Papi e il dialogo,dai “cerchi” di Paolo IV al “primerear” di Francesco

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Gli ultimi papi hanno sviluppato il dialogo, apportando ciascuno un arricchimento, dovuto alla propria sensibilità e alle circostanze storiche.

Sono parole di speranza quelle di Mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia Meridionale: «Dopo la visita di Papa Francesco, negli Emirati Arabi Uniti si respira un’aria diversa, la qualità dei rapporti tra cristiani e musulmani è migliorata: sono stati compiuti alcuni passi, piccoli ma significativi e promettenti» . Tutto questo è frutto del dialogo. Il Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana conferma che il dialogo occupa il posto centrale nelle relazioni umane per comprendersi, diffondere la cultura della tolleranza e dell’accettazione dell’altro e per ridurre i molteplici problemi che affliggono l’umanità. Tra i credenti in Dio il dialogo è un incontro sui valori comuni e il suo esercizio serve ad evitare «inutili discussioni».
Non si tratta di una invenzione di Papa Francesco. Dal Concilio viene l’indicazione di maturare nella fede mediante il dialogo, che è l’orientamento per la Chiesa e per la vita cristiana. Nel dialogo la fede cresce, si approfondisce e passa dal livello astratto di idee alla vita concreta. Nel dialogo si incontrano gli altri. Gli ultimi Papi hanno sviluppato il dialogo, apportando ciascuno un arricchimento, dovuto alla propria sensibilità e alle circostanze storiche.
La prima volta che il termine “dialogo” (colloquium) appare in un documento ufficiale del magistero è con Paolo VI nella lettera enciclica programmatica Ecclesiam suam, durante i lavori conciliari: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” . Due preoccupazioni principali: far uscire la Chiesa dagli steccati nei quali si è rinchiusa, rispetto al mondo; e la presa di coscienza della vastità del mondo, soprattutto di quello «immenso e sconfinato» dei non cristiani. «Cerchi» di dialogo: con il mondo intero; con i credenti in Dio; con gli altri cristiani; all’interno della Chiesa. È innegabile che Paolo VI abbia sentito il peso di questo compito, e il suo atteggiamento è stato definito di «ansia», come aspetto positivo di desiderio di avviare questo processo e come timore delle difficoltà.
Per Giovanni Paolo II «più facile sarebbe certamente la fede senza il dialogo»  . Per lui dialogare è amore e responsabilità, per potersi considerare veramente credenti, vere membra della Chiesa. Il dialogo, per la fede, è la via del suo arricchimento. «Su questa via matura la fede che guarda, per così dire, negli occhi, gli estremi contrasti ed esige da sé stessa una piena coerenza … non soltanto perché approfondisce la maturità delle convinzioni, ma anche – e soprattutto – perché grazie a esso la fede diventa particolarmente viva e vivificata dall’amore».
Per Giovanni Paolo II «l’atteggiamento» di una responsabilità matura «rende la vita umana più umana» . Questa è stata l’esperienza viva che lui stesso e gli altri padri conciliari hanno sperimentato durante i lavori, grazie al contatto con tante nuove realtà umane che si sono aperte davanti ai loro occhi. Ce lo confermano le sue parole: «si può affermare, senza alcun rischio di esagerazione, che tutta l’opera del Vaticano II è scaturita da un vivo senso di responsabilità verso l’uomo e il suo destino, terreno ed eterno» .
Papa Benedetto XVI si è speso principalmente su due aspetti del dialogo: tra ragione e fede o tra scienza e fede; e quella forma particolare di colloquium tra continuità e discontinuità nella tradizione della Chiesa per la sua purificazione e la riforma. «All’ermeneutica della discontinuità si oppone l’ermeneutica della riforma» . È il momento delle grandi connessioni, della nascita delle reti globali, della comunicazione planetaria. Di fronte alle grandiose possibilità che «lo sviluppo moderno dello spirito» ha aperto all’uomo, il pontefice vede «anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle». «Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo» appellando ad un sincero dialogo tra teologia e scienze. Per Benedetto «solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni; un dialogo di cui abbiamo urgente bisogno» .
Fin qui il dialogo ha compiuto i primi due passi: “vedere e giudicare”. Papa Francesco invita la Chiesa al terzo passo: “agire”. In un modo del tutto nuovo da lui definito primerear.  «“Primerear – prendere l’iniziativa”… La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi… La Chiesa sa coinvolgersi» .
Questo stile non tradisce la tradizione, come molti dicono, ma la traduce per favorire il dialogo. Per arrivare prima, non restare sulla difensiva, a subire i processi negativi, ma rendersi protagonisti.
Primerear non è «primeggiare», cercare di essere più importanti e influenti, ma «spiare» con l’aiuto dello Spirito Santo, con umiltà e mitezza, dove operare per lo sviluppo umano. I cristiani sono chiamati a favorire processi virtuosi, ad intervenire attivamente per il vero progresso degli uomini e del mondo. Su tanti temi non siamo arrivati in tempo e ci siamo persi in discussioni sterili. Anche tra i teologi abbiamo assunto atteggiamenti clericali e di chiusura: incontrarsi senza relazionarsi; essere presenti con l’assenza; dialogare senza parole; rispondere con i silenzi, rifugiandoci dietro le cattedre universitarie. La rotta è cambiata, ma non si tratta di una nuova ecclesiologia.
Francesco è fedele a quella del Concilio. Non c’è più «l’ansia» di Paolo VI perché tutto è connesso e il mondo intero sembra raggiungibile. Si registra qualche passo avanti di responsabilità nei confronti dell’umanità e del creato, come auspicava Giovanni Paolo II. La purificazione e la riforma sofferta da Benedetto XVI, pur tra mille ostacoli muove passi più sicuri. Francesco ci invita a camminare insieme, nella fratellanza, e a trovare insieme, dialogando, le soluzioni di bene. «Fate vie dritte con i vostri passi» (Eb 12,13).
* Don Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo insegnano insieme teologia in Italia e in Africa, ad Addis Abeba. Sono autori di libri e articoli di teologia.