Nel Regno Unito il cattolicesimo avanza. E lo fa – in uno dei Paesi più secolarizzati del pianeta, giova tenerlo ben presente – in modo impetuoso, continuo, semplicemente implacabile. Al punto, come abbiamo già avuto modo di osservare su queste colonne, che c’è già chi scorge all’orizzonte il sorpasso – che sarebbe dir poco clamoroso – dei cattolici sugli anglicani. In attesa che ciò possa avvenire, i dati dell’avanzata cattolica in terra inglese continuano ad arricchirsi. Gli ultimi arrivano da un rapporto intitolato Convert Clergy in the Catholic Church in Britain, che non è esagerato definire esplosivo.
Sì, perché da questo studio – realizzato dalla St Barnabas Society in collaborazione con i ricercatori del Benedict XVI Centre for Religion, Ethics and Society, presso la St Mary’s University di Twickenham – emerge che tra il 1992 e il 2024, gli ex sacerdoti anglicani hanno costituito più di un terzo di coloro che hanno iniziato il ministero sacerdotale nella Chiesa cattolica romana in Inghilterra e Galles. Per l’esattezza tra il 1992 e il 2024, si stima che ci siano state 491 riordinazioni; di queste, 339 (il 69%) riguardavano diocesi di Inghilterra e Galles, mentre 115 riguardavano l’Ordinariato del Regno Unito. In totale, il 35% degli ordinandi era costituito da ex sacerdoti anglicani.
Il periodo preso in esame parte dal 1992, da quando cioè – dopo un Sinodo generale – la Chiesa anglicana, aggiornando le proprie norme di allora, aveva aperto al sacerdozio femminile. Ora, notato nulla di strano? «Sinodo», «aggiornamenti», «apertura alle donne»…sono parole che, ultimamente, echeggiano assieme pure in casa cattolica, e forse la débâcle anglicana in atto potrebbe suggerire qualcosa, magari anche solo un po’ di prudenza. Ma evitiamo divagazioni, magari ci ritorniamo dopo; ora torniamo al rapporto della St Barnabas Society, perché ci sono ancora diversi aspetti che esso mette in luce.
Basti pensare che esso non solo contiene informazioni rilevanti, ma si conclude sottolineando come «in qualsiasi momento, c’è un certo gruppo di ecclesiastici anglicani che potrebbe benissimo, quando arriverà il momento, decidere di chiedere di essere accolto nella Chiesa cattolica». Significa che le conversioni al cattolicesimo del clero anglicano – conversioni che ormai includono pure quelle di numerosi vescovi (per l’esattezza, 16 ex vescovi anglicani e due ex vescovi anglicani continuing) – potrebbero continuare. In effetti, difficile immaginare che un trend ormai consolidato su base trentennale possa arrestarsi da un momento all’altro.
Quel che è certo è che ci sono stati dei picchi di adesioni al cattolicesimo dal mondo anglicano. Uno, già ricordato, si è avuto nel 1994, quando cioè le ordinazioni sacerdotali femminili – cui si apri appunto nel 1992 – divennero di fatto realtà (e che videro l’ascesa di figure come Libby Lane, che nel 2014 diventerà la prima donna vescovo). Altre impennate si sono avute nel 2009 – quando Benedetto XVI, con la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, aveva agevolato la conversione dall’anglicanesimo – nel 2010, quando sempre Papa Ratzinger aveva visitato la Gran Bretagna. Anche questi ultimi dati non possono non ispirare delle riflessioni. Tuttavia, ad uno sguardo più generale questa notizia – rilanciata anche dal Times, tanto è significativa – sembra rispecchiare soprattutto un aspetto.
Ci si riferisce qui, in sintesi, al fatto che il grande esodo del clero anglicano verso quello cattolico rispecchia – come già si diceva poc’anzi – il clamoroso flop di una chiesa che, inseguendo le aspettative mondane, ha finito non con l’aprirsi ma con l’evaporare, facendo scappare verso la Chiesa cattolica tutti quelli che, non sentendosi «più a casa», «a casa» hanno deciso di tornarci veramente. Si tratta, nelle dimensioni poc’anzi ricordate, d’un fenomeno epocale. E che fa il paio con altre rilevazioni già commentate su questo sito, per esempio a proposito del fatto che i nuovi sacerdoti sono più legati alla morale tradizionale di quelli più avanti con gli anni. Questo che cosa significa? Diverse cose, senza dubbio.
Anzitutto, significa – a dispetto d’un De profundis che ormai mette d’accordo cattolici progressisti e conservatori – che la cristianità europea non se la passa bene, certo, ma non è finita; di sicuro non è finito il cristianesimo, se pensiamo che sono i vescovi cattolici dei Paesi più secolarizzati del pianeta (come mons. Varden in Svezia) ad assicurarci che, se proprio qualcosa sta finendo, non è la Chiesa cattolica bensì la secolarizzazione. In secondo luogo, quanto avviene nel Regno Unito –e in realtà pure negli Stati Uniti e in altri Paesi (i dati ci sono, basta studiarseli) – conferma una cosa: la fede solida e forte prevale su quella tiepida. Sempre. Certo, non è un fenomeno che i grandi media raccontino volentieri; e per ottenere i loro applausi, meglio continuare a rilanciare la necessità di «aggiornamenti», di «apertura alle donne» e via ammiccando.