«Parole ardenti, non scontate». La sfida di un giornalismo che sa rallentare

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Dal cardinale Delpini a Mario Calabresi, dal direttore di Famiglia Cristiana ai docenti universitari: all’Università Cattolica di Milano, durante il Giubileo dei comunicatori, un convegno ha rilanciato il valore di una comunicazione capace di verità, lentezza e responsabilità. Un antidoto contro stereotipi, fake news e parole vuote

«Offrire parole ardenti», ovvero non scontate, capaci di sorprendere. Per farlo, occorre che i giornalisti imparino a «rallentare per comunicare».

Possiamo riassumere in questi due passaggi – il primo dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, il secondo di Mario Calabresi, giornalista e scrittore, presidente di Chora Media – l’intensa mattinata di sabato scorso che ha ospitato, in una gremita aula Manzoni dell’Università Cattolica, il convegno «Uscire dalla bolla: comunicazione e Chiesa, oltre gli stereotipi». Il 10 maggio è stata la data in cui si è celebrato anche il Giubileo diocesano dei comunicatori, con un momento di preghiera conclusivo in Sant’Ambrogio, nonché la conclusione del corso per operatori pastorali sul tema «La parrocchia comunica» iniziato nel febbraio scorso. Oltre a Delpini e all’ex direttore di Stampa e Repubblica sono intervenuti don Stefano Stimamiglio direttore di Famiglia Cristiana, Donatella Negri, giornalista della Rai e Maria Grazia Fanchi, direttrice dell’Almed (Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo).

In un breve ma denso intervento – dopo il saluto introduttivo di Stefano Femminis, responsabile dell’Ufficio delle Comunicazioni Sociali della Diocesi – la rettrice Elena Beccalli, sottolinea con forza il nesso fra qualità dell’informazione e della convivenza democratica. «I giornalisti devono scegliere le parole con attenzione, tenendo ben in mente le ripercussioni personali e sul tessuto sociale. Un linguaggio ostile può generare pregiudizi, intolleranza e diffondere paura. È perciò essenziale promuovere un giornalismo che faccia uso di termini che stimolino il pensiero critico, piuttosto che alimentare l’odio o la divisione».

Sulla stessa scia la professoressa Fanchi, che rimarca la questione cruciale della responsabilità degli operatori dei media in un contesto comunicativo segnato da social e fakes news. La studiosa denuncia le contraddizioni del sistema dei media attuali, un’industria che muove miliardi di euro e coinvolge miliardi di persone, seppur con differenze notevolissime («il 68% della popolazione globale ha accesso alla rete e nel nord Europa si sfiora il 100%, in Africa orientale si scende al 30». I dati parlano, con la loro fredda eloquenza: «In un solo minuto di vita della rete, vi sono 251 mln di mail spedite, 139 mln di video postati, 19 mln di messaggi». ha aggiunto Fanchi. Grano e logglio crescono insieme nel Web: «nel primo semestre del 2024 sono stati rimossi da Tik Tok ben 346 milioni di video, ritenuti inaccettabili e nel 2024 il 59% dei cittadini ha considerato di fruire di contenuti falsi e distorti». La soluzione per il futuro? Ciitando Papa Francesco, Fanchi sottolinea l’esigenza di «pensare al comunicare come a un atto di amore e alle reti come realtà che vanno curate e riparate ogni giorno».

Tanto interessante lo scenario tracciato dall’esperta quanto stimolante il dialogo a tre che ne è seguito, condotto dalla giornalista della Tgr Rai Donatella Negri. Inevitabili i riferimenti al particolare momento attuale, tra la morte di Papa Francesco, il conclave e l’elezione di Leone XIV. Calabresi sorprende i presenti con un affondo molto acuto: «Il fatto che abbiamo visto il nuovo Pontefice con dei fogli in mano indica un’attenzione al linguaggio con la parola, ripetuta 9 volte: pace, pace disarmata e disarmante. In quel momento c’è stato un messaggio comunicativo molto forte». Da parte sua, don Stimamiglio sottolinea come «5300 giornalisti a Roma accreditati, con un investimento anche economico enorme per le redazioni, ci dicono come gli eventi della Chiesa siano una grande occasione per trasmettere un messaggio. La Chiesa in 18 giorni è riuscita a gestire una situazione estremamente umana: dal lutto alla sua elaborazione, dall’attesa alla scelta del successore. La gente ha bisogno di simboli e un comunicatore cattolico deve cercare di decriptarli. Credo che il Papa abbia fatto esattamente questo nel suo primo affacciarsi e con le sue parole».

Calabresi chiede un cambio di atteggiamento culturale ai giornalisti. «Sono sempre più convinto che rallentare sia importante per comunicare. Ognuno di noi deve recuperare la libertà di non dover dire la sua riguardo a qualunque cosa, rivendicando il tempo per formarsi un’opinione. La complessità ha bisogno di tempi, di modi e di spazio. La rilevanza non è data dalla moltiplicazione dei contenuti: si è più rilevanti se si parla meno e se lo si fa a ragion veduta». A sua volta, monsignor Delpini sottilinea: «Il giornalista fa un buon servizio quando sa elaborare un linguaggio pertinente all’evento, proporzionato all’oggetto che si comunica. A volte il modo di comunicare della Chiesa non riesce a evitare le parole grigie, il grigiore dello scontato che non comunica niente».

Di qui l’urgenza della formazione, sulla quale anche la Diocesi si sta impegnando da tempo. Il vescovo Mario conclude con parole di gratitudine «per tutti coloro che lavorano nella comunicazione ecclesiale» (ne parla che la sua Lettera agli operatori della comunicazione, dal titolo Da grande vorrei fare il giornalista, eita dal Centro Ambrosiano). «C’è una ragione profonda e una responsabilità nel fare comunicazione a proposito della Chiesa. Sono queste la speranza e la responsabilità di chi comunica. Indurre le persone a essere disperate è grave: il giornalismo è una missione».

E del giornalismo come forma di servizio alla verità – che tanti, uomini e donne, hanno pagato con la vita – si occupa la mostra “Comunicare la speranza. Un’altra informazione è possibile”, promossa da Società san Paolo e suore Paoline, con il patrocinio dei dicasteri della Comunicazione e della nuova evangelizzazione. Una mostra, ideata e curata da scrive e da Francesco Antonioli col supporto di Mediacor, che i partecipanti all’incontro hanno potuto visitare e apprezzare, specialmente nel suo sforzo di mostrare i tentativi in atto (dal solution journalism al giornalismo costruttivo) per un’informazione più equilibrata, capace di stimolare la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, guardando avanti, alle possibilità aperte e non solo alle mille ragioni di pessimismo che la cronaca ci offre ogni giorno.