26 novembre 2020: Memoria del beato Giacomo Alberione. Anno della Parola di Dio

Articoli home page

«Perché la Parola del Signore corra». È il tema dell’Anno della
Parola di Dio che la Famiglia Paolina celebra a partire dal 26
novembre 2020. La frase è di san Paolo (2 Tessalonicesi 3,1). Che
dice: «Fratelli, pregate per noi, perché la Parola del Signore corra e
sia glorificata». La Parola del Signore contiene una intensa storia
d’amore, quella di Dio per il suo popolo. Una storia che Dio vuole
comunicare, come dice il Salmo (147,15): «Manda sulla terra la sua
parola, il suo messaggio corre veloce».

Paolo desidera che questa Parola corra per tutto il mondo, in modo che tutti la conoscano e,
attraverso di essa, conoscano il Signore, lo amino come Padre e, tra di loro, si riconoscano
fratelli.

Il desiderio dell’apostolo Paolo è anche il desiderio di ogni cristiano, almeno a parole. Infatti,
nel Padre nostro, la prima richiesta è: sia santificato il tuo nome. Chiediamo che il nome di Dio
sia conosciuto, accolto, amato; e ciascuno di noi diventi testimone visibile di Dio. Chiediamo che
la sua Parola “corra” attraverso di noi, corra velocemente, perché tutti possano godere dei suoi
benefici. Chiediamo, nello stesso tempo, di non essere ostacolo alla sua diffusione.

Di qui l’interesse perché la Parola di Dio “corra”. Come dice Papa Francesco: «L’Apostolo Paolo
verso il termine di una lettera scrive: “Per il resto fratelli, pregate”. Come lui, anch’io chiedo a
voi di pregare. Ma san Paolo specifica il motivo della preghiera: “perché la Parola del Signore
corra”. Preghiamo e diamoci da fare perché la Bibbia non resti in biblioteca tra tanti libri che ne
parlano, ma corra per le strade del mondo e si attendi dove la gente vive» (Udienza ai
partecipanti al Congresso Internazionale promosso dalla Federazione Biblica Cattolica, 26 aprile
2019).

Il 26 novembre ricorre anche la memoria del beato don Giacomo Alberione. E, come ci ricorda
la lettera di indizione dell’dell’Anno della Parola di Dio, è il «giorno anniversario della Pasqua
eterna del nostro Fondatore… definito Uomo della Parola di Dio: uditore e apostolo instancabile
e profetico». Il suo legame con la Parola era costante. Allo stesso modo la sua sensibilità
apostolica, perché a tutti giungesse la Sacra Scrittura.
Egli sente forte l’impulso profetico e la missione che Dio gli affida: «fare qualcosa per il Signore
e gli uomini del nuovo secolo con cui sarebbe vissuto» (Abundantes Divitiae, 15). Che, tradotto,
significava: Evangelizzare con gli strumenti della comunicazione.

Evangelizzare. Una parola fin troppe volte usata e citata.
Ma non basta dirla perché di fatto la si realizzi. Cosa
significa “evangelizzare”? «È portare la Buona Novella in
tutti gli strati dell’umanità, e, col suo influsso, trasformare
dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa» (Paolo VI,
Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, 1975, n. 18).
È dunque qualcosa in più di “saper scrivere
cristianamente”, che don Alberione dichiara essere
compito di ogni cristiano. Qual è allora il compito di ogni
Paolino? Don Alberione non ha dubbi: «L’apostolo
tuttavia deve spingersi più innanzi. Egli ha la sua missione
specifica: estendere nel tempo e nello spazio l’opera di
Dio autore della S. Scrittura» (L’apostolato dell’edizione,
159). Il modello è quindi Dio. Così devono essere gli scritti
dell’apostolo. E don Alberione, nel suo testo L’apostolato
dell’edizione (cap. V), ne chiarisce la modalità: «Gli scritti
dell’apostolo devono essere “Via”. Perché i suoi scritti
siano la vera via che conduce al Cielo, l’apostolo deve
modellarsi sulla Bibbia, ossia trattare il medesimo suo
argomento, nel medesimo modo e col medesimo fine.

Argomento della Bibbia sono le verità riguardanti Dio e l’anima… Questi, e non altri, devono
essere gli argomenti trattati dall’apostolo scrittore. […] Gli scritti dell’apostolo devono essere
“Verità”. L’apostolo della stampa non si propone di comporre opere scientifiche o letterarie, per
se stesse, non di divulgare idee proprie o di altri uomini, ma egli mira esclusivamente a
divulgare le verità rivelate quali ci sono date dalla Chiesa… E ciò fa o col moltiplicare le edizioni
della Bibbia stessa o col commentare, spiegare, diluire le verità in esse contenute. […] Gli scritti
dell’apostolo devono essere “Vita”… Gli scritti dell’apostolo della stampa, in quanto sono
un’estensione dell’opera divina, devono impressionare e santificare gli animi. Diversamente
l’apostolo della stampa non raggiungerebbe il suo scopo».

Evangelizzare, perciò, è condurre a Dio e far conoscere Dio nel mondo, e adoperarsi per la
salvezza delle persone. È infatti forte la preoccupazione di don Alberione per l’umanità: «Dove
cammina, verso quale meta cammina questa umanità che si rinnova sempre sulla faccia della
terra? L’umanità è come un grande fiume che va a gettarsi nell’eternità. Sarà salva?» (Alle Figlie
di San Paolo, Spiegazione delle Costituzioni, 1961). «È in causa la salvezza degli uomini», afferma
Paolo VI (Evangelii Nuntiandi, 5).

Ed ecco allora l’obiettivo dell’Anno biblico che la Famiglia
Paolina intende celebrare: «In cammino con la Chiesa,
rinnovarci attraverso la familiarità, lo studio e la lettura
orante delle Sacre Scritture, per vivere della Parola
cosicché essa raggiunga tutti, specialmente le periferie
esistenziali e del pensiero».
Diceva il Beato Angelico: «Per dipingere il Cristo è
necessario vivere col Cristo». Don Alberione ne era
consapevole: «Chi legge il Libro Divino prende il
linguaggio divino, parla il linguaggio divino, acquista
l’efficacia divina… Chi legge quotidianamente la Bibbia
ottiene di parlare le parole di Dio, realmente» (Apostolato
Stampa, 1933, p. 143); «Convinto che “la Bibbia è la
lettera scritta da Dio agli uomini per guidarli al loro
ultimo fine”, l’apostolo dovrebbe bramare di farla
conoscere e pervenire a tutti gli uomini» (L’apostolato
dell’edizione, 1998, p. 157, n. 178).

Sta qui la nostra identità: «Apostolo è colui che porta Dio nella sua anima e lo irradia attorno a
sé» (Don Alberione, San Paolo, dicembre 1950). È il richiamo di papa Benedetto XVI: «Chi ha
scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé.
Bisogna trasmetterla» (GMG, Spianata di Marienfeld, 21 agosto 2005).

«Siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore…
[…] Ciascun essere umano ha sempre di più bisogno di Cristo, e l’evangelizzazione non
dovrebbe consentire che qualcuno si accontenti di poco, ma che possa dire pienamente: “Non
vivo più io, ma Cristo vive in me” – Gal 2,20 – (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 121.160).
Siamo chiamati, nel mondo della comunicazione, non solo ad essere professionisti, ma Paolini,
consacrati che vivono e annunciano Cristo, esplicitamente. Testimoni, evangelist e influencer,
con gli strumenti della comunicazione e nella cultura della comunicazione. L’evangelist è una
persona che fa propri un messaggio o una determinata realtà, ne parla con efficacia tanto che
altri diventano a loro volta evangelist. L’influencer è una persona che, per le sue parole, il modo
di essere e di fare, diventa punto di riferimento di un numero considerevole di popolazione
nelle idee e nei comportamenti.

Non possiamo accontentarci, perciò, di realizzare prodotti a contenuto religioso o vagamente
di ispirazione religiosa. Il nostro compito di Paolini è realizzare prodotti religiosi che
annunciano Dio che si incarna nella storia. In modo che, secondo quanto afferma l’apostolo
Giovanni (20,31), l’ascoltatore creda in Gesù, il Cristo, il figlio di Dio, e, credendo, abbia la vita
eterna.

Comunicare e partecipare la Parola di Dio. Non un linguaggio della fede allora, ma la fede stessa
come linguaggio, come articolo di giornale, o programma radiofonico, televisivo,
cinematografico, di rete. Ma – è legittimo chiedersi – una “produzione religiosa” parla solo di
Dio, della Chiesa, di religione? No, anche di altro. Forse, soprattutto di altro. Ma, comunque,
finisce per condurre a Dio. Questa, la sua unicità. Questa è però anche l’unicità dei suoi
realizzatori, dei suoi… testimoni. Che parlano la fede, sempre. Che sono in sintonia con Dio e con
il mondo, che credono, che vivono questa fede.

Anche Gesù parlava di tutto, lo raccontano i Vangeli. Ma, ogni sua storia conduceva,
inevitabilmente, a Dio. È qui il criterio di verifica della missione, dell’apostolato. Tutto quello
che realizziamo, questo “tutto” conduce a Dio, porta a riflettere su di Lui?
Diventa necessario un interrogativo: a che punto siamo, noi, come Paolini, nella nostra missione
di evangelizzatori?

Due eventi sono intervenuti in questi ultimi tempi. Il primo risale ormai a qualche decennio: è
la convergenza digitale, che comprende la comunicazione crossmediale e transmediale e la
diffusione in rete. Il secondo è recente: la pandemia covid che ha travolto e sconvolto le
popolazioni del mondo, compresa l’Italia, determinando una battuta d’arresto in tante attività,
e una accelerazione verso la digitalizzazione e verso l’online in tutti i contesti.

La convergenza digitale ci ha trovati pronti, secondo l’indicazione di don Alberione di
«protenderci in avanti»? Abitiamo, come evangelizzatori, questo nuovo mondo? La pandemia,
con le sue restrizioni fisiche, ci è stata di stimolo per essere apostoli online? In questo ambito,
siamo stati una presenza efficace per la pastorale della Chiesa italiana? C’è stato uno sviluppo e
un incremento del nostro apostolato per sopperire alle difficoltà delle parrocchie sugli incontri
in presenza? Sono domande a cui ognuno può dare una risposta. Non dobbiamo dimenticare
che la nostra missione è quella di evangelizzare con gli strumenti della comunicazione.
Ed ecco l’appello che ritroviamo nella esortazione apostolica Vita Consecrata (n. 110) di
Giovanni Paolo II: «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una
grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi
cose grandi» (Vita Consecrata, 110).

La storia della salvezza non è conclusa e Dio ci affida molte cose da fare. Dio non dà un
appuntamento nel passato; è nel futuro che abbiamo un appuntamento con Dio.
Che fare, dunque? È una domanda che non ammette ulteriori rinvii. Infatti, se san Paolo fosse
vivo oggi, cosa farebbe? E quando? Certamente si darebbe da fare subito.
Ebbene, l’uomo e la donna di oggi ci interpellano, perché comunichiamo la salvezza che viene
da Cristo Maestro, via verità e vita. Ma anche la Chiesa guarda a noi perché, con il nostro
carisma, diamo un contributo attuale ed efficace all’evangelizzazione. E, infine, la nostra stessa
vocazione ci stimola a una presenza e una visibilità di apostoli.

Nella lettera del 22 novembre, il nostro Superiore Generale, unitamente alle Superiore generali
delle altre Congregazioni della Famiglia Paolina, ci offre una indicazione importante: «Ci
riconosciamo, infatti, eredi della tenace passione del nostro Fondatore per l’opera alla quale
egli sente che la Famiglia Paolina è stata eletta: la diffusione della Parola di Dio. L’Anno Biblico
è dono da accogliere e da vivere come opportunità per un nuovo inizio, per una rinnovata
consapevolezza che, generati dalla Parola, siamo chiamati per vocazione a diventare Parola…».
Avverrà così? Dipenderà dalla risposta di ognuno di noi!