Nell’ora della prova, la chiarezza razionale non serve più, la volontà umana da forte diventa debole, impotente; l’entusiasmo delle forze viene meno i Padri del deserto, i maestri dello spirito hanno sempre insistito sulla difficoltà di garantire continuità e sviluppo positivo all’ entusiasmo iniziale.
Alcuni si fermano alle prime difficoltà, altri seguono i propri progetti e non quello di Dio, altri ancora finiscono per intristirsi, per inacidirsi, per ripiegarsi su di se stessi. Solo pochi perseverano nel vivere e testimoniare quello che il Signore vuole che siano: cioè dei capolavori di Cristo; uomini che possono esclamare con Maria il Signore ha fatto in me grandi cose (Luca 1, 49).
Nemmeno i grandi profeti come Natam, Eliseo, Geremia furono esentati da momenti di oscurità: anche per loro venne il giorno in cui si sentiranno incapaci di profetizzare, il giorno in cui contestarono con forza la propria vocazione.
Il gesto profetico e anche apostolico è proprio questo: saper riflettere sul passato saper guardare in avanti; abbracciare anche con un solo sguardo tutta la propria vita e concludere per pura grazia che il Signore solo lui ci vuole perseveranti nello svolgere la missione che ci ha affidato…
La pseudo profezia o pseudo attività apostolica al contrario consiste proprio nel fare o dire qualche cosa senza aver ricevuto la chiamata, senza aver ascoltato la volontà di Dio. Tutto il resto, l’incapacità di affrontare le tribolazioni, il non farsi carico dei peccati del popolo e il non conoscere il castigo di Dio… sono solo conseguenze della pseudo profezia e apostolato.
Chiedere il dono dello Spirito Santo vuol dire chiedere a Dio che abiti in noi che noi diventiamo sulla dimora, sua incarnazione. Se il Signore Gesù è diventato figlio di Dio proprio per l’effusione dello Spirito Santo su Maria, anche noi con l’effusione dello spirito, diventiamo figli di Dio, eredi del Regno e idonei a svolgere la missione che il Signore ci affida, risultando fecondi e manifestando gli atteggiamenti e i sentimenti secondo il cuore di Cristo, Buon Pastore.
L’uomo impuro nella Sinagoga di Cafarnao, per attualizzarlo per noi, non è che magari pecca contro il sesto comandamento, ma quando nello svolgere il ministero siamo mediocri e superficiali nel vivere l’impegno di accogliere tutti ed evangelizzare anche se non ascoltati e non permettiamo ad ogni persona che incontriamo di contare su di noi. Basta cessare di essere luogo in cui il fratello può appoggiarsi, basta non fare più la volontà dell’unico Padre e perciò non perdonare, non far circolare la sua misericordia e non prendiamo su noi stessi i pesi altrui quando non riescono a portarli.
Ci fa risultare impuri anche gli atteggiamenti quando ci dimostriamo adolescenti, troppo emotivi con sbalzi di umore; quando siamo irascibili, quando siamo instabili, quando facciamo i capricci quando facciamo quei piccoli scioperi quelle piccole o grandi chiusure per far capire che noi vogliamo più considerazione.
Anche dopo l’ordinazione avvertiamo molto forte la tentazione di possedere, soprattutto di possedere se stessi. In nome di questa volontà di possesso, si inizia ad accaparrarsi qualche altra persona anche soltanto affettivamente; e poi si passa a voler possedere la propria funzione, il proprio compito, il proprio lavoro, il proprio ruolo all’interno della parrocchia e della della Diocesi. Questo equivale a voler possedere il mondo mentre invece si è posseduti dalla mondanità e noi dovremmo essere posseduti dal Signore, dalla carità verso gli altri: siamo responsabili degli altri e la nostra vita se è autenticamente autorevole è un continuo esproprio abbassarsi davanti agli altri con amore e pazienza.
La nostra vita di Fede nella vita nello svolgere il ministero è paradossale, perché noi, per grazia, elezione, consacrazione non dovremmo essere e sentirci più nostri: anche se ci scomoda e ci scomoda dobbiamo essere degli altri, custodire gli altri. Inoltre il Signore ci forma, ci trasfigura, ci rende sempre più idonei a svolgere la missione, anche tramite le dinamiche della vita parrocchiale e diocesana, tramite gli espropri.
Come nel matrimonio cristiano, per durare i coniugi devono dimostrarsi maturi e accettare che amarsi e amare i figli comporta una continua perdita, un continuo venirsi incontro, permettere all’altro di sbagliare, perdonandolo con libertà. E poi, soprattutto nei confronti dei figli, è tutta una perdita; così nel svolgere il ministero pastorale per testimoniare la comunione delle Tre persone della SS Trinità (chiamata fondamentale fondata sull’agape) bisogna accettare con gioia e realismo che dobbiamo saper perdere con amore con fede, con gioia: per questo che bisogna essere aperti allo Spirito, vivere in Cristo, sperimentare la mistica apostolica di san Paolo altrimenti questo miracolo non avviene.
Nessuno può pretendere di vivere con fedeltà il ministero, di pervenire nella perfezione evangelica solo con la conoscenza personale delle Sacre Scritture o la teologia, senza viverla e metterla in pratica: cioè senza cercare il tuo interesse perciò solo quando che ti addestri all’esproprio, al perdono a metterti all’ultimo posto e a saper gioire perché tu cerchi il bene comune, attivandosi per realizzarlo senza farlo pesare se costa fatica (perché è cosa sacra: è la legge del servizio), compromettendoti con Cristo che allora tu vivi veramente la teologia, la parola, l’eucarestia, la missione…