Como si schiera con don Giusto (dopo l’attacco del sindaco)

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Don Della Valle aveva chiesto più umanità e attenzione alle persone ed era finito nel mirino del primo cittadino, che ne ha chiesto lo spostamento. Le associazioni: sì a dialogo e solidarietà

«Penso che la città di Como dovrebbe essere contenta della figura e dell’esempio di don Giusto. Credo che gli andrebbe riconosciuta la massima onorificenza cittadina per i meriti di solidarietà sociale che lui ha». È chiaro il pensiero del sociologo, docente e scrittore Mauro Magatti all’indomani del dibattito innescato dal tam tam di condivisioni dell’editoriale di don Giusto Della Valle, pubblicato sul bollettino della comunità pastorale Rebbio-Camerlata di cui è parroco. E che ha provocato una stizzita reazione del sindaco, Alessandro Rapinese, che è arrivato ad affermare dalle colonne del quotidiano locale che sarebbe meglio se don Giusto se ne andasse.

Il ministero di don Giusto, da sempre, si compone di attività pastorali e attenzione ai fragili, ai poveri, ai migranti. Per 12 anni è stato fidei donum della Chiesa di Como nella missione in Camerun ed è direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale dei Migranti. Perché don Giusto ha sentito il bisogno di evidenziare il rischio di una disumanizzazione della città? Lo racconta lui stesso su “Il Focolare”. Due richieste, presentate a Comune e Provincia, sono rimaste inevase, senza un accenno di risposta: da una parte l’invito a fornire aiuti concreti per le popolazioni ucraine e, direttamente all’amministrazione municipale, la sollecitazione a dare nuova vita e significato, nel particolare passaggio storico che stiamo vivendo, ai gemellaggi con le comunità di Nablus (in Cisgiordania) e di Netanya (in Israele). Ma c’è un altro sintomo di disumanizzazione molto più vicina. «L’intolleranza ha detto – o quasi per i ragazzi e i giovani che giocano e fanno “rumore positivo” nei nostri quartieri ». Don Giusto, sottolineando che «la politica, che è anche l’arte di guidare una città, è tra i servizi più importanti in una collettività», ricorda la figura del sindaco di Firenze, Giorgio La Pira – «faro che illuminava la città, punta avanzata di civiltà a cui tendere» – e denuncia il rischio di una città che, «in un mondo sempre più villaggio globale», si chiude fra lago e colline, dimenticando quelle nuove generazioni e quelle associazioni che, «con i loro canti, giochi, feste, rendono umana la nostra città».