La fede di Abramo di Bruna Costacurta

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Abramo nella tradizione biblica rappresenta il modello della fede per i credenti. E’ una figura paradigmatica, è un punto di riferimento per sapere che cosa vuol dire vivere di fede. Un po’ tutta la sua storia è questa grande esperienza di un rapporto difficile, ma profondo, il rapporto con il trascendente, con l’invisibile, davanti a cui Abramo si fida, si apre nell’obbedienza ed entra in una dimensione tipica della fede che è quella di riconoscere l’invisibile e di riconoscere il Dio della vita in ogni situazione, anche nella situazione di morte. La lettera agli Ebrei, quando fa la sua rilettura dell’Antico Testamento alla luce dell’evento definitivo del Signore Gesù, fa proprio questo rapporto tra la fede e l’invisibile. Dice che la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di  quelle che non si vedono e questa è l’esigenza della fede.

Credere vuol dire riuscire a vedere ciò che non si vede. La lettera agli Ebrei continua a delineare questa storia di Israele, questa storia di fede; ripercorre questa storia alla luce  di quest’affermazione sulla fede e perciò pone in modo esplicito il discorso su Abramo, dicendo:  “per fede” (non per un’altra cosa) Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava. Ecco questo è il paradigma su cui io vorrei riflettere con voi per contemplare questa icona del credente. Per fede Abramo partì : l’enfasi è sulla fede, sull’obbedienza, sull’ignoto. Queste sono tre cose che vanno sempre insieme: la fede, l’obbedienza, l’ignoto. In Abramo questo si vede bene.

Tutto comincia con un ordine, ecco perché la lettera agli Ebrei dice: obbedì, partendo. Tutto comincia con un ordine: E il Signore disse ad Abram: Vattene, dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Un ordine, che chiede un’obbedienza, un’obbedienza cieca, perché il paese che Dio indicherà è sconosciuto: ecco la dimensione dell’ignoto! Una dimensione dell’ignoto, che sembra in qualche modo lenita dalle parole seguenti di Dio, che articola il suo comando ad una promessa, di modo che il mettere Abramo di fronte all’ignoto che sempre spaventa, che sempre preoccupa, che comunque è sempre una prova, è la prova della fede! Ecco, mettere Abramo davanti all’ignoto viene accompagnato da Dio da una bella promessa: Io farò di te un grande popolo e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno, coloro che ti malediranno, maledirò. In te saranno benedette tutte le famiglie della terra!

La promessa apre questa prospettiva esaltante di una fecondità, di un diventare grande, di una benedizione, che è totale. La prospettiva  è bella, esaltante, sembra rendere meno dura una partenza per l’ignoto, in realtà anche questa promessa, che Dio fa, mette Abramo ancora più radicalmente davanti all’ignoto, perché questa promessa che Dio fa ad Abramo è una promessa che Abramo può solo percepire come un’assurda contraddizione. Perché Dio gli dice: Io farò di te un grande popolo e Abramo ha una moglie che è sterile e questo è stato detto immediatamente prima. Alla fine del capitolo 11 si dice che Abramo aveva sposato Sarai  con questa annotazione brevissima, tragica ora Sarai era sterile.

Tutto chiuso, di futuro non se ne parla, perché mancano i figli, perché mancano quei figli che rappresentano nella mentalità ebraica e nell’esperienza antropologica di ogni uomo, quel prolungamento della vita, che ti garantisce la vita dopo che tu sei morto. Perché tuo figlio è colui che vive dopo di te, tu muori, ma la tua vita, la tua carne continua a vivere nella vita e nella carne di tuo figlio, quello è il tuo futuro, quella è la tua esperienza anche proprio di vita che va al di là della morte. Ora Sarai era sterile. Chiuso, il futuro non c’è, la vita con Sara e con Abramo finisce, e allora quale grande popolo può essere Abramo, se Sara è sterile? E quale benedizione può ricevere Abramo, se con una moglie sterile se ne deve anche andare dal suo paese e dalla casa di suo Padre? Perché la benedizione nel mondo biblico è legata all’esperienza del dono originario di Dio.

La benedizione è quella che comincia: In principio, le prime parole della Bibbia. La benedizione è quella che comincia in Genesi 1, quando nel momento in cui compare la vita Dio benedice.  E la benedizione è crescete e moltiplicatevi, ciò che Abramo non può fare, perché Sarai è sterile. La benedizione è sull’uomo: dominate sulla terra ed è quello che Abramo non può fare, perché deve partire e non ha più la terra. La benedizione nel mondo biblico è qualche cosa che ha a che fare con la promessa originaria di vita di Dio, quella della creazione e che consente all’uomo di fare un’esperienza piena della vita: questa è la benedizione! Dunque, innanzitutto fecondità, perché è la vita che va al di là di te; fecondità anche del bestiame, perché è un modo con cui intorno a te  la vita si manifesta come piena, vitale; fertilità della terra per lo stesso motivo: questa è la benedizione! E poi rapporto pieno con la vita che riguarda il corpo dell’uomo.

Dunque, vita lunga, longevità: è la vita che arriva a pienezza, quindi è la vita benedetta; salute, rapporto armonico con il proprio corpo, fare esperienza di vita piena. E poi ricchezza, perché è la ricchezza che consente un godimento della vita in cui potersi espandere in pienezza e poi la terra (che è la cosa centrale), perché la terra vuol dire: stabilità, possibilità di crescere e moltiplicarsi, perché la terra è ciò che fonda la possibilità della vita. Che cosa succede allora quando Dio fa la sua così bella promessa ad Abramo? Succede che siccome quella promessa è articolata a quel comando: vattene! , mette Abramo in una situazione in cui sembra che tutti o quasi gli elementi della benedizione per lui vengano meno. Viene meno la fecondità, perché Sarai è sterile, viene meno il rapporto armonico con il proprio corpo, perché questa dimensione della sterilità e poi la vecchiaia di Abramo è comunque un problema di mancata percezione della benedizione, perché è una vecchiaia che non è allietata dai figli e quindi non è la vecchiaia di chi poi va a dormire con i suoi padri, perché è sazio di giorni; Abramo non potrà mai essere sazio di giorni, perché non ci sono i figli a colmare quei giorni.

Allora, non rapporto armonico con il corpo, non figli, non fecondità, non terra, perché Dio dice ad Abramo: vattene ! Rimangono ad Abramo come unico segno di benedizione le ricchezze, perché si dice che Abramo obbedì e partì, portandosi dietro tutta la roba che aveva. Le ricchezze, che di solito sono segno di benedizione, nella storia di Abramo anch’esse diventano però segno di maledizione. Sarà proprio a motivo delle ricchezze che a un certo punto Abramo e Lot si devono separare. Ora Lot era il figlio del fratello morto di Abramo. Dunque per Lot rappresentava quell’elemento della continuazione della sua carne, perché morto il fratello rimaneva Lot a portare avanti questa vita. Allora, Abramo è morto, anche se è vivo perché è sterile, ma il fratello che è morto invece davvero è vivo perché c’è Lot che prolunga la sua vita. Questo Lot, che è quello che prolunga la vita del fratello morto è anche quello che potrebbe prolungare la vita di quest’altro morto vivente, che è Abramo. E invece a motivo delle ricchezze, Abramo deve separarsi pure da lui. Uno guarda ciò che sta succedendo, può solo dire Abramo è nella maledizione.

Quando Dio interviene nella storia di un uomo, la realtà e l’apparenza non coincidono più. La realtà è: ti benedico e farò di te un grande popolo , ma l’apparenza è: il grande popolo non ci sarà mai e la benedizione è per Abramo maledizione. E allora dove si gioca la fede? Nella capacità di credere non alle apparenze, ma alla realtà, nella capacità di vedere dentro le apparenze quello che non si vede, di vedere l’invisibile, di vedere in queste apparenze di morte il filo conduttore dell’azione di Dio che porta avanti il suo progetto, non di morte, ma di vita. Questa è la fede: rileggere gli eventi con occhi capaci di vedere l’invisibile. Andando ancora un po’ più a fondo per capire meglio cosa che sta succedendo in Abramo e cos’è questo visibile e qual’è l’invisibile? C’è una cosa ulteriore di cui bisogna tenere conto e la cosa è un dato che la Scrittura ci offre, che ha  bisogno di essere interpretato. Quando Dio, secondo il racconto di Genesi, interviene nella realtà di Abramo, dicendo: vattene, parti, in realtà Abramo era già partito. Perché se voi vi andate a prendere il libro della Genesi (12), il Signore disse ad Abramo: parti, vattene, ma alla fine di Genesi 11, dice così: dopo aver fatto la genealogia di Abramo, dopo aver spiegato che il fratello di Abramo è morto, che è rimasto Lot, che Abramo si sposa… così dice: poi Terach (il padre di Abramo) prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e lì si stabilirono.

Se voi poi andate dai biblisti dotti ed eruditi, questi vi diranno: sì, è logico, sono due tradizioni contrastanti che vengono messe insieme, per cui c’è una tradizione che diceva che lui era partito da Ur per conto suo e poi c’era un’altra tradizione che dice che lui con Ur non c’entra assolutamente niente, che in realtà Abramo era originario di Carran, quindi che Abramo stava a Carran e lì Dio gli dice parti e vai  a Canaan. Questo forse è pure vero che siano due tradizioni che poi confluiscono, solo che a me piace pensare bene della gente in generale e in modo particolare degli autori della Bibbia, che erano persone che sapevano fare bene il suo mestiere e che in più sono i mediatori attraverso cui Dio vuole rivelare la sua parola. Allora, chi ha scritto questi capitoli, chi li ha redatti alla fine, pur mettendo insieme forse delle tradizioni diverse, io voglio pensare che fosse anche solo mediamente intelligente, che quindi si rendeva che c’era scritto: e partirono da Ur dei Caldei e un versetto dopo c’è scritto che parte da Carran.

Allora, se queste due tradizioni i relatori ultimi le hanno volute mettere insieme vuol dire che volevano metterle insieme, vuol dire che il fatto di mettere insieme queste due tradizioni era per loro significativo ed è proprio attraverso il fatto che loro abbiano messo insieme queste due tradizioni, è attraverso di questo che Dio si rivela nella sua parola. Perché poi il testo biblico, quello che è normativo per la nostra fede, il testo canonico, è quello che Israele accoglie e che poi la Chiesa ci dona come il nostro testo biblico di riferimento. Dunque, il testo a cui la nostra fede deve fare riferimento è questo che abbiamo, dove Abramo parte da Ur dei Caldei e si ferma a Carran, perché semplicemente Ur dei Caldei è giù in Mesopotamia e lui sta andando a Canaan e quindi sta facendo il giro tipico delle carovane e Carran era uno dei luoghi dove le carovane facevano sosta e si fermavano. Allora, Abramo sta andando a Canaan e si ferma a Carran ed è lì a Carran, mentre lui sta già andando a Canaan, che Dio interviene e dice: parti e vai nel paese che io ti mostrerò e questo paese che lui gli mostrerà è Canaan. Dio gli dice parti e li manda dove Abramo stava in realtà già andando e Abramo era già partito. Cosa vuol dire questo? A me sembra che questa sia una cosa importante e che quindi il testo ultimo ha veramente voluto dire qualcosa di molto particolare, unendo queste due tradizioni che sembrano contraddirsi. Perché il testo biblico innanzitutto ci comincia a dire: vedete cos’è il progetto di Dio su di noi, vedete cos’è la chiamata di Dio? La chiamata del Signore è qualche cosa che interviene sempre all’interno di un cammino umano che è già cominciato.

E’ Dio all’origine della chiamata e l’uomo può solo rispondere, ma Dio si fa origine entrando dentro la storia di un uomo che è già nel suo svolgersi e che però a motivo di quella chiamata, a motivo di quell’entrata di Dio cambia radicalmente, perché quando colui che è chiamato nella fede accetta di obbedire, allora le cose cambiano. La prima partenza di Abramo era la normale partenza che si faceva così spesso a quei tempi, era una partenza migratoria che l’uomo decide, perché va in cerca di luoghi migliori; la seconda partenza invece è la partenza che Abramo fa nella fede, obbedendo a Dio. Non cambia neanche l’itinerario, va comunque a Canaan dove già aveva deciso di andare, solo che prima aveva deciso autonomamente, e questo non serve a nessuno; poi invece quando Dio chiama, ci va in obbedienza e questo serve a tutti, perché questo di fatto è l’inizio della storia della salvezza. Non è andare a Canaan che salva il mondo, non è partire che salva il mondo, ciò che salva il mondo è partire e andare a Canaan, obbedendo ad una chiamata e fidandosi di Dio. E questo allora cambia tutto! Cambia tutto perché allora Canaan da un paese dove andare a cercare un po’ di pascolo si trasforma nella terra promessa, perché allora questo viaggio di quest’uomo che era il viaggio che facevano in tanti a quel tempo si trasforma nella tappa decisiva della storia della salvezza, perché è quella che dà origine alla storia della salvezza e senza la quale non ci sarebbe stato seguito ed è questa che Gesù porta poi a compimento e cambia tutto nella storia di Abramo, perché Abramo fino a questo momento era solo uno che si spostava in un altro paese, ma rimanendo uno che veniva da Ur dei Caldei e adesso invece, obbedendo a Dio, per la fede,

bramo diventa uno che ormai è straniero per sempre e questo è l’elemento fondamentale. Noi a volte ci immaginiamo la partenza di Abramo come la partenza dell’uomo appunto che lascia tutto per partire, per andare dietro al Signore, per andare verso l’ignoto; il testo biblico è più modesto! Abramo non lascia tutto, si porta dietro la roba che ha; parte verso l’ignoto, ma non è la terra l’ignoto, perché va a Canaan, s’era già informato come era fatta Canaan, visto che aveva deciso di andarci, sapeva già di che si trattava. Non è neanche vero che lascia la sua famiglia, perché Terach muore, ma lui si porta dietro non solo Sara, i servi, ma si porta dietro pure Lot, se ne separerà dopo… il testo è modesto, parla di una partenza per nulla eroica, secondo i nostri criteri. L’eroe per noi è quello che si spoglia di tutto, il missionario che parte e non torna mai più… niente di eroico! E invece dell’eroismo della fede radicale, perché quello che adesso succede ad Abramo è molto peggio che lasciare i propri beni. Quello che succede ad Abramo è molto peggio che lasciare la propria famiglia; quello che succede ad Abramo è quello che adesso Abramo è straniero per sempre e in modo tale che non gli è più possibile di tornare indietro.

Abramo, quando parte la prima volta va in un paese straniero, ma avendo comunque alle spalle in qualche modo quella ultima spiaggia su cui poter ritornare che era la sua patria Ur dei Caldei. Abramo va straniero in Canaan, è sempre dolorosa e faticosa la vita dello straniero, però è uno straniero momentaneo, se vuole!  Perché comunque può tornare a Ur, dove ha la sua cittadinanza, i suoi diritti e anche in Canaan, pur essendo straniero, è comunque uno che dice che abita a Ur dei Caldei… Abramo è uno che ha la sua identità, ha la sua patria, anche se emigra e va da un’altra parte. Cosa succede invece quando Dio interviene con la sua chiamata? Che Dio gli dice: adesso la tua patria è quella che io ti indicherò; dunque, Abramo non ha più Ur dei Caldei come patria, non può più tornare indietro, non è più quella la sua terra. Abramo adesso è cittadino e la sua patria è quella che Dio gli dà. Solo che la patria che Dio gli dà non è la terra di Abramo, Abramo arriva, ma ora in quella terra c’erano i cananei ! E’ chiaro che c’erano i cananei, perché la terra di Canaan è dei cananei, non è di Abramo! Tant’è vero che quando poi Abramo, il figlio Isacco scavano i pozzi, e il pozzo è determinante, perché senza quello non vivi, arrivano quelli della terra e dicono: bene, grazie, avete scavato i pozzi e ci rallegriamo con voi, solo che l’acqua è nostra, perché noi siamo i cittadini di qui e voi no. E quando Abramo arriva alla terra e Dio compie la sua promessa, gli dice: ecco la terra che io darò alla tua discendenza. Alla mia discendenza! Ma se Sara è sterile? Allora Abramo la vede questa terra, ma non è sua, è della sua discendenza che non c’è.

E la terra è dei cananei. L’unico momento in cui finalmente Abramo possederà un pezzo di quella terra sarà quando muore Sara e allora lui compera la tomba, per seppellire sua moglie e che diventa poi anche la tomba dove verrà sepolto lui. E’ solo nella morte che Abramo riuscirà ad avere un po’ di terra, è solo morendo che Abramo smetterà di essere straniero per sempre. Ma la chiamata di Dio e la fede di Abramo rendono Abramo straniero per sempre; ora straniero vuol dire ultimo, senza diritti, servo di tutti, straniero vuol dire precarietà totale, non avere nessuna sicurezza, non avere nessuno a cui appellarsi… Capite che tipo di povertà è quella che Dio chiede ad Abramo? Capite che tipo di povertà è quella che la fede chiede a ognuno di noi, perché Abramo è padre della fede ? Dunque, ciò che avviene a lui è ciò che viene chiesto a noi. E a noi viene chiesta quella fede che ci fa definitivamente stranieri in questo senso. Allora capite bene che Abramo, il benedetto, è costretto a misurarsi con una realtà in cui gli elementi della benedizione sono difficilmente visibili. Abramo è straniero, Abramo è sterile, Abramo è senza Lot, Abramo è senza terra… è tutto al negativo: senza diritti, senza figli, senza… perché Abramo ha capito che con Dio c’è tutto! E allora la fede è quest’entrare in una dimensione in cui tutto sembra dire senza… per capire invece che con il Signore c’è tutto. Ciò che viene chiesto ad Abramo e ad ogni credente è di fidarsi di questo e di fidarsi di una potenza di Dio che è capace di fare benedizione dentro l’apparente maledizione e di fare vita dentro la morte. Ora guardate che è proprio a partire da questa fede che Dio con Abramo inizia la storia della salvezza e quindi risponde al dilagare del male nel mondo.

E’ con questa fede che Dio chiede a noi, che Dio risponde al male nel mondo. Che cos’è il male? Che cos’è la maledizione? E’ tutto quello che ha preceduto Abramo! I primi 11 capitoli del libro della Genesi. Dio crea il mondo buono e invece diventa cattivo; diventa cattivo perché l’uomo comincia a pensare che Dio sia cattivo. Questa è la chiave di interpretazione di Genesi 3, 4 e di quello che viene dopo. Dio ha dato il comando all’uomo e alla donna ed è il comando bello che dovrebbe consentire all’uomo e alla donna di realizzarsi in pienezza, accettando la loro verità di uomini, e loro cominciano a pensare: ma sarà poi vero che Dio ci vuole bene, che ci dà questi comandi per il nostro bene? Ma non sarà che Dio è cattivo e che ci dà questo comando per farsi gli affari suoi? Ma non sarà che a fidarsi noi ci ritroviamo incastrati e non ci riusciamo più a vivere, perché Dio ci toglie tutto, perché Dio ci toglie la voglia di vivere? Non sarà che Dio è cattivo? Questo è il peccato di Genesi 3 e 4. E’ questa la tentazione costante di rileggere i doni di Dio come trappole, di non fidarci della parola di Dio e di rileggere la nostra storia di salvezza, la nostra chiamata, la nostra storia di sequela del Signore come una storia di morte, come qualche cosa così: mi sono fidato di Dio, bell’affare! Eccomi qua!

E’ la tentazione di dire: no. Dio non mi ama sul serio! Forse non è vero che è così buono! Forse non è vero che è così potente se poi succedono queste cose e allora forse non è un Dio di cui ci si possa fidare così tanto! Questa è la maledizione e a questa Dio risponde chiamando Abramo che nella fede entra dentro ciò che sembra maledizione, entra dentro ciò che il mondo direbbe: è maledizione, che il serpente di Genesi 3 direbbe: ma non vedi che questa è maledizione? Perché sei senza terra, senza diritti, senza figli, ma  a che ti è servito andare dietro a Dio? Ebbene, Abramo entra dentro questa maledizione non maledicendo, cioè non dicendo: ma è proprio vero, Dio non è buono! Ma invece entra dentro la maledizione, benedicendo (dicendo bene di Dio), continuando a credere che Dio è buono, assumendo la propria realtà di morte come una realtà che è sì di morte. La fede non è non riconoscere ciò che si vede, la fede non è far finta che l’apparenza non ci sia, quindi la fede dice: sì, è vero questa è una realtà di morte, ma la fede mi consente di vedere l’invisibile e quindi di capire che dentro questa realtà che pure è di morte, Dio continua ad essere Signore della storia e della vita e quindi Dio continua anche dentro questa realtà di morte a portare avanti il suo progetto di vita. E allora io posso assumere questa realtà di morte, posso entrare nella maledizione, benedicendo, dicendo bene di Dio, continuando a credere che Dio è buono e che Dio trasformerà questa maledizione in benedizione e che il progetto di Dio è il progetto di un Signore potente che non è vinto dalla maledizione, ma che entra lui stesso nella maledizione per vincerla e per trasformarla in benedizione: questa è la fede!

E questo è Abramo che per la fede risponde al male con il bene, accetta la morte credendo nel Dio della vita, e che per la fede arriverà perfino a sacrificare suo figlio nella certezza che Dio sul monte vedrà. La vera fede, quella che cambia il mondo e questo è l’inizio di quel cammino di salvezza che attraverso i credenti giunge a compimento nel Signore Gesù, che si fa maledizione, perché è maledetto colui che pende dal legno, che si fa maledizione perché la benedizione di Abramo possa raggiungere tutti gli uomini e diventare vera per tutti. Quel cammino di entrata nella maledizione benedicendo, che è il cammino di Abramo, è il Signore Gesù che lo porta a compimento, entrando nella definitiva maledizione di una morte maledetta, entrando in quella maledizione, benedicendo, fidando nel Padre della vita, in obbedienza al Padre della vita, e in comunione per amore di tutti i fratelli. Dunque nella benedizione totale e che così facendo trasforma quella maledizione in benedizione, consentendo alla benedizione di Abramo di farsi definitiva per tutte le nazioni della terra e per tutti gli uomini.

Questo è il compimento della fede di Abramo, questo è ciò verso cui noi guardiamo, noi a cui viene chiesta questa fede e questa è la consolazione di questo tempo pasquale che stiamo celebrando, nella benedizione di una morte che è stata trasformata in vita e questa è la fede a cui noi siamo chiamati ed è la fede da trasmettere, diventando per essa testimoni fino alla fine, fino a quella fine di cui parla Giovanni 13, in riferimento alla lavanda dei piedi, quella testimonianza di un amore fino alla fine che è l’assunzione dell’ultima apparente maledizione, cioè l’assunzione di quella testimonianza che è il martirio, che non è morire, ma dare la vita e che perciò è la risposta ultima alla morte che da nemica maledetta diventa il luogo benedetto dell’incontro con Dio e della salvezza anche per tutti i fratelli.

( Questa relazione è stata tenuta dalla professoressa Bruna Costacurta al settore Sud il 3 maggio 2001. Il testo non è stato rivisto dall’autore)