I tormenti di un parroco

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Miguel de Unamuno tra racconto filosofico e discorso teologico ·

«Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo»: il famoso pensiero di Pascal è stato spesso applicato dai critici letterari, soprattutto cattolici (da Carlo Bo a Ferruccio Ulivi), alle opere degli scrittori cristiani del Novecento. Uno su tutti: Georges Bernanos, con le sue figure di preti tormentati, spesso umili e derelitti, ma indomabili nel combattere la battaglia della fede. Da Donissan, protagonista del romanzo Sotto il sole di Satana, al piccolo parroco di Ambricourt, al centro del Diario di un curato di campagna, che muore nella casa di un amico ex-prete pronunciando poche parole anch’esse divenute notissime: «Che importa? Tutto è grazia». Sacerdoti che si addossano i fardelli di tutta la comunità in cui operano e che soprattutto si ergono come unico baluardo dinanzi al potere del Maligno. Ma il pensiero pascaliano vale anche per un altro grande autore, lo spagnolo Miguel de Unamuno: tutta la sua opera è un confronto-scontro con la figura di Gesù, dalla Vita di don Chisciotte e Sancio a Il sentimento tragico della vita, da Il Cristo di Velasquez al Diario intimo, pubblicato postumo. Per non parlare di Agonia del cristianesimo, nella cui introduzione scrive: «Quello che voglio esporre qui o lettore, è la mia agonia, la mia lotta per il cristianesimo, l’agonia del cristianesimo in me, la sua morte e la sua risurrezione in ogni momento della mia vita intima».

Nato a Bilbao nel 1864 e morto a Salamanca nel 1936, sino al 1897 era stato segnato dall’ateismo razionalista e scientista che dominava l’ambiente culturale della Spagna di quel periodo. Poi, una crisi, che lui stesso definisce «violenta e improvvisa», alla fine della quale si trovò «in gran parte disorientato, ma cristiano». Una conversione che non l’avrebbe fatto approdare al cattolicesimo, pieno di dubbi com’era verso la Chiesa e i suoi dogmi, tanto che non si accostò ai sacramenti. Ma nel corso della sua esistenza e della sua opera rimase per sempre segnato dalla presenza di Cristo, senza mai sapere se credere o meno nella sua divinità: «Passerò la vita lottando col mistero, anche senza la speranza di penetrarlo».

Il suo mai chiarito rapporto col cristianesimo traspare anche nel racconto pubblicato in italiano dall’editrice Medusa (Marsala, 2019, euro 12, pagine 90) e intitolato Sant’Emanuele buono, il martire. Scritto nel 1930, pochi anni prima della morte, quando il tormento della fede si faceva più acuto, narra la vicenda di don Emanuele, un sacerdote di un paesino della diocesi di Renada che come i preti di Bernanos spende tutta la sua vita per gli abitanti di Valverde de Lucerna. «Come amava i suoi!», scrive Unamuno in questo libretto di novanta pagine che come ben suggerisce Rosita Copioli nella prefazione può essere definito «racconto filosofico o discorso teologico». Il nostro parroco è continuamente indaffarato per riconciliare gli sposi disuniti o i figli coi genitori, e specialmente per consolare gli afflitti, stare vicino agli ammalati e ai moribondi. Non solo: all’epoca della trebbiatura aiuta i contadini nel loro lavoro e d’inverno taglia la legna per i poveri. Spesso accompagna il medico del paese nelle sue visite o va a scuola ad aiutare il maestro. Nelle occasioni di festa si mette a ballare e a suonare il tamburello: insomma, la sua è una vita più attiva che contemplativa: «Ciò che importa è che il paese sia contento, che tutti siano contenti di vivere».

Ma questa sua smania di portare la felicità racchiude un segreto: egli non è sicuro di credere nell’aldilà. Tanto che, quando a Messa durante la recita del Credo si pronunciano le parole «Credo nella resurrezione della carne e nella vita eterna», lui tace. Può un prete disgiungere il suo dramma personale, la sua fede fatta di dubbi estremi, quasi non credere e allo stesso tempo trovare la forza di immolarsi per il bene del prossimo? Unamuno descrive i tormenti di don Emanuele — che sono anche i suoi — nel suo rapporto con l’amico Lazzaro, che riesce a convertire rivelandogli il suo segreto, e con la sorella di questi Angelina, fedele convintissima cui è affidato il racconto della storia. In questo delizioso apologo, di cui ogni sacerdote dovrebbe fare tesoro, lo scrittore spagnolo riflette tutta la sua angoscia, la sua concezione della vita come agonia, lotta, martirio. Dove alla fine resta solo una morale: oltre credere, è importante amare.

di Roberto Righetto