MONSIGNOR MILANI: «UN COVID MANAGER, FEDELI DISTANZIATI E MESSE MOLTIPLICATE. COSÌ HO MESSO IN SICUREZZA LE MIE CHIESE»

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Sulla sicurezza a Messa parla il prevosto di Lecco monsignor Davide Milani: «Sicurezza e spiritualità devono andare di pari passo, la pandemia deve rinforzare il senso di comunità. Aiutiamo la gente a continuare a vivere»

A Lecco monsignor Davide Milani gestisce tre parrocchie e un santuario con quasi 11mila fedeli, anche se il bacino è molto più ampio perché la Basilica di San Nicolò attrae fedeli da tutto il territorio. Ecco allora che da subito con l’esplosione della pandemia «abbiamo maturato competenze per gestire l’accessibilità alle nostre chiese perché si potesse riaprire appena possibile». Milani ha le idee molto chiare, però, sul tema e ci tiene a sottolinearlo: «La sicurezza dei fedeli e la possibilità di vivere l’esperienza spirituale in presenza devono andare di pari passo. Ma a comandare è l’esperienza spirituale (che è il fine), il mezzo è la sicurezza».
Come raggiungere l’obiettivo? «Trovando delle competenze: abbiamo un Covid manager che coordina la sicurezza, 100 volontari che sanificano la Chiesa e distanziano i fedeli ormai diventati un patrimonio per la comunità. Le mascherine sono d’obbligo, ovviamente, ma la gente si è educata a indossarle e lo fa. Ci sentiamo sicuri. Infine la basilica, che ospita ben più di 1000 persone, adesso ne accoglie al massimo 200. Oltre a essere una chiesa molto ampia e ariosa e ad aver deciso d’inverno di tenere porte e finestre aperte pur di garantire il ricircolo dell’aria, ma la gente grazie a Dio è venuta lo stesso».

Meno posti e più messe quindi: «Le persone hanno accettato tanti sconvolgimenti; la domenica in Basilica celebriamo cinque messe. Tanti che non sono della nostra parrocchia salutando ci dicono “Veniamo qui perché ci sentiamo sicuri”. Abbiamo fatto molta educazione per far capire la gravità della situazione e farla affrontare. Ci fidiamo delle regole, ma andiamo oltre; le persone hanno imparato la corresponsabilità, hanno vissuto l’esperienza del servizio (i volontari); la qualità delle celebrazioni seppur penalizzata dal minor numero di chierichetti o di persone del coro è stata valorizzata dall’accoglienza che è stato il vero valore aggiunto. Accompagnando i fedeli al loro posto, verificando che tutti avessero i dispositivi di protezione: sono gesti forzati che nel tempo sono diventati spontanei. Anche così facendo realizzi la comunità».

E la gente come ha reagito? «Ha accettato in nome di un bene più grande. E noi come tante altre realtà abbiamo contribuito alla possibilità per le persone di continuare a vivere. Certo, poi, ci mancano alcuni gesti di comunità (come il mangiare insieme per esempio), ma abbiamo creato altri appuntamenti: un cineforum all’aperto con 200 persone per sera. La voglia di esserci e farlo ha vinto su tutte le paure».

Perché questo è l’altro grande tema che sta a cuore di Milani: «La Chiesa deve annunciare la speranza che viene dal Signore in maniera comunitaria, punto. La sicurezza deve essere previa. Lo stesso vale per la mascherina: la indossiamo per non ammalarci, ma non può essere l’obiettivo, il fine. La mascherina resta lo strumento per vivere bene. Dobbiamo salvare la vita, vivendola e agendola. Uscendo dalla fobia di non ammalarsi. La salute non deve diventare un idolo; è uno strumento per la salvezza. Sennò cosa fai se sei sano ma non sai per cosa vivi?».

Rispetto all’assenza di Green pass per messe e processioni, invece, taglia corto: «Nessuno di chi viene in Chiesa si sente privilegiato. Il sentimento unanime rispetto al vaccino è che è una scelta di responsabilità ed è un tema che parte anche della predicazione. La cura dell’altro: ecco noi abbiamo un pulpito da cui parlarne e la gente ci ascolta».