A Nicea, 1.700 anni fa, il primo Concilio (Card. Gianfranco Ravasi)

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Oggi è una cittadina satellite della grande Istanbul e il suo nome è Iznik, ma la sua fama è legata al nome storico di Nicea. Lì, il 20 maggio 325, quindi 1.700 anni fa, l’imperatore Costantino convocò quello che viene considerato come il primo Concilio ecumenico, con la presenza di circa trecento vescovi. Da quell’assise derivò il Credo che ancora oggi professiamo nella celebrazione eucaristica domenicale. Per ottenere questo esito, però, fu necessaria un’intensa discussione perché allora la Chiesa era attraversata da una bufera teologica.

Sulla scena, infatti, era apparso un sacerdote di Alessandria d’Egitto di nome Ario (morirà nel 336) che godeva di forte popolarità, tant’è vero che la dottrina da lui propugnata e seguita persino da alcuni vescovi e Chiese locali è denominata “arianesimo”. Egli sosteneva che Cristo, il Figlio, non fosse eterno come il Padre ma la prima creatura di Dio e, quindi, con un inizio e una mutabilità. A Nicea, invece, si definì che il Figlio fosse «della stessa sostanza del Padre»: questo risultato fu raggiunto dopo varie e talora snervanti discussioni teologiche che sono continuate anche nei secoli successivi.

Abbiamo voluto rievocare l’evento di Nicea perché è stato visto dal defunto papa Francesco – che l’ha citato nella sua Bolla giubilare Spes non confundit (n. 17) – come lo stimolo alle Chiese a «procedere nel cammino verso l’unità visibile», sulla scia della comune professione di fede promulgata in quel Concilio. In esso si discusse anche sulla datazione datazione della Pasqua: è curioso notare che in questo Anno Santo i diversi calendari delle Chiese di Oriente e di Occidente, per una circostanza provvidenziale, hanno celebrato tutti la Pasqua lo scorso 20 aprile.

L’arianesimo, pur combattuto da un paladino dell’ortodossia come sant’Atanasio – che fece ribadire la dottrina di Nicea anche nel secondo Concilio ecumenico di Costantinopoli (381) con la professione di fede detta niceno-costantinopolitana, anch’essa in uso nelle celebrazioni domenicali – sopravvisse sostenuto da vari imperatori, come lo stesso Costantino, Costanzo II e Teodosio, soprattutto tra i Goti germanici. Anche sant’Ambrogio, a Milano, si dovette confrontare con una vivace comunità ariana e col suo vescovo Aussenzio, a distanza di oltre mezzo secolo da Nicea.

In quest’anno giubilare, la memoria di un alto ecclesiale così importante si può trasformare in un impegno. Ricordiamo, infatti, l’appello di san Pietro nella sua Prima Lettera «ad essere pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (3,15). Ecco, allora, la necessità di conoscere l’autentica cristologia, anche con la fatica di approfondire il pensiero dell’apostolo Paolo che ha proprio Cristo al centro della riflessione offerta dalle sue Lettere. Concludiamo, però, col celebre avvio dell’inno-prologo del Vangelo di Giovanni, che smentisce Ario, celebrando il Verbo, cioè il Figlio, Cristo: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (1,1).

Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Noi crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. (Dal Credo niceno-costantinopolitano)