Un anziano vescovo portoghese ha scritto una lettera confidenziale e incoraggiante ai preti giovani che entrano nel ministero. Riprendiamo dall’agenzia cattolica portoghese (Agëncia Ecclesia) questa lettera del vescovo di Porto, Jorge Teixeira da Cunha, scritta il 16 luglio e indirizzata ai preti giovani che entrano nel ministero in questi mesi. Il tono cordiale, rispettoso e incoraggiante (non privo di melanconia) mette in evidenza i “fondamentali” del servizio e della testimonianza presbiterale.
Faccio parte di un gruppo di sacerdoti che sta già intravedendo il tramonto della vita, avendo già superato il pondus diei et aestus (il peso del giorno e il suo calore).
Posso dire, a nome della maggioranza, che siamo molto lieti che siate pervenuti al servizio sacerdotale. Quando vediamo che la scelta della vocazione sacerdotale sta ancora dando i suoi frutti, nei tempi incerti in cui viviamo, ci sentiamo molto felici.
Un giorno, anche noi siamo stati toccati dalla scintilla divina che costituisce la vocazione e, tra difficoltà e dubbi, abbiamo accettato di andare avanti. Quindi, benvenuti!
Speriamo che qualche esempio che lasciamo possa esservi utile per il cammino che state iniziando, augurandovi che sia lungo e felice.
Non voglio darvi consigli. Ma mi permetterete di offrirvi una breve testimonianza, basata su oltre quarant’anni di esperienza di vita sacerdotale.
La nostra formazione non è stata migliore della vostra. Probabilmente avevamo un vantaggio: mentre la nostra società e la nostra Chiesa sperimentavano una prodigiosa esplosione di speranza nell’ultimo terzo del secolo scorso, forse ci è stato più facile partire con le batterie cariche per attraversare la lunga siccità che ne è seguita.
Era il periodo successivo al Concilio Vaticano II e alla rivoluzione del 25 aprile (la cosiddetta “rivoluzione dei garofani” che segnò il passaggio alla democrazia nel paese, ndr). Abbiamo interiorizzato intensamente il gusto per la vita sacerdotale, in un periodo in cui ci piaceva essere sacerdoti più che apparire tali.
Ma non lamentatevi del tempo che vi è stato dato di vivere. Le sfide di oggi sono forse più grandi di quelle del mio tempo. Nella nostra giovinezza, ci siamo consumati nel servire il popolo di Dio che partecipava in massa alle nostre celebrazioni. Oggi, tutto è diverso.
Contemplazione e mormorio della vita
Come noi, dovrete nutrire il vostro sacerdozio con un’incessante interiorizzazione empatica del mistero pasquale di Gesù. Senza questa esperienza mistica e orante, la perseveranza è impossibile.
Sappiate che questo non si può ottenere in un giorno, né in un anno, né nell’intero periodo di formazione che vi è stato concesso. È un lungo esercizio di ascolto del mormorio della vita, dentro di voi e in coloro che incrociano il vostro cammino. Vi auguro di fare buoni incontri, quegli incontri che, se state attenti, sono offerti dalla Provvidenza, che agisce misteriosamente negli interstizi della superficie dei giorni.
Dovete essere persone di preghiera senza essere monaci contemplativi. Non dimenticherò mai ciò che un vecchio professore di teologia, che non era un granché, mi insegnò sulla differenza tra preghiera e “psittacismo”. Quest’ultimo termine, poco comune, esprime una disfunzione psicologica che consiste nella separazione tra mente e linguaggio.
La preghiera inizia tardi nella vita, come testimoniano i mistici. Ma non dobbiamo trascurare il mattino della vita, nemmeno nell’aridità dell’attesa.
Non dimenticare che l’affetto è la porta d’accesso all’avere parte alla vita divina e alla vita umana, che sono alla fine la stessa cosa. Pertanto, non lasciarti scollegare dalla fonte che non smette mai di fluire.
Come i 72 discepoli
Se posso darvi un consiglio, è di collegare il vostro sacerdozio al gruppo dei 72 discepoli, a preferenza del gruppo dei 12. I 12 apostoli sono chiaramente importanti come cornice per la missione della Chiesa. Ma i 72, di cui parla Luca, sono i missionari invisibili e informali che si confrontano con la realtà, con il compito di essere “sale”.
È di loro che Cristo dice che sono efficaci nel precipitare satana come un fulmine che cade dal cielo (Lc 10,18). Ciò significa che partecipano invisibilmente alla creazione e alla redenzione. Sono loro che stabiliscono uno spirito sacerdotale come dovrebbe essere: una causalità manifestata solo nell’affetto, un potere che proviene solo dal cuore e non dal bastone.
Sentinella, non cortigiano
Infine, se hai ancora pazienza, ti dirò un’altra cosa. Spero che la tua stabilità come sacerdote derivi dall’essere una sentinella, non un cortigiano. So che oggi ti senti un po’ a disagio su come dare fondamento al tuo sacerdozio e alla tua perseveranza.
Spero che tu non ti fidi del condizionamento psicologico che può provenire sia dall’ala progressista sia da quella conservatrice. Non cedere alla tentazione di sminuire, con il “populismo”, la dignità con cui servi il popolo di Dio, né di cercare di esaltarla con gli orpelli un po’ ridicoli di un passato che non è stato affatto come sembra.
Con gli occhi fissi su Colui che è il capo della Chiesa, non incolpare mai il tuo popolo per la sua mancanza di fede e la sua assenza alla pratica religiosa. Più sei solo nella tua celebrazione, più ti puoi concentrare sull’azione che compi. Piangi i tuoi peccati invece di piangere per quelli attribuibili al popolo che ti è stato dato di servire.
Accetta l’abbraccio degli anziani che ti accolgono nella fraternità presbiterale.