MONS. MARIO CECCHINI

Ricordiamoli

MONS. MARIO CECCHINI

(n. ad Arcevia il 25/1/1933   + a Senigallia il 13/01/2021)

Mons. Mario Cecchini era nato ad Arcevia (AN), nella frazione di Piticchio, il 25 gennaio 1933. Aveva 88 anni ed era da anni ospite della struttura per anziani a Senigallia. Colpito da ictus ha continuato a lavorare per la diocesi fanese senza particolari problemi. Diventato poi cieco e immobile, ha trascorso gli ultimi anni di vita nella casa di riposo per sacerdoti e laici presso l’Opera Pia di Senigallia. Aveva importanti patologie pregresse ed era stato contagiato dal Covid-19 nell’ultimo focolaio scoppiato il mese scorso.

Fu ordinato presbitero nel 1958. È stato ordinato vescovo il 16 marzo 1986 per le mani del cardinale Bernardin Gantin. Il 30 settembre 1986, a seguito della plena unione delle sedi vescovili, divenne primo vescovo della diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola. Si dimise dall’incarico l’8 settembre 1998, diventando così vescovo emerito.

Da vescovo di Fano ha iniziato le trattative con il Vaticano per l’acquisizione dell’ex seminario regionale. Lavorò intensamente, inoltre, per l’unificazione delle quattro diocesi di Fossombrone, Cagli e Pergola con quella di Fano. Volle fortemente e inaugurò il Santuario di San Giuseppe in Spicello (PU): da anni ben animato e gestito dai membri dell’Istituto Santa Famiglia, fondato dal Beato don Alberione.

Nel suo ministero ha favorito le Missioni ad gentes visitando, laddove svolgevano il loro ministero, i preti fidei donum della diocesi. La sua devozione a Maria, Regina degli Apostoli, ha segnato profondamente la sua spiritualità e il suo agire pastorale. Tutto il popolo di Dio, il Vescovo Armando, il presbiterio, i diaconi, i religiosi e le religiose della Diocesi di Fano, lo ricordano con gratitudine, come persona paterna, amabile e vicino alla gente.

Esprime profonda amarezza il sindaco di Fano Massimo Seri dopo aver appreso della perdita di mons. Mario Cecchini. “La nostra comunità lo ricorda con tanto affetto, sia per la saggezza che per la concretezza con cui ha condotto azioni importanti, tra cui la trattativa con il Vaticano per l’acquisto dell’ex seminario regionale. Se ne va un riferimento che per anni ha contribuito alla crescita spirituale e sociale della nostra città”.

Dal 1996 aveva professato i Consigli evangelici nell’Istituto Gesù Sacerdote voluto dal Beato don Giacomo Alberione, fondatore di tutte le Congregazioni e Istituti della Famiglia Paolina. Personalmente come responsabile dell’IGS, pur essendomi recato a trovarlo nella Casa per Sacerdoti malati a Senigallia, non ho avuto modo di dialogare con lui, perché negli ultimi anni, raramente si trovava in condizione di dialogare e parlare. Ma chi lo ha conosciuto (sacerdoti IGS e membri dell’Istituto Santa Famiglia), attestano che non solo ha interiorizzato (tramite il carisma di don Alberione e la predicazione di don Stefano Lamera) e ha vissuto gli atteggiamenti genuini della spiritualità paolina, ma li sapeva trasmettere ai membri della Famiglia Paolina e anche ai fedeli della Diocesi, soprattutto la devozione a Maria, Regina degli Apostoli e lo zelo apostolico di san Paolo.

Trovo significativo, anche riguardo alla considerazione poco sopra accennata, evidenziare il ricordo e la testimonianza di don Enrico Secchiaroli, anche lui appartenente all’Istituto Gesù Sacerdote. “Ricordare una persona è verificare la propria vita! Mons. Cecchini mi ha ordinato Diacono e Sacerdote e, a un certo punto, mi ha chiesto di fargli da segretario, pur continuando l’attività pastorale in parrocchia. Con Monsignore non era difficile relazionarsi, un uomo semplice, buono, diremmo alla mano. Pur nel rispetto della sua dignità Episcopale permetteva quella spontaneità che ti faceva sentire di casa, accettava perfino degli appunti che potevi fargli, anche se poi faceva come voleva; era il Vescovo del resto! Quel suo carattere alla mano lo rendeva “popolare” amato dalla gente, e a farlo stare in Episcopio era un’impresa. Preferiva uscire, andare per incontrare la gente, le persone, le realtà sociali ed ecclesiali.

“Quanti giri per la Diocesi sia per la celebrazione dei Sacramenti, sia per incontrare i sacerdoti, sia per andare a trovare qualcuno del quale aveva, secondo lui, bisogno, per una sua iniziativa. Tante volte ti stancavi, era notte e ancora giravi e lui con la sua tranquillità ancora ti diceva: «adesso diciamo il Rosario».

“Voleva realizzare tante cose, alcune le ha fatte, altre sono rimaste li, ma era lui che diceva «se Dio le vuole! Intanto noi diamoci da fare». Stando con Lui ho sperimentato la dedizione alle persone che incontrava, e non tutte erano per un dialogo o per un impegno pastorale, eppure anche con quelle che esageratamente, secondo me, chiedevano alla sua carità, era pronto, disponibile: «stà bonino! obbedisci!» mi ripeteva, quando io brontolavo.

“Con lui non c’era un solo lavoro, il segretario, ma anche quello di viceparroco e se era necessario ti mandava a fare quel Campo con i ragazzi perché il prete sta male, a celebrare la Messa in quell’altra parrocchia oppure «vammi a dir Messa li perché io non mi sento bene», «ma Eccellenza lì oggi ci sono le Autorità», «embè! tu digli che ti mando io». Un giorno mi chiama e mi dice «tu mi vai a Roma», pensavo di dover andare a parlare con qualcuno a suo nome, no «a Roma a studiare».

“E non solo, mi portò Lui in Facoltà, parlò personalmente con il Rettore e stabilì il corso accademico; «tu studia, per il resto vedremo come fare»: Roma locuta causa finita! La famigliarità che si era sviluppata era tale da trattarmi come un figlio. Da quando si è ritirato all’Opera Pia ho cercato sempre di incontrarlo, i primi anni anche portandolo qualche volta in parrocchia, poi, in questi ultimi anni, quando la sua salute è andata sempre più diminuendo, recandomi mensilmente a trovarlo.

“E’ stato il modo per continuare a volergli bene, del resto se è un famigliare lo si pensa spesso, e lo si va anche a trovare. Avrà avuto, come tutti, i suoi difetti, l’Ordinazione Episcopale magari li avrà anche accentuati, ma una cosa è certa anche nella prova ha saputo umilmente mettersi da parte, e, come tutti o sacerdoti ospiti all’Opera Pia, ringraziare ogni volta che lo andavi a trovare. Prima di lasciarti ti diceva «quando ci ritorni», «appena posso Eccellenza!».