L’affermazione: “conoscere è uguale a cambiare” è un mito (Amedeo Cencini)

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“Nel dialogo e nell’incontro personale con Cristo le semplici impressioni soggettive non bastano”

Gli elementi di conoscenza approfondita alla luce della Parola garantiscono l’oggettività che  tuttavia non può essere mai completa; elementi di affettività provenienti dal nostro vissuto possono introdurre distorsioni nella percezione di Cristo e così lo sforzo di volontà basato su una religiosità personale possono allontanarci dall’esprimere la vera religiosità gradita al Dio biblico. L’affermazione: “conoscere è uguale a cambiare” è un mito. Colui che conosce il bene non per questo lo fa. Quando la conoscenza diventa l’obiettivo del processo formativo, succede che se il cambiamento non si realizza, si dirà che il soggetto non ha imparato abbastanza, oppure che è cattivo, ingrato, non generoso.

 

L’uomo può conoscere il bene, sapere anche che quel bene è, nel senso migliore, il suo vero interesse eppure continuare a vivere nella mediocrità. La risposta è semplice: manca il desiderio di cambiare. Manca il decidersi e la valorizzazione di tutto ciò che si richiede per diventare liberi e “adulti in Cristo”: meditazione assidua della Parola, confronto con una guida spirituale, tenere sempre presenti gli impegni presi e un valido progetto di vita…
I rischi di una pastorale e di una formazione del  “basta il buon senso” che si basa solo su sensazioni passeggere e personali;  viene considerato valore non ciò che si impone sulla base di una consistenza obiettiva propria ma ciò che risulta immediatamente appetibile. I criteri di scelta fortemente soggettivi fanno vedere con sospetto quei progetti di vita che comportano  impegni a finalità a lungo termine: di qui la preferenza per appartenenze parziali, adesioni selettive, identificazioni con riserva… Un atto è libero non quando è spontaneo, ma quando realizza ciò che giova.
Per il cristiano credere non significa solo aver fiducia o contare su Dio, ma – di più – stabilire con lui un rapporto personale che permetta a Dio di agire tramite nostro. Si tratta di una prospettiva semplicissima da capire e difficilissima da attuare: essere fatti per Dio il quale vuole che raggiungiamo le sue posizioni, usiamo la sua sapienza, condividiamo la sua responsabilità e ci definiamo con la sua identità. Dio offre la sua salvezza ad un prezzo troppo caro, almeno così appare all’uomo, E l’alto prezzo è il rapporto personale e l’adesione per lasciarsi fare e trasformare dal suo Spirito. Accettare Dio significa rinunciare alla propria sensibilità e alle proprie vedute e desideri per assumere l’intelligenza, la volontà e il piano di Dio come norma di vita.  Non si tratta tanto di osservare una legge, ma di un investimento totale di se stessi e allora la fede crea conflitto: lasciare ciò che vediamo, sentiamo e che tutti cercano per seguire ciò che non vediamo e che apparentemente sembra un “perdere” e un morire.
Il problema formativo autentico non è solo un perfezionamento dello sviluppo cognitivo, affettivo morale dell’uomo: una tappa in più che si aggiunge come coronamento del processo di crescita. La fede autentica, cristiana, personale non consiste nell’estendere un orizzonte già dato, ma nel rovesciarlo. Si richiede all’uomo di fondare la propria esistenza non in se stesso, ma in Dio:  si richiede all’uomo  di rinunciare a quelle sicurezze che gli sono necessarie per vivere.
Frustrazioni, delusioni, amarezze… tutto viene archiviato dalla memoria affettiva nel profondo di noi stessi; archiviato, catalogato schedato. Questo materiale emotivo accumulato nel passato diventa il sottofondo o lo stato d’animo con il quale cerchiamo di affrontare il futuro senza tante prospettive autentiche di crescita: un insieme di atteggiamenti emotivi abituali a rispondere costituiscono la lente attraverso la quale valutiamo il presente e decidiamo . Si formano così delle  forti remore a rischiare e a dimostrarsi liberi. La memoria blocca il desiderio. Molte persone nello sforzo di apparire sicure e forti, decidono che è meglio non volere e non desiderare con il  rischio, molto comune, di trascorrere anni e anni di formazione, senza riuscire a cambiare sostanzialmente in meglio…
La fede autentica e l’incontro profondo e vitale con Cristo mi porta alla decisione autentica, cioè a fare scelte significative secondo il Vangelo anche se spesso sono un alto costo perché comportano un elemento di rinuncia, un elemento preferenziale, un  elemento che condiziona il futuro. La decisione cristiana non è mai sicura e a basso costo, ma al contrario sempre a rischio, a massimo costo e precisa, ma mai chiara.
Lo sviluppo dello spirito, cioè la crescita nella verità e libertà significa inevitabilmente comprimere la “carne”  (nel significato di Paolo cioè sicurezza, orgoglio, autosufficienza, presunzione, mentalità di questo mondo, ricerca di apparenza di salvaguardare la propria vita appoggiandosi sugli idoli…) e questo con motivazioni bibliche precise: si tratta di prendere sul serio, fondamentalmente il peccato e il suo legame con il nostro io superficiale; e si tratta di prendere sul serio il battesimo: morire all’uomo vecchio e risorgere all’uomo nuovo (immagine dell’innesto, uscire… per risultare nuovi, trasformati…