Lettera di Mons. Luigi Vari arcivescovo di Gaeta per protendersi pastoralmente in avanti nell’attuale crisi “da abitare”

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Cari confratelli, 

da qualche giorno con l’aiuto del Consiglio presbiterale e il contributo dei direttori degli Uffici Pastorali, abbiamo iniziato una riflessione sul tempo che stiamo vi-vendo. Vi offro queste righe che riportano il contributo di alcuni direttori di uffici e le risposte al questionario inviato alle parrocchie. I contributi integrali sono disponibili per chi li desidera.

Non si tratta altro che di uno strumento di lavoro che può e deve essere discusso, corretto e anche totalmente cambiato. Ancora mi permetto di ricordare un principio fondamentale di ermeneutica, quello per cui le cose non si capiscono quando si stanno vivendo, ma solo dopo. Adesso non si può pretendere di capire perché siamo tutti nella tempesta, adesso è il momento della fede e della speranza e della sapienza.

Ogni contributo deve essere dato, con la consapevolezza che nessuno riesce a prevedere il prossimo cammino. Anche la Chiesa italiana ha sospeso quello pensato per i prossimi cinque anni. Ci dicevamo con un vescovo, che poi ha riportato la frase nel Consiglio permanente della CEI: non sappiamo che succede fra cinque mesi, figurarsi cinque anni!

Intanto un ringraziamento a tutti voi per l’impegno, mi è sembrato giusto venirvi a trovare quasi tutti, anche se ancora non ho potuto incontrare tutti a causa delle limitazioni che dobbiamo rispettare. Tutti gli osservatori da qualunque parte si trovino, sono d’accordo nel dire che niente sarà più come prima, nessuno riuscendo, al di là di un cambiamento radicale di abitudini, a immaginare quello che sarà dopo. Più uno slogan che una reale consapevolezza. Non mancano quelli che desiderano che semplicemente tutto torni a essere come prima.

La crisi, però è di sistema perché il modello di mondo che vivevamo non funziona più e si è come rotto. Quello che dobbiamo pensare che la Chiesa è in questo mondo e deve fare i conti con questo cambiamento.

Nell’assembla dei sacerdoti e poi in quella diocesana, infine nella lettera pastorale si è riflettuto tanto sulla dinamica della missione ed è emerso un dato che è rimbalzato in tante occasioni, quello per cui la missione trova slancio nella necessità di cambiare modelli, prospettive. Leggendo gli Atti degli Apostoli si vedeva come quando la missione sembrava essere finita in un vicolo cieco, essa ripartiva superando frontiere e scoprendo nuovi orizzonti. Orizzonti, questo è stato motivo di riflessione, per niente attesi e nemmeno pensati.

Questo che viviamo è nei fatti il cambiamento d’epoca del quale il papa parla e che è stato evocato nell’assemblea celebrata a Formia nella parrocchia Cuore Immacolato di Maria.

Definire il cambiamento d’epoca era difficile, sembrava un concetto un po’ nebuloso. Adesso siamo nel cambiamento d’epoca, in un giorno e in una notte, dice il Salmo, sono state tagliate relazioni, abitudini, sono stati sospesi diritti fondamentali.

Adesso non dobbiamo più definire il cambiamento d’epoca, dobbiamo solo renderci conto di stare in mezzo a questo cambiamento e, per usare un termine del Convegno di Firenze, abitarlo. Nel confronto sono emerse alcune piste di riflessione che saranno utili per il cammino. Esse riguardano l’annuncio del Vangelo prima di tutto. Il linguaggio digitale di cui un  po’ si diffida, un po’ si demonizza, un po’ si tratta con sufficienza, improvvisamente è diventato prevalente nella nostra relazione con persone che fisicamente non possiamo raggiungere. Abbiamo imparato una lingua nuova, ma per l’importanza che il linguaggio ha abbiamo imparato un modo nuovo di relazione, di esistenza. Usare questa lingua senza perdere il calore dell’incontro, senza renderla tramite sterile di idee, questa è una sfida che ci troviamo davanti, dal momento che siamo entrati in questo territorio in maniera così decisiva. Molte parrocchie si sono prodigate in molti modi a continuare la catechesi, a trasmettere la parola, a mantenere vivi i gruppi, a rispondere alle domande profonde di molti che forse per la prima volta le hanno poste a un sacerdote o alla comunità cristiana.

Sarebbe strano che una volta che uno abbia imparato una lingua, poi la dimentichi e non se ne serva più. Imparare la lingua digitale non è solo impratichirsi di un mezzo, ma essere capaci con quella lingua di trasmettere non solo quello che si pensa, ma quello che si è. Resta chiaro che nessun linguaggio è più potente di quello del corpo, altra grande presenza ritrovata in questo tempo. La nostalgia dei corpi e delle loro espressioni, chiarisce che il Verbo si è fatto carne e senza carne non lo conosciamo, non lo tocchiamo.

È forse il tempo dell’annuncio come rete gettata in mare, della rete gettata con fede nonostante tutto. L’annuncio umile che non fa riferimento alla proclamazione del profeta, ma al lavoro del pescatore. Dai dati raccolti molti si stanno impegnando in questa missione.

Ci rendiamo conto che comunicare è vitale, che il Vangelo è comunicazione e che non teme nessun limite e non ha paura di nessun mezzo. L’unica certezza è che guai a noi se non evangelizzassimo.

In un attimo poi abbiamo preso coscienza che fatto salvo il cammino sacramentale, evangelizzare è molto di più. Ce ne siamo accorti soprattutto quando, come qualcuno ha sottolineato, siamo stati chiamati al ministero della consolazione annunciando il Vangelo a persone che in situazioni diverse e spesso difficili, chiedevano Vangelo.

Ci siamo accorti di quanto prezioso sia il Vangelo, che viene dopo le frasi di circostanza, le generiche esortazioni all’ottimismo e gli slogan che si sono uno dietro l’altro consumati. Il Vangelo annunciato nelle condizioni difficili nelle quali ci troviamo, diventa immediatamente più asciutto e collegato all’esistenza. Il grande impegno profuso nelle parrocchie di attivarsi attraverso i social, condotto da presbiteri, animatori e catechisti, da associazioni e dalla nostra Radio Civita in Blu, ha evidenziato il grande bisogno di prossimità, una prossimità di cui avere cura e vederla realizzarsi in pieno quando potremo ritrovarci fisicamente insieme.

Si è così svelato il senso dell’icona di Emmaus scelta per la lettera pastorale: stare accanto. Io penso, al di la di alcune riflessioni che misurano il peso – politico e mediatico – che la Chiesa ha avuto in questa pandemia, la gente ci ha sentito vicini. La nostra fede di cristiani ci ha spinto naturalmente a dare una mano a chi a causa dell’epidemia si è trovato in condizioni di difficoltà e a chi già fragile, ha visto aggravarsi la sua condizione.

Per la carità, il primo obiettivo, da subito, è stato quello di non chiudere i centri Caritas. Una difficoltà è venuta dalla età avanzata di molti di quelli che nelle parrocchie curano la carità. Ci rendiamo conto che nel prossimo futuro la consapevolezza che la carità è di tutti e che non funziona la delega, deve essere un obiettivo principale dei nostri cammini formativi e delle nostre scelte organizzative. Ricordiamo che la Caritas ha prevalente funzione pedagogica, non può limitarsi al solo intervento di beni primari, ma educare tutta la comunità alla solidarietà e a un rinnovato stile di vita comunitario sobrio e solidale, capace di prendere coscienza delle radici delle diverse povertà, materiali e spirituali e saper sensibilizzare e dare il proprio contributo non solo per tamponare situazioni, ma anche per aiutare a trovare soluzioni.

In questo senso è fonte di grande consolazione che molti giovani non direttamente impegnati nella vita delle parrocchie, chiamati a dare una mano, si sono messi a disposizione, alcuni di loro stessa iniziativa. Altri hanno promosso iniziative in collaborazione con la Caritas diocesana come quella del pane di san Rocco che ha visto protagonisti alcuni giovani di AC di parrocchie del centro storico di Formia.

Il futuro della carità passa attraverso il coinvolgimento dei giovani e di tutti e richiede da parte nostra la libertà per ripensare i nuovi operatori della carità, coinvolgendoci tutti, diocesi e parrocchie in un lavoro di formazione e di ricerca di alleanze al servizio dei più poveri con quanti hanno mostrato sensibilità verso queste tematiche, ovunque essi si trovino.

In questo tempo abbiamo visto le istituzioni pubbliche copiare le Caritas parrocchiali nella distribuzione dei viveri, forse è tempo che noi iniziamo altri percorsi che affrontando il tema delle radici della povertà, ponga in essere sempre più opere segno, percorsi di riscatto così come è stato per i progetti Cariterre e OrA, tipi di proposte che spero nel futuro troveranno maggiore accoglienza e partecipazione da parte delle parrocchie.

Abbiamo poi riscontrato come molti comuni non avevano un database che consentisse di intervenire velocemente sulle famiglie in difficoltà; la Caritas dispone di questa rete e dove essa è stata presa in considerazione ha potuto immediatamente dare indicazioni.

Ciò ci fa riflettere sul rapporto con le Istituzioni e le varie associazioni solidaristiche presenti sul territorio e come coordinarsi in forma continuata per il servizio alle persone.

Una collaborazione significativa in questo tempo è data nell’accoglienza alla protezione civile e all’esercito nel monastero di san Magno a Fondi, si è data disponibilità a ospitare, come di fatto avviene, personale sanitario dell’ospedale di Formia, si è aderito alla colletta per acquistare respiratori e altri presidi sempre in favore dell’ospedale di Formia. Sono continuate le accoglienze anche presso il centro Pallotti e la parrocchia Cuore Immacolato.

Abbiamo constatato come a esperienze di piena collaborazione se ne accompagnano altre non pienamente soddisfacenti, bisognerà lavorare per implementare sempre meglio la rete territoriale con le pubbliche amministrazioni soprattutto in previsione dell’ondata di povertà che avremo avanti e nelle problematiche ad esse connesse come ludopatia e usura.

I tre centri Caritas, quello di Formia, di Gaeta e di Fondi hanno continuato a svolgere il loro servizio e le persone coinvolte si sono rivelate generose. Molte parrocchie, quasi tutte sono state e sono protagoniste di iniziative di accoglienza che saranno elencate e descritte in uno strumento che serva a tutti per trarre indicazioni e percorsi, quelli che si giudicherà utili.

Andrà anche rafforzata la rete fra le parrocchie e fra esse e la Caritas diocesana, non per amore di uniformità, ma per una maggiore incisività, uno degli strumenti per rafforzare la re- te sarà l’adesione da parte di tutte le parrocchie al progetto OSPOWEB.

Aver sperimentato che in qualche situazione le amministrazioni pubbliche abbiano ignorato la Caritas fa pensare che l’emergenza non abbia sempre favorito un modo alto per intendere il servizio al bene di tutti.

L’impegno per il territorio, altro capitolo della nostra missione non sembra più una dichiarazione di intenti, ma è una necessità che va a coinvolgere tutta la comunità, diocesana e parrocchiali, senza delega. L’animazione della comunità, quale soggetto di carità, richiede che all’interno stesso della Chiesa diocesana e delle parrocchie ci sia rete delle diverse realtà ecclesiali e servizi pastorali.

La vita liturgica si è trovata a vivere una dimensione tutta particolare, e proprio in un tempo ancor più particolare, la celebrazione della Pasqua. Ciò nondimeno dobbiamo registrare che la Celebrazione Eucaristica ha raggiunto molte più persone di quanto normalmente accade; certo per natura sua non è surrogabile, tanto che si parla di digiuno. Non solo la mancanza del pane eucaristico, ma la mancanza dell’incontro, della festa. È un dolore anche la mancanza dei sacramenti del Battesimo, della Confermazione, i disagi dei ragazzi che han- no dovuto rimandare il loro matrimonio, non sapendo alcuni che nel frattempo hanno perso il lavoro, se arriverà mai un’altra data certa; non si può dimenticare il dolore provocato dalla proibizione dei funerali e dalla attuale difficile celebrazione delle esequie.

In fondo ci siamo accorti che la liturgia ha bisogno di vita e celebra la vita, e la sospensione della vita di tutti per un tempo che comunque finirà, ha sospeso anche le celebrazioni.

Da un lato il moltiplicarsi delle celebrazioni trasmesse via web, con l’apprezzamento dei fedeli, ha evidenziato la ricerca di fede cui sostenersi in questo tempo, e i cuori delle persone sono stati profondamente scossi da momenti con forte carica simbolica, come la preghiera del Papa nella deserta piazza San Pietro, dall’altro bisognerà presto giungere al radunarsi dell’assemblea.

Come ha ricordato il Papa in una delle omelie nella Messa quotidiana celebrata a Santa Marta, la Messa via social è per il tempo in cui “si attraversa il tunnel”. Il desiderio di stare accanto che ha mosso l’impegno di trasmettere le celebrazioni, dovrà essere lo spirito di prossimità con cui vivere le nostre liturgie man mano che riporteremo la celebrazione nel suo luogo naturale: l’assemblea eucaristica.

Ci ritroveremo rinnovati e con una nuova vitalità attorno alla mensa della Cena del Signore. Torniamo a dire ai nostri fedeli che l’Eucaristia si celebra, magari offrendo loro una rinnovata catechesi liturgica e aprendo la liturgia alla vita. Il ritorno in chiesa sia avvertito come ritorno nella casa comune, dove ciascuno accoglie l’altro. Teniamo presente il pericolo che l’esperienza attuale sdogani di nuovo un atteggiamento più da spettatori che da partecipanti in piena consapevolezza alle celebrazioni liturgiche.

Il disagio che si sente non è solo per la mancanza delle celebrazioni di messe, ma per tutto il resto; un disagio comune a tutti, che condividiamo con tutti.

Paradossalmente potrebbe essere anche ottenuto il permesso di celebrare a porte aperte, ma non sarebbe risolta la difficoltà.

Alla fine tutti stanno rispettando con responsabilità le indicazioni e non deve scandalizzare la discussione e il confronto su temi tanto sensibili.

In ogni caso avendo toccato con mano quanto la liturgia e la vita siano così collegate, le nostre celebrazioni quando riprenderanno saranno sicuramente e naturalmente celebrazioni della vita.

Anche le devozioni a Maria e ai santi che sono care a molte nostre comunità, sono state vissute come occasione non per chiedere miracoli, quanto piuttosto per una preghiera che aiutasse a trovare il filo degli eventi e per chiedere luce per quanti portano in questo momento la responsabilità della ricerca e del governo, oltre che per i pastori del popolo cristiano.

Una preghiera per riuscire a stare da credenti in questo tempo. Il Dio in cui noi crediamo,  è quello che mette in cammino il popolo nel deserto e non quello che risolve in un attimo i problemi.

✠ Luigi Vari  Arcivescovo di Gaeta