Fa bene il Papa a prendersi un “giorno libero”? Seguendo le parole del Vangelo – «Venite in disparte e riposatevi un po’» – il Pontefice ha scelto di trascorrere ogni martedì nella villa pontificia di Castel Gandolfo.

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Un gesto semplice ma significativo, che segna un ritorno alla “ecologia dello spirito” dei suoi predecessori e ricorda a preti e fedeli l’importanza di fermarsi, rigenerarsi e custodire la propria umanità

«Requiescite pusillum», «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Marco 6,31). Sono le parole con cui il Maestro invita i discepoli, che evidentemente cominciano a non avere più tregua dall’assalto della gente una volta inviati in missione da Gesù (Marco 6,12). Parole che rivelano l’esigenza tutta umana, anche degli apostoli, di riposo, di un tempo dedicato a stare insieme, raccontarsi, riprendersi e, insieme, la delicatezza di Gesù (anche se poi il “ritiro” fallisce, Marco 6,33, quando la gente li vede in disparte….). E forse, possiamo almeno immaginare, queste parole stanno dietro alla scelta di papa Leone di “staccare la spina” e di lasciare il Vaticano quasi ogni martedì per trascorrere una giornata nella villa pontificia di Castelgandolfo. Un piccolo dettaglio che però non è sfuggito all’attenzione degli osservatori, dato che papa Francesco – rompendo una prassi consolidata – aveva rinunciato a ogni riposo, persino alla vacanza estiva, fuori da Casa Santa Marta.

Può apparire sorprendente la scelta di Prevost, ma a ben guardare non poi così tanto. Era prassi dei Papi prima di Francesco riservarsi una giornata di riposo fuori dal Vaticano. Riposo in realtà relativo, dato che Prevost, come i predecessori, si porta dietro faldoni di documenti e questioni da seguire anche da lontano. Ma la felice ambientazione della villa pontificia consente una tranquilla passeggiata tra la natura, una nuotata nella piscina (fatta costruire da Giovanni Paolo II, notoriamente amante di sci e nuoto negli anni migliori) e una puntata nel campo da tennis. Del resto, già prima di essere eletto Papa, abbiamo appreso che il cardinale Prevost frequentava la palestra.

In realtà anche la raccomandazione, a preti, vescovi, superiori generali di congregazioni, di riservarsi un giorno alla settimana – per riprendersi, pregare, trovarsi in fraternità con altri confratelli, fare attività fisica – non è una novità assoluta. Il cardinale Martini lo raccomandava ai suoi preti e ricordo che una figura di curia del Vaticano, nel corso di un capitolo generale, nel tracciare l’identikit del futuro superiore generale della congregazione, ribadiva l’importanza di praticare una “ecologia dello spirito”, distribuendo impegni e incombenze così da trovare spazio anche per un tempo “non impegnato”. Ricordo di aver visto qualche volta, il martedì (giorno che diversi preti dedicano al “riposo”) dom Edmund Power, quando era abate di San Paolo fuori le mura, a Roma, sfrecciare con una bici da corsa e in tenuta, assieme a un confratello, sulla ciclabile del Lungotevere. Sapienza monastica! E ricordo il parroco della mia infanzia che amava inerpicarsi in montagna a caccia di funghi (e vi assicuro, ne trovava parecchi!).

Siamo abituati a pensare la vita di un prete dedito anima e corpo al ministero, “a tempo pieno”. Giusto, non si è preti “a ore”. Ma questo non esclude di trovare dei tempi in cui si lasciano da parte le urgenze, per prendersi cura di sé, della propria interiorità, corpo e spirito. Il saggio Qohelet direbbe c’è un tempo per una cosa e un tempo per un’altra. Se lo richiede la realtà della vita di un prete, tanto più quella di un Papa. E Prevost, in questo senso, è un uomo del nostro tempo: non disdegna la natura, le passeggiate, i cavalli (gliene hanno regalati due, memori di averlo visto a cavallo nella sua vita peruviana…), un po’ di tennis… Una lezione di umanità e di ferialità, che non bypassa la condizione umana comune a tutti.