Preti uccisi nel modenese dai partigiani comunisti: ricordo del vescovo Castellucci

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Furono decine i sacerdoti che vennero trucidati nel modenese dopo essere stati prelevati con la forza di notte nelle parrocchie, negli anni 1945-1946-1947

C’era anche il vescovo di Modena monsignor Castellucci alla apertura qualche giorno fa a Pavullo del processo di Beatificazione di don Luigi Lenzini, il parroco di Crocette di Pavullo, selvaggiamente picchiato e poi ucciso a colpi di pistola il 21 luglio del 1945 da partigiani comunisti dopo essere stato prelevato nottetempo nella sua parrocchia. Il suo corpo venne trovato solo qualche giorno dopo semisepolto in una vigna. Fu Papa Francesco a firmare nell’ottobre scorso il decreto di apertura dell’iter per il riconoscimento del martirio del Servo di Dio don Lenzini e, intervenendo alla fiaccolata notturna a Crocette, sul cippo che ricorda l’assassinio del sacerdote, il vescovo Castellucci ha detto signficativamente che “don Lenzini fu un prete coraggioso, fu un vincitore, mentre coloro che 76 anni fa sembravano i vincitori, oggi non li ricorda più nessuno”.
La Chiesa modenese ha ricordato negli ultimi tempi altri sacerdoti vittime della violenza partigiana, delitti compiuti nel nome della Resistenza, spesso avvenuti a liberazione avvenuta e a guerra finita, dunque non più ascrivibili alla lotta partigiana, rimasti per lo più impuniti in ragione della cappa di omertà scesa su questi fatti criminosi che impedì denunce o testimonianze scomode e compromettenti. Non aiutando cosi la giustizia degli uomini a far pagare le colpe ai responsabili per cui è rimasta solo la memoria per ricordare e fare conoscere alle giovani generazioni gli atti di crudeltà che vennero compiuti nel modenese in nome di una ideologia politica.Tra questi delitti il vescovo Castellucci ha ricordato anche quello del giovane seminarista di appena 14 anni, Rolando Rivi, ucciso pure lui sull’Appennino da un gruppo di partigiani rimasti sconosciuti dalla omertà imposta dai dirigenti del Pci, alla cui memoria il Comune di Pavullo gli ha dedicato ora un parco.

Ma, come ha scritto Roberto Beretta, giornalista di ‘Avvenire’, nel suo libro “Storia di preti uccisi dai partigiani”, furono decine i sacerdoti che vennero trucidati nel modenese dopo essere stati prelevati con la forza di notte nelle parrocchie, negli anni 1945-1946-1947, quasi tutti dopo il 25 aprile del 1945, dunque a liberazione avvenuta, in una “carneficina di innocenti, colpevoli solamente di volere mantenere fede alla loro religione”, come scrisse Ermanno Gorrieri, il capo delle brigate partigiane cattoliche Italia, nel suo famoso libro “La Repubblica di Montefiorino”, nel quale ebbe parole durissime su certi comportamenti dei partigiani comunisti delle formazioni Garibaldi “che approfittavano della lotta antifascista per compiere delitti verso la popolazione civile e verso i sacerdoti che nulla avevano a che vedere col regime fascista. Perchè pensavano già – scrisse – alla rivoluzione proletaria come era avvenuto in Unione Sovietica e i preti venivano considerati avversari politici di cui era meglio liberarsi”.
Tra i delitti di sacerdoti ricordati nei due libri, sia di Gorrieri che di Beretta, troviamo quelli di don Ernesto Talè, parroco di una frazione di Guiglia, avvenuto nel dicembre del 1944, finito a colpi di zappa in testa; di don Giuseppe Preci, parroco di Moltaldo di Montese, ucciso a colpi di pistola la sera del maggio del 1945, un mese dopo la liberazione, mentre era nella sua chiesa. Poi ancora quello di don Giovanni Guicciardi, parroco di Lama Mocogno, ucciso alle spalle nella notte del 10 giugno del 1945, dopo averlo derubato dei suoi averi e quello di don Giuseppe Tarozzi, parroco di Riolo di Castelfranco, prelavato pure lui in piena notte nel maggio del 1945 da un gruppo di partigianie e fatto sparire perchè il suo corpo non fu mai ritrovato in ragione appunto dello stato omertoso e del silenzio complice che regnava su questi eccidi. Una voce circolata negli anni successivi dava come probabile la scomparsa del sacerdote o in un pozzo nero che esisteva dietro le stalle dei bovini o dato in pasto ai maiali negli stallini delle case dei contadini.

Ma anche il territorio carpigiano conobbe la violenza della ideologia comunista con l’assassinio del parroco di Fossoli e cappellano del campo di concentramento don Francesco Venturelli, pure lui fatto uscire con uno stratagemma la notte del 15 gennaio del 1946 (dunque un anno dopo la liberazione e la fine della guerra) dalla sua abitazione e ucciso a sangue freddo con colpi di pistola alle spalle e il cui sangue arrossò la neve caduta in quel giorno. Anche in questo caso bocche cucite tra quelli che sapevano ma che non vollero o non poterono parlare, per cui i responsabili del vile assassinio non furono mai individuati. Venturelli fu insignito della Medaglia d’Oro al merito civile conferitagli dal presidente della Repubblica Ciampi.

Ma l’eco di questi delitti giunse fino a Roma e destò allarme nella sede centrale del Pci perchè questi fatti sanguinosi avvenivano a guerra finita e non più ascrivibili dunque alla guerra di liberazione dal fascismo che era già caduto, con vendette personali e una sorte di giustizia sommaria appunto in vista della rivoluzione proletaria considerata come sbocco naturale della lotta partigiana. A tal punto che l’organizzazione del Pci organizzò l’espatrio clandestino verso la Cecoslovacchia di quei militanti macchiatisi di delitti che rischiavano di venire scoperti.

E lo stesso Ermanno Gorrieri in un successivo libro dal titolo “Ritorno a Montefiorino. Dalla Resistenza sull’Appennino alla violenza del dopoguerra”, scritto a due mani con la nipote Giulia Bondi, afferma che “l’egemonia culturale comunista ha creduto utile insistere su una visione acritica della Resistenza e a volere plasmare la storia in ossequio alle proprie deviazioni politiche. A tal punto che fu lo stesso segretario del Pci Togliatti, in quell’anno ministro della Giustizia, a sentire il bisogno di venire a Reggio Emilia per porre fine alla violenza politica gratuita che aveva portato alla uccisione a Reggio come a Modena, oltre che di tanti parroci, anche di dirigenti della Dc e di imprenditori cattolici come Antonio ed Ettore Rizzi, padre e figlio di Nonantola, Carlo Testa di Bomporto, Emilio Missere, segretario della Dc di Medolla, Bruno Lazzari e Giovanni Zoboli entrambi di Nonantola”. Con un severo giudizio finale ai successori di Togliatti e agli eredi del Pci “riluttanti anche dopo tanti anni – scrive – a fare i conti con la loro storia…”.