I 100 anni di don Benzi, lo «scarabocchio di Dio» che capovolse il mondo

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A Rimini tre giorni di eventi per celebrare il fondatore della Papa Giovanni XXIII, nato il 7 settembre 1925. La rivoluzione dell'”apostolo della carita” opera oggi al fianco degli ultimi in 40 Paesi
Al cardinale Caffarra, allora arcivescovo di Bologna, che un giorno gli disse «don Oreste, tu sei un santo», rispose correggendolo con umile fermezza: «No, eminenza, io sono solo uno scarabocchio di Dio». Sono migliaia i fermo-immagine che possono raccontarci la straordinaria vita di don Oreste Benzi, il prete romagnolo nato cento anni fa, il 7 settembre 1925, alle porte di Rimini, da famiglia tanto povera materialmente quanto ricca in spirito e in amore. Aveva 7 anni il giorno in cui la maestra Olga in classe parlò di tre figure esemplari, lo scienziato, l’esploratore e il sacerdote, e quel mattino il piccolo Oreste tornò a casa con una decisione, «mamma, io farò il prete». Entrò in seminario che ne aveva 12 (era settimo di nove figli) e i suoi genitori per permettergli gli studi chiesero l’elemosina… Li incontrò in famiglia i primi poveri, li conobbe nella dignità del padre Achille e della madre Rosa, che seppero imprimere nel suo cuore la forza della fede e il rispetto per gli ultimi, e poi li ri/conobbe, per tutta la vita: negli scartati, negli indifesi, nei calpestati, quei “piccoli” che «guai a lasciarne indietro anche solo uno». I poveri non ci vengono a cercare, diceva sempre, «allora dobbiamo noi andare a cercare loro», e così spazzava via alibi e coscienze pulite.

L’“infaticabile apostolo della carità”, come lo definirà molti anni dopo papa Benedetto XVI, dava così una solida struttura alla sua rivoluzione, contagiando da subito i primi giovani disposti a legare la propria vita agli oppressi e a cambiare la loro fetta di mondo. Con il tempo lo hanno seguito in migliaia (e ancora lo seguono, i più giovani senza averlo mai incontrato), aprendo le loro case a chi era per strada, accogliendo in famiglia chi una famiglia non l’aveva, instaurando con i “piccoli” una relazione di autentica reciprocità: è il concetto della “condivisione diretta”, ovvero non la solidarietà del “buono” verso il derelitto, ma la convivenza totale nella vita quotidiana, sotto lo stesso tetto, ricevendo l’uno dall’altro. È la visione capovolta su cui nasceranno le tante declinazioni della “Papa Giovanni XXIII” nel mondo, dall’Operazione Colomba (la forza di pace basata appunto sul concetto della presenza fisica nelle zone di conflitto, in mezzo alle popolazioni colpite, nei campi profughi, attualmente in Palestina, Ucraina e Colombia), alle Capanne di Betlemme (strutture di accoglienza, anzi di convivenza, con i senza tetto e senza nulla), alle numerose case-famiglia (un caleidoscopio di storie, dove giovani coppie di genitori aprono le loro vite agli “irrecuperabili” che nessuno vorrebbe, disabili gravissimi, bambini rifiutati, anziani soli, ragazzi piegati da alcol e droga, schiave della tratta strappate ai marciapiedi, stranieri, giovani madri salvate dall’aborto, detenuti con pena alternativa al carcere…) e tutti hanno un nuovo ruolo, chi è figlio, chi nonno, o zio, o fratello, in una vera famiglia che dura per sempre. Esperienze che l’ottica mondana direbbe “impossibili”, eppure la “Papa Giovanni XXIII” (anzi Xxiii, con il logo che stilizza una famiglia) oggi gestisce 652 strutture e progetti in 40 Paesi nel mondo, tra cui 247 case-famiglia, 13 comunità terapeutiche, 11 centri per carcerati, 15 cooperative sociali con 101 centri lavorativi e 51 centri educativi. Dietro il sorriso da buon prete di campagna, c’era in realtà l’energia inflessibile del sacerdote pronto a tutto per rimediare alle ingiustizie insopportabili: non si trattava di fare l’elemosina, ma di restituire ciò che il mondo aveva rubato a quelle vittime.

«L’uomo non è il suo errore», ripeteva don Benzi a chi aveva sbagliato, «tu non sei un ladro, sei un uomo che ha rubato», non un gioco di parole ma la prova che si può sempre risalire la china e tutti abbiamo una speranza. Altrimenti non ci sarebbe redenzione. «Ero spacciato, le sostanze stupefacenti le avevo prese tutte e avevo imparato bene a rimediare i soldi, tanti soldi. Ma ero deluso, decisi di farla finita… Quella notte a Capodanno ero seduto per terra in stazione contro il muro, quando è entrato quel cappottone nero col colbacco e lo spumante in mano», ci raccontò nel 2012 Oscar Baffoni, allora responsabile delle missioni in Asia per la “Papa Giovanni XXIII”: quella lontana notte disperata don Oreste lo aveva ascoltato e gli aveva fatto la consueta proposta, «vieni con me, vedrai che facciamo tutto nuovo».

Lo ha fatto con migliaia di “fratellini e sorelline”, come li chiamava lui, che incitava in romagnolo a rialzarsi, «dai, ci stai?». Convinto che i preti dovessero «strapazzarsi per le anime», dormiva tre ore per notte, come ricordano i volontari che hanno avuto la fortuna di accompagnarlo nelle sue “avventure” fino alla morte, arrivata improvvisa la notte del 2 novembre 2007, quando i Santi incontrano i Defunti. “Avventure” come le chiamava lui, in senso etimologico: «L’avventura è il Dio che viene. Adventus è qualcosa che viene e quindi non c’era. Mi piace andare incontro a ciò che viene e non restare fermo a ciò che c’era». E infatti fermo non stava mai, «io sono una dinamo – scherzava – se mi fermo mi spengo». Sulla lavagna dietro la sua scrivania c’erano scritti i suoi numeri di cellulare e un ordine: “Se mi chiamano avvertitemi a qualsiasi ora”, perché – raccomandava – chi mi ha cercato magari non troverà più il coraggio di farlo. Con questo spirito la notte si presentava davanti ai falò con mazzi di Rosari e benediceva le sorelle schiave che lo circondavano chiamandolo «father»: a migliaia hanno trovato il coraggio di comporre quel numero e salvarsi. La forza per una vita del genere la trovava nella preghiera («per stare in piedi bisogna imparare a stare in ginocchio»), sorretto da una fede che chiamava «il mio respiro».

Il suo fuoco incendiava o invece ustionava, affascinava o disturbava. «Lei è un santo, mica possiamo vivere come lei», si assolvevano in tv politici e giornalisti tra compassione e imbarazzo, e don Oreste, scarabocchio di Dio, allora perdeva la pazienza. Al suo funerale 18 anni fa a tenere alto il cartello “Santo subito”, ma con ben altro spirito, erano le ex prostitute che aveva liberato (e oggi la causa di beatificazione in corso si basa su 18mila pagine di documenti, rilegati in 56 volumi). Il Duomo di Rimini risultò troppo piccolo per i diecimila accorsi a salutarlo, si passò al Palacongressi, in prima fila le persone importanti (disabili, zingari, barboni, prostitute, immigrati, volontari), molto più indietro le autorità, com’è ovvio nel mondo capovolto. Un mese prima di morire don Oreste aveva lasciato la sua casa e si era trasferito alla Capanna di Betlemme, la struttura riminese per senzatetto, «eccomi, sono un barbone»: giù, e ancora più giù… Il sabato precedente, come faceva spesso, la notte era andato in discoteca, a parlare di Dio a 350 giovani. Al ritorno, sorridendo tra i suoi volontari, con Dio aveva patteggiato, «quando verrò su da Te dovrai farmi uno sconto: se non c’ero io quando te lo prendevi un applauso alle 3 di notte in una discoteca?».

Il programma degli eventi a Rimini

Tre giorni (e notti) per celebrare i 100 anni di don Oreste Benzi attraverso numerosi appuntamenti di preghiera, testimonianza, musica, sport e festa. È quanto organizzato a Rimini da Fondazione Don Oreste Benzi, dal Comune e dalla Diocesi di Rimini per ricordare lo sguardo rivoluzionario del sacerdote, che anche oggi genera una tensione innovatrice. Ieri sulla spiaggia libera il cardinale Matteo Zuppi ha celebrato la “Messa sul Mare”, seguita fino a notte da eventi musicali e dalla voce dei “Testimoni di speranza”, giovani che oggi vivono la costruzione di un mondo più giusto sulle orme di don Oreste. Oggi, 6 settembre, in vari luoghi della città la mattina è dedicata a incontri sulla “Società del gratuito”, una delle intuizioni di don Oreste. Dalle 14.45 alle 17.30 al Teatro Galli l’evento clou del centenario, dal titolo “Come se tu fossi qui – don Oreste ha 100 anni ma non li dimostra”, kermesse di racconti e approfondimenti per mostrare quanto il pensiero di don Benzi sia ancora tra di noi. Alle 18 all’Arena Francesca da Rimini la Messa all’aperto presieduta dal vescovo di San Marino-Montefeltro Domenico Beneventi. Alle 21.15 il concerto alla Corte degli Agostiniani, con canti raccolti dall’esperienza missionaria della Papa Giovanni XXIII nel mondo. Domani, domenica 7 settembre, giorno natale di don Oreste, dalle 9,15 Festa per le famiglie ai Giardini della curia, mentre alle 9.30 in Sala Manzoni la postulatrice della causa di beatificazione, Elisabetta Casadei, presenta il suo libro La mistica della tonaca lisa, con il vescovo di Rimini Nicolò Anselmi, il vescovo emerito Francesco Lambiasi, i giornalisti Lucia Bellaspiga e Valerio Lessi, il responsabile di casa-famiglia Luca Russo. Alle 11 in Duomo la Messa presieduta dal vescovo Anselmi. Oltre a tutto ciò, gare sportive, mostre, attività: la mappa del programma completo su www.fondazionedonorestebenzi.org.