La missione è un aspetto noto e costitutivo della personalità e attività dell’Apostolo Paolo (di Carlo Bazzi)

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La missione è un aspetto noto e costitutivo della personalità e attività di Paolo. Egli è giustamente considerato il primo e impareggiabile missionario a tutto campo del cristianesimo primitivo e il modello per tutte le generazioni successive. Infatti nessuno è stato così motivato, appassionato ed efficace, come lui fra i discepoli di Gesù. Il tema è stato  molto studiato e analizzato, la produzione a riguardo è immensa.

Pensiamo di fornire solo alcuni spunti dal punto di vista della sua auto-testimonianza, scritta nelle sue Lettere.

1.     La missione nella sua vocazione

La  missione non è stata qualcosa di aggiuntivo o successivo nella vita e nella coscienza dell’apostolo; è stata fin dall’inizio della sua esperienza di discepolo di Cristo, ha raggiunto il livello della sua identità e della sua libertà.

Nella sua identità

Gal. 1,13-17: “13 Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, 14 superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. 15 Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque 16 di rivelare in me il Figlio suo perché  lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, 17 senza andare a Gerusalemme da coloro che erano  apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco”.

In questo testo, Paolo parla di un prima, di un quando, di un dopo. Il prima è la sua esperienza del giudaismo fatta di competizione con gli altri e di sguardo verso il passato (“le tradizioni dei Padri”); il quando è il momento profetico in cui Dio interviene: gli fa conoscere il suo Figlio, lo invia fra le genti; il dopo è il suo spostamento in Arabia e ritorno a Damasco. La missione non c’è nel prima, ma non attende il dopo; essa nasce ed è incastrata nel quando che ha cambiato la sua vita e la sua proiezione nel piano di Dio. La missione esiste dal primo momento della sua identità cristiana, nasce direttamente dalla rivelazione di Dio, è contestuale al suo incontro e conoscenza di Cristo. Di più: rientra nel senso della sua vita, per cui Dio lo ha creato (“fin dal seno di mia madre”), è alla maniera di Geremia e del Servo di JHWH (vedi Ger 1,5 e Is 49,1.5). La sua missione è l’essenziale della sua vita e fa parte del piano eterno di Dio per la salvezza di tutti. Il dopo (l’Arabia, damasco e tutto il movimento che segue) sono una conseguenza di questa vocazione alla sua stessa identità.

Nella sua libertà

1 Cor 9,16-23: “16 Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! 17 Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa;  ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. 18 Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.19 Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: 20 mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge -pur non essendo io sotto la Legge -mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. 21 per coloro che non hanno Legge -pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. 22  Mi sono fatto debole per  i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. 23 Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.”

Paolo sembra qui stretto fra necessità e libertà. In realtà egli manifesta la sua piena libertà a partire dal fondamento della sua identità: agisce con tutta la creatività e il genio della sua libertà al servizio della sua identità di missionario. Egli aderisce e sposa il suo destino, il senso della sua vita e vi contribuisce in modo attivo e creativo. L’apostolo scrive questo brano all’interno della sua risposta ai Corinzi sulla sua indipendenza economica: si guadagna il pane con il lavoro delle sue proprie mani senza dipendere dal sostegno economico di nessuno. La motivazione di questa sua scelta lo porta a passare dl confronto con le idee correnti nella sua comunità al piano originale di Dio su di lui: Dio lo ha fatto missionario per gli altri e il servizio del Vangelo per gli altri nasce dalla grazia e dal piano di Dio; non è valutabile, non è negoziabile, non è in commercio. E’ nato dalla libera iniziativa di Dio, è affidato alla libertà dell’apostolo. Paolo sceglie di adattarsi a tutti per far conoscere l’unico Vangelo di Dio. Non adatta i Vangelo che rimane l’unico e lo stesso, ma adatta liberamente se stesso ai vari destinatari per far loro arrivare l’annuncio della salvezza. Il Vangelo è di Dio ma il compito di portarlo e farlo comprendere è affidato alla responsabilità e alla inventiva dell’apostolo. Senza il marchio di Dio non ci sarebbe la qualità universale, senza la duttilità dell’apostolo non ci sarebbe rispetto delle particolarità.

Paolo è apostolo perché chiamato, perché destinato, perché è Paolo. La sua missione spande l’annuncio del Vangelo di Dio in Gesù Cristo attraverso il servizio, le iniziative e la libertà di Paolo. Non esiste compattezza migliore che mescolare la missione con l’identità e la libertà, far convergere l’iniziativa di Dio e la totalità delle risorse dell’apostolo.

2.     La sua esperienza nel messaggio

Un messaggio dinamico

Rom 5,1-2: <1 Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, 2 mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio>.

Questo brano è sintomatico della dinamica profonda che attraversa l’animo e la vita di Paolo. Esalta la fermezza della fede e la speranza della gloria di Dio, il passato della giustificazione, il presente aperto della speranza: fermo e in cammino. Fermo nel radicamento in Gesù Cristo , in cammino verso la pratica del suo Vangelo e il compimento nella gloria di Dio. Questa è la foto della sua vita e della sua missione: dare un fondamento, costruirvi sopra persone nuove e nuove comunità. Egli prospetta la grandezza delle sue visioni e la concretezza dei suoi insegnamenti, la verità e l’etica, la meta e il percorso da fare. Tre termini, tipicamente paolini, indicano questo sviluppo della vita cristiana:  giustificazione, santificazione, glorificazione. La fede e il Battesimo mettono nella giusta posizione di figli davanti a Dio, che Gesù ha rivelato come Padre, la santificazione trasforma la nostra vita concreta grazie al nostro impegno e fedeltà, la glorificazione compie nella dimensione di Dio il percorso della nostra fede(vedi 1 Cor 6,11).

Non si può comprendere il ricco dinamismo di questa pratica della vita cristiana senza riferirsi alla forza del Vangelo da una parte e all’esperienza che ne ha fatto direttamente Paolo, dall’altra. Egli parla poco e spesso solo indirettamente della vita storica di Gesù, ricorda poco le sue parole e i fatti scritti nei Vangeli. E’ dominato infatti dall’esperienza del Cristo Risorto che si è manifestato a lui sulla strada di Damasco. Quello è il suo riferimento, la sua stessa esperienza è la base del suo messaggio. Egli in parte prescinde e in parte conferma l’annuncio degli altri missionari e apostoli cristiani: dice le stesse cose tradotte nel linguaggio della sua originalità. 

Un messaggio luminoso

2 Cor 4,6: <il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è quello che risplendé nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo>.

Gli Atti degli Apostoli hanno descritto più volte e in vario modo l’apparizione di Cristo, a volte mettendo in evidenza l’esperienza visiva (26,11-18), altre volte quella uditiva (9,4-7; 22,6-11). a Paolo sulla via di Damasco. Egli stesso vi ha accennato varie volte nelle sue Lettere. Nel brano citato l’esperienza visiva diviene un vortice di luce: siamo come riportati al primo giorno della creazione e avvolti dalla luce della visione diretta di Dio. L’atto rivelatore è lo stesso atto creatore della luce: Paolo è all’origine e alla fine del mondo. Il volto di Cristo è il punto luce fra il tempo e l’eternità, l’esperienza fisica dell’apostolo e l’attrazione della pienezza dell’eternità. Non ci può essere più chiarezza e evidenza di questa. Da qui Paolo deriva la sua parressia (2 Cor 4,12 e 7,4), cioè il suo coraggio e la sua franchezza, la sua libertà e la sua perfetta emancipazione da ogni sottomissione e oscurità. Siamo a livelli di mistica e di visione impareggiabili. La Risurrezione è un evento così grande e nuovo che ha valore decisivo, totalizzante, insuperabile: ‘escatologico’, si dice. E’ una tale trasformazione e trasfigurazione della realtà che dà un senso nuovo e inatteso a tutto il mondo e la storia; ha valore e risonanza universale. Tutto ciò è concentrato sul volto di Cristo. Paolo lo ha visto e da lì gli è derivata la spinta a farlo conoscere a tutti, il desiderio bruciante di vederlo tutti insieme per esserne illuminati e trasformati in bellezza per sempre. Egli non racconta ideali o promuove principi; egli segue la forza di un’attrazione che si irradia nel mondo universo.

Il caso più incredibile della fusione fra vita di Paolo e mistero della Pasqua di Gesù è in 2 Cor 12,7-10. Poco prima, come molte altre volte nelle sue Lettere, aveva mescolato le sue sofferenze con la Passione di Cristo ma qui si spinge più oltre: si vanta delle sue debolezze (anche se non riusciamo a capire di che genere propriamente si tratti) perché in esse, come attraverso le sofferenze di Cristo, si manifesta la potenza di Dio. La Croce di Cristo non è per lui un fatto solo del passato: è il suo vanto (Gal 6,14), il suo tema (1 Cor 1,22-24), la sua forza.

3.     La sua strategia nel movimento

Paolo è stato un itinerante inarrestabile. Fanno notizie più le sue soste (oltre due anni a Corinto secondo Atti 19,8.10 e tre anni a Efeso secondo Atti 20,31)che i suoi viaggi. Si calcola che abbia percorso a piedi più di 15mila Km. E’ una emozione intensa percorrere anche oggi un tratto della strada riemersa vicino ad Aleppo per qualche km in cui sembra di vederlo passare rapidamente teso verso sempre nuove frontiere. Ha appartenuto a tre mondi + uno. Il  mondo giudaico, a cui è rimasto sempre fedele pur nell’apertura sempre più grande dei suoi orizzonti; il mondo ellenista, in cui è stato formato e in cui ha predicato e scritto; il mondo romano, che lo ha perseguitato e ucciso ma anche gli ha fornito lo spazio e le infrastrutture necessarie per il suo continuo viaggiare. Ha appartenuto al giovane mondo della famiglia del Messia Gesù, mondo in costruzione a cui Paolo ha dato un contributo decisivo per farlo crescere, diffondere e consolidarsi.

Il suo non è mai stato un viaggiare a casaccio ma seguendo una strategia lucida e appropriata. Di questa strategia alcuni punti sono notevoli:

  • La direzione verso ovest: Paolo ha cominciato verso sud-est, secondo il contesto naturale di Israele, ma poi ha preso decisamente la strada dell’Ovest, aprendo spesso per primo nuovi spazi al Vangelo: Asia Minore, Macedonia, Grecia, Illiria e, via Roma, verso la Spagna. L’ovest è la direzione tipica della sua strategia e lo spazio nuovo del Vangelo.
  • Le lingue: egli ha utilizzato certamente l’aramaico, l’ebraico, il greco e senz’altro anche il latino. Senza di esso non avrebbe potuto parlare a tutti a Roma e tantomeno pensare di avventurarsi oltre, verso l’Atlantico.
  • La sinagoga e la piazza: Paolo profitta della rete di sinagoghe sparse in tutto il mondo ellenistico e oltre e, seguendo il principio “il giudeo prima e poi il greco” (Rom 1,16; 2,9.10;…) partecipa alle riunioni del sabato e annuncia il Vangelo. Poi, anche in funzione del rifiuto dei Giudei, si rivolge ai pagani, dove si riuniscono poche persone (le donne di Filippi in Atti 16,13) oppure in luoghi di pubblica rilevanza (l’areopago ad Atene in Atti 17,17-22 o il tribunale a Corinto in Atti 18,12ss).
  • La casa e la bottega: la casa, quella dei ricchi, era un luogo di associazioni e riunioni nel mondo ellenistico e soprattutto romano; è stato il ganglio di diffusione e coesione del cristianesimo primitivo. Paolo ne dà le prime testimonianze (vedi Atti 16,14-15. 17,5; 18,7; 20,7-12; 21,8-15). Nelle Lettere ricorda varie famiglie che accoglievano le comunità (Rm 16,5 e 1 Cor 16,19 per la casa di Priscilla e Aquila; quella di Stefanas e Cloe a Corinto in 1 Cor 1,16 e 16,15; quella di Ninfa e di Filemone a Colossi in Col 4,15 e in Film 2; quella di Gaio ancora a Corinto in Rm 16,23). Paolo faceva di mestiere il lavoratore di tende (Atti 18,3) e ha colto l’occasione anche del luogo di lavoro per tessere rapporti e fare evangelizzazione. Talora affitta una scuola (Atti 19,9; per cinque ore al giorno, precisa il codice D). Profitta anche del suo carcere e della piccola casa presa in affitto a Roma secondo Atti 28,16.23.30.
  • Le Lettere: riconosciamo oggi sette Lettere autentiche scritte direttamente da Paolo (Rm, 1 e 2 Cor, Gal Fil, Film, 1 Tss) ma anche altre sono state ispirate da lui (soprattutto Col e 2 Tss, meno Ef e le Pastorali). Per queste Paolo è passato alla storia come scrittore e teologo più che come missionario e pastore. In realtà, egli ha inteso il suo scrivere come semplice espansione della sua attività e come atto pastorale. Egli non astrae o disquisisce, insegna, risponde e governa le sue comunità. Le Lettere rientrano più nella fase di consolidamento che di evangelizzazione, eppure testimoniano l’ansia e la strategia dell’apostolo e rimangono un monumento della tempra e del carattere del grande Missionario.

4.     Conclusioni

Da questa breve carrellata sulla dimensione missionaria di Paolo, deduciamo  queste conclusioni:

  1. Anche nel nostro tempo, anche per la missione di oggi abbiamo bisogno di uomini interi. La missione non può divenire una professione che lascia spazi privati e permette una vita a parte. Scaturisce da una esistenza dedicata al Vangelo e agli altri. Ciò non richiede un impegno maggiore bensì una passione migliore. Il missionario incarna l’annuncio, coglie i percorsi di Dio nel mondo, in una apertura disponibile verso tutti. L’integrità è la risorsa della missione, dà profondità all’annuncio.
  2. Paolo ci spinge a elaborare i veri contenuti dell’annuncio. C’è confusione fra tante cose legate alla tradizione cristiana, che arricchiscono ma anche compromettono il Vangelo. Esso non può essere ridotto al rito o allo spazio sacro, non deve praticare la deduzione da principi astratti né mediare fra Dio e noi stessi, quasi che Dio fosse un ingombro inevitabile, né contare sulle risorse della politica. Dio è il Bene. Il Vangelo è tale se crea speranza e unione fra gli uomini.
  3. Abbiamo bisogno di un nuovo areopago dove annunciare e trattare i grandi temi dell’umanità e del nostro tempo. Prima col riqualificare la parola come proveniente dalla profondità ispirata e non asservita o banalizzata. Poi con il dialogo o confronto con le tradizioni, scuole e soprattutto le singole persone, portatrici di una parte della verità della vita e dello Spirito. Infine, abbiamo bisogno di nuove esperienze di liberazione che riavviino non solo il messaggio ma la grandezza delle gesta di Dio, di ieri e di oggi.