio al ragionamento e alla comprensione dell’altro. Ma anche al dare il giusto peso alle parole pronunciate: una volta dette a voce non si possono cancellare come fossero un messaggino di WathsApp, per fare un esempio». E poi le modalità di relazioni con gli altri.

«Nei social – spiega il sacerdote – è facile venir via da una comunicazione. Non rispondi, chiudi la App o spegni il telefonino. Il tutto senza grande fatica e senza assumersi la responsabilità della mancata risposta o della interruzione della conversazione, magari dopo parole pesanti. Tutto questo in una conversazione di persona richiede maggior responsabilità nei propri atti e nelle proprie parole. Anche qui il rischio è che la modalità social venga trasferita nel reale».

Senza sottovalutare gli aspetti critici della comunicazione sui e attraverso i social, don Alberto Ravagnati resta fiducioso sulla possibilità di attivare una vera comunicazione e un buon ascolto anche su queste piattaforme. «Il Messaggio del Papa dà suggerimenti che possono essere applicati anche in questi luoghi della comunicazione. Molto – se non tutto – spetta a noi che vi entriamo e al nostro modo di abitarvi. Anche sui social è possibile ascoltare l’altro se usciamo dal nostro egocentrismo, dalle nostre paturnie, mettendosi in relazione con chi incontriamo, anche se virtualmente».