L’AVVENTO DI CRISTO: DAL PRESEPE AL PARADISO

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I cristiani riscoprono le tre dimensioni escatologiche.

Nelle messe del tempo di Avvento prevalgono le letture tratte dal profeta Isaia, e quei brani del Vangelo che riferiscono la vita e i discorsi di Giovanni Battista. I due “predicatori dell’Avvento” in modo diverso preannunciano la venuta del Regno di Dio, la presenza del Messia, del Cristo, l’unto di Dio. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha riportato l’attenzione sulla dimensione escatologica dell’Avvento, viva nei primi secoli del cristianesimo, e che si era affievolita nel tempo, a causa della connotazione fortemente penitenziale, oggi abolita, di un periodo dedicato alla preparazione del Natale.

Nel Nuovo Testamento l’annuncio del Regno di Dio occupa il posto principale: il Regno di Dio in mezzo a noi è Gesù Cristo, la vera novità. L’escatologia consiste nelle “realtà definitive”, quelle che attraverso il giudizio finale realizzano il Regno. Per i buoni è il Paradiso insieme a Cristo, alla Madonna e agli angeli nei cieli nuovi e terra nuova; e per i cattivi l’Inferno, dove sono separati insieme ai demoni nelle tenebre.

Sono tre le dimensioni escatologiche connesse tra di loro, un trittico illustrato dall’espressione “Venga il tuo Regno”: l’escatologia presente, Gesù Cristo in mezzo a noi; l’escatologia prossima, avvenimenti di cambiamenti significativi realizzati nel tempo della Chiesa: “questa generazione non passerà prima che tutto questo avvenga” (Mc 13,30), una tensione teologica innestata nella storia; l’escatologia finale, con il giudizio finale e il pieno compimento del Regno di Dio.

La caratteristica che le accomuna è il chiarimento delle posizioni di fronte al Salvatore: chi lo accoglie, chi lo ignora, chi lo avversa. È interiore, e si realizza ovunque. Tutta la terra sarà oggetto di questo chiarimento. Non si riferisce tanto alle azioni peccaminose, che non sono menzionate da Gesù (cfr. Lc 17,20-37) neanche quando fa il paragone con Noè e con gli abitanti di Sodoma, quanto alla mancata accoglienza di Lui come Salvatore, che è la novità nel mondo e al non saperlo riconoscere nei fratelli più piccoli (cfr. Mt 25,31ss).

Impressiona infatti che si parli di azioni della vita normale, dormire, stare in terrazza, comprare, vendere, nelle quali si rimane però rinchiusi senza dare spazio a Cristo. Impressiona che si maledica e si allontani chi non si è preso cura del prossimo “più insignificante” nel quale ha ignorato la presenza del Signore.

Le tre dimensioni escatologiche sono anche accomunate dalla novità assoluta di Cristo che cambia la percezione del tempo: il futuro è entrato nel presente e attira verso di sé. Non ha più tanto valore il passato. La generazione, la discendenza per linea maschile era il percorso per arrivare al momento della venuta di Cristo: si può costruire una genealogia, come fanno i Vangeli. La nuova umanità è inaugurata dal “sì” di una donna: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,17) ed è composta da coloro che “lo hanno accolto … i quali non da sangue né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,12-13). I figli di Dio non sono il frutto del passato, non sono selezionati sulla base delle loro appartenenze mondane, ma prendono vita dal Cristo incarnato, morto e risorto che li attira verso di sé. È la vera liberazione. Non ha più valore la discendenza, ma la fratellanza che proviene direttamente da Dio.

Il momento è favorevole, la tensione teologica nella storia attuale è più intensa. Dal Concilio Vaticano II, che ha riscoperto la dimensione escatologica della Chiesa e dell’umanità, attraverso il magistero dei Papi, risuona l’avvertimento di saper cogliere il cambio epocale, per avanzare verso il Regno di Dio. In questo passaggio significativo proiettato al compimento finale risuona forte la voce di Papa Francesco che ci invita a vedere come le manifestazioni escatologiche si caratterizzano per l’esplosione della cattiveria dei malvagi che esprimono con maggiore chiarezza il loro egoismo; per eventi tragici che mettono alla prova il mondo, guerre e sconvolgimenti del cosmo; ma anche e soprattutto per la grande opportunità di avanzamenti nella qualità della vita degli uomini nel senso del Vangelo e del Regno di Dio: la fratellanza, la libertà, lo sviluppo, la pace, le nuove conoscenze, la cura del creato. Oggi l’Amazzonia ci interroga e si fa portavoce delle maggiori contraddizioni; dove si sfruttano gli uomini e il creato lì emergono prospettive per far fiorire la nuova umanità in Cristo e il mondo rinnovato grazie alla luce del Vangelo.

Il Natale non è una nostalgia di eventi passati e di sentimenti sdolcinati: il presepe non è solo una tradizione delle nostre famiglie. Tutto ha un forte valore escatologico, una luce potente che ci proietta verso il futuro, è l’occasione di alzare lo sguardo verso il Cristo che invita l’umanità ad entrare nel suo Regno. Il Natale è tempo di serio impegno per la pace, per la liberazione, per l’amore, per l’unità. Dobbiamo permettere a quel bambino che riponiamo nella mangiatoia di tirarci fuori dalle comodità e sicurezze false, e affrettare il nostro passo verso una umanità rinnovata in cui ci prendiamo cura degli altri, specialmente dei fratelli poveri e dei sofferenti nel corpo e nell’anima, e di tutto il creato. Non dobbiamo avere paura della complessità, di incontrare gli altri, di presentare con la nostra vita Cristo nelle molteplici relazioni. Il percorso illustrato dalla Bibbia non nasconde la progressiva complessità: dal giardino della creazione, nel libro della Genesi, alla città della Gerusalemme celeste nell’Apocalisse. La grotta di Betlemme è oggi in tutto il mondo, tra le montagne di Greccio, tra le macerie delle bombe in Siria, o dei terremoti in Albania, tra le ferite della foresta amazzonica, o al caldo dei nostri focolari. Permettiamo al Bambinello, là dove siamo, di prenderci per mano e portarci dal presepe al Paradiso, insieme agli altri.

Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo.