Se i primi cinque capitoli degli Atti degli Apostoli parlano della comunità cristiana nella sua struttura costitutiva, quasi a dire che cosa è la Chiesa nella sua essenza, a partire dal capitolo sesto sono presentate le stesse comunità che devono, come le nostre, come la Chiesa, confrontarsi continuamente con i problemi che vengono dalla stessa vitalità e mobilità dell’esistenza storica. Il che ci aiuta a compiere un’ultima e forse sorprendente riflessione.
È necessario prendere atto che le tensioni e le conflittualità fanno parte di ogni normale comunità che voglia confrontarsi con i problemi di ogni giorno. La sfida non è la conflittualità occultata, spesso inutilmente anche se piamente, ma la sua accettazione in forma creativa.
L’ideale globale presentato dagli Atti degli Apostoli non è una comunità tranquilla, ma una comunità fraterna creativa e apostolica, che accetta creativamente e fraternamente le difficoltà, che non ne fa un motivo di reciproche recriminazioni o di sterili colpevolizzazioni, ma che sa dare soluzioni nuove, in grado cioè di dare risposte nuove a domande nuove.
È quello che appare appunto nel capitolo sesto degli Atti: il malumore e il mugugno portano alla costituzione dei sette diaconi. La creatività nasce dai disagi e dalle proteste di un gruppo che si sente trattato ingiustamente. Gli apostoli, lungi dallo scandalizzarsi, assieme alla comunità, danno una soluzione nuova, seguendo un metodo che può ben essere esemplare anche per le nostre comunità. Le diversità non compromettono l’unità, ma la articolano, la ampliano in modo da fare delle diversità, vissute in comunione, un elemento arricchente la fraternità della Chiesa di Gerusalemme.
Ma non sempre tale operazione è possibile: lo stesso libro degli Atti presenta Paolo e Barnaba che, a un certo punto si separano. Erano stati amici fraterni, Barnaba aveva spronato Paolo in più occasioni, avevano lavorato assieme tranquillamente ad Antiochia per più di un anno, ma poi, di fronte a una “impresa ardua”, i loro punti di vista divergono. Per imprese difficili occorre unità di intenti. Le missioni straordinarie esigono unità di obiettivi e di strategie.
In nome di una missione particolarmente difficile, talvolta, è necessario avere il coraggio di chiedere ai superiori di fare discernimento sulla composizione della comunità, dal momento che, in queste situazioni, la fraternità deve riguardare non solo l’accettazione personale, ma l’identità di strategie e, se il caso, di chiedere il proprio trasferimento, piuttosto che quello di altri.
Come pure bisognerà accettare realisticamente che non tutte le comunità potranno coltivare una vita fraterna in grado di affrontare le sfide della missione in situazioni di straordinario impegno. Il dilemma dei responsabili sarà allora quello di chiedersi se vale la pena di puntare su poche comunità che coltivano contemporaneamente con convinzione sia la fraternità sia le stesse mete e strategie missionarie, quale seme evangelico e stimolo per le altre comunità più lente e problematiche.
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