Resurrezione. La sconfitta dell’odio. Lui, noi e una memorabile Pasqua (Pierangelo Sequeri)

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Mors et vita duello conflixere mirando (“La morte e la vita hanno ingaggiato una lotta memorabile”). Questa icastica espressione si trova nella struggente Sequenza latina della Pasqua (Victimae paschali laudes), che la riforma del Concilio di Trento ha “salvato” dall’oblìo liturgico, a differenza delle molte composte per il fervore popolare nei dintorni dell’anno Mille.

La Sequenza include un passaggio dialogato, dove i Discepoli (di Emmaus) e Maria (di Magdala) si scambiano rapide battute, come di persone che si incrociano concitando i passi nelle due direzioni opposte. Maria torna dal sepolcro vuoto, annunciando il Risorto in cui risplende la Vita dalla quale è venuto.I Discepoli vi si recano, emozionati dai segni di una vittoria inaspettata del Crocifisso sulla morte che l’ha trafitto. “Dicci che cosa hai visto, Maria!”. “Ho visto il sepolcro del Signore vivente!”. Il resto potete leggerlo (e ascoltarlo) da voi: non conosco una restituzione poetica e teologica più esatta e struggente dell’Evento che apre la storia della fede e riapre la storia del mondo. La Sequenza canta le inattese emozioni suscitate dal mistero del Crocifisso Risorto, con una freschezza rara, persino negli inni liturgici. Eppure la profondità così esatta dei suoi ossimori lascia senza respiro.

Per questa Domenica di Pasqua, che siamo costretti a vivere con il respiro così corto, la Sequenza porta un’attenzione preziosa: in chiara evidenza nei Vangeli, forse sbiadita per noi. Il Risorto custodisce, senza rimozione alcuna, l’evidenza delle sue ferite (“Tommaso, metti qui la tua mano!”). Fossero semplicemente spariti, i segni della morte, la risurrezione sarebbe una magia virtuale della mente, non un passaggio reale della vita.

Non potranno mai più farci del male, quelle ferite, quando saremo risorti: ma la loro traccia ci rende certi che le nostre dichiarazioni d’amore hanno retto alla prova della vulnerabilità e dell’abbandono, della indifferenza e della violenza, senza lasciare la presa. E senza contrattare odiosamente sul prezzo, senza scaricare sull’altro i costi. La rimozione delle ferite trasforma le più enfatiche dichiarazioni d’amore in chiacchiere futili e offensive. E rende le promesse di una migliore efficienza terapeutica e amministrativa del nostro futuro totalmente infide. Dobbiamo invocare Dio che ci conceda soprattutto questa grazia tenera e smaliziata, per la Pasqua 2020. Il Risorto che non portasse la memoria viva delle ferite sarebbe un falso. Nella Pasqua c’è sempre uno struggente Giovedì dell’ultima cena con le persone che abbiamo amato. C’è sempre un ottuso Venerdì dell’ingiustizia che si accanisce su chi ha amato.

E c’è sempre un attonito Sabato della desolazione per la distanza che dura, fra gli uni e gli altri. Il Risorto li incorpora, letteralmente. E così siamo certi di Lui e dell’amore, della promessa e della speranza. L’augurio di buona Pasqua sarà di nuovo sorprendentemente vero e trasparente: con la sua emozione innocente e intatta, con la sua testimonianza indicibile e incontenibile. Il nostro corpo a corpo con Dio deve essere all’altezza del corpo a corpo di Dio con le ferite della condizione umana, per onorare la benedizione che ne proviene come pura grazia. Le donne, ancora una volta, hanno un intuito speciale per questo passaggio, che garantisce il riscatto dell’anima attraverso il confronto non dissimulato con le ferite del corpo.

Elaine Scarry non è una teologa, è una professoressa di inglese (e non so neppure se sia religiosa). Ha scritto un libro splendido sulle tracce del dolore presente e assente, inflitto e rimosso, nei corpi individuali e sociali dell’uomo. (La sofferenza del corpo. La distruzione e la costruzione del mondo). Nel capitolo dedicato al “corpus” biblico cristiano della scritture sacre, ha prodotto una sintesi folgorante del passaggio e del compimento della redenzione attraverso la ferita. Nell’antico patto, scrive, il corpo a corpo con Dio, per la dignità della benedizione, è sintetizzato nella lotta di Giacobbe con “Dio”, sullo Jabbok. Quando la lotta finisce, e il corpo dell’uomo si scioglie dall’avvinghiamento con quello dell’inviato di Dio, una ferita all’anca rimane a testimonianza di una benedizione realmente ricevuta. La ferita segna la carne come un sacramento della grazia ricevuta di una vita nuova. Nel nuovo patto, però, quando Dio si scioglie dal corpo a corpo con l’uomo, per la benedizione della sua vita, la ferita appare sul corpo del Figlio crocifisso. E l’uomo si ritrova guarito per sempre.

I Vangeli raccontano che il Risorto si presenta di nuovo ai suoi, avviliti dal loro abbandono e spauriti della loro debolezza, pronunciando questo saluto: “Pace a voi”. Nessuna recriminazione, nessuna rivendicazione, nessuna condanna. La lotta per la vita e la sconfitta dell’odio sono interamente iscritte nel suo corpo. Il giudizio è silenziosamente affidato alle ferite della sua carne, affinché ne possiamo trarre forza necessaria per abbracciare gli uni quelle degli altri. E mettere nuovamente a dimora, nei nostri corpi l’amore per il mondo. Dio porta impresso nel corpo risorto del Figlio l’annuncio di un’impensata guarigione della vita, che è per sempre. Possiamo credergli, ora.