Autore prolifico, questo monaco benedettino unisce, in una lingua semplice, teologia cristiana, psicologia junghiana e filosofia zen. E predica così una «fede sana», che potrà «guarire gli uomini» alla ricerca del «segreto di Dio».
È un intellettuale timido, il volto semicoperto da una barba bianca. Eppure Anselm Grün è diventato in una trentina d’anni uno degli autori più prolifici della Germania, con circa 300 opere tradotte in più di 32 lingue, e conta ormai fra i più importanti rappresentanti della letteratura spirituale contemporanea. Il successo dei libri di questo monaco benedettino si spiega soprattutto con un linguaggio semplice che non giudica e con la vicinanza che ha saputo creare con i suoi lettori. Vi si trovano le sue riflessioni sulla mistica cristiana, sulla psicologia moderna ma anche sulla filosofia dell’Estremo Oriente.
Seminari e ascesi
A questa attività editoriale si aggiunge l’organizzazione di seminari in cui egli accompagna, da vari decenni, imprenditori e preti in difficoltà, per i quali questa esperienza diventa spesso una terapia. «Io non pretendo di avere una soluzione per tutti i problemi, precisa, do un impulso alle persone in modo che cerchino la risposta nella loro anima e diano fiducia alla loro intuizione». Affascinato fin da bambino dalla liturgia, Anselme Grün si decide,dopo l’esame di maturità, per una vita di ascesi monastica e si unisce alla comunità dei benedettini dell’abbazia di Münsterschwarzach, in Baviera. I suoi superiori lo mandano poi a Roma dove, per quattro anni, si inizia alla filosofia e alla teologia. Al ritorno il suo padre abate gli propone di preparare un diploma di amministrazione, per essere nominato cellerario e prendersi cura delle spese di alimentazione del monastero che ospita un centinaio di monaci.
Termina il suo corso alla fine degli anni ’60, quando in Europa nasce la contestazione operaia e studentesca. L’ondata di ribellione raggiungerà anche i giovani monaci, che si augurano una istituzione che si accordi meglio al tempo presente. In questo contesto Anselm Gtün, a 24 anni, sperimenta un interrogativo profondo sulla sua vocazione e sulla sua preparazione intellettuale.
«Ho avuto delle crisi anche prima della maturità, spiega. Durante il noviziato ho finito col trovare il mio equilibrio. Ma la vera crisi è arrivata al tempo dei miei studi, quando sono entrato in contatto con le mie emozioni: il mio desiderio per una donna è stato fortissimo».
Il valore dei riti
L’amicizia particolare che lo unisce a questa persona lo fa decidere a incontrare Kaerlfried Graf Dürckheim, un terapeuta che unisce la psicologia junghiana alla meditazione zen. Questi lo incoraggia a considerare « con amore » le sue emozioni e i suoi desideri, per riuscire a integrarli nella sua vita monastica. «La psicologia mi ha incoraggiato ad accettare pienamente il mio cammino spirituale. L’idea dell’animus e dell’anima – le parti maschile e femminile dell’anima – mi ha mostrato che potevo essere del tutto uomo, anche essendo un monaco celibe». Anselm Grün non smetterà più di cercare di conciliare spiritualità e psicologia. E numerose sono le sue fonti di ispirazione. «Carl Gustav Jung mi ha aiutato a riscoprire il valore dei simboli e dei riti. L’incontro con Karlfried Graf Dürkheim ha dato un nuovo significato ai miei gesti per la preghiera personale. E la lettura, poi, mi ha permesso di prevedere un nuovo modo di interpretare la Bibbia e le sue immagini». La riscoperta degli scritti dei Padri del deserto dal IV al VI secolo svolgerà un compito determinante per il giovane monaco: «Quegli uomini si sono confrontati con la verità della loro anima. Ne hanno analizzato gli abissi e l’hanno portata davanti a Dio con la preghiera, spiega, compiacendosi a definirli come i terapeuti del loro tempo. Molte persone andavano a trovarli per ricevere istruzioni di sapienza».
Per Anselm Grün la teologia e la fede devono mettersi d’accordo con la psicologia. Perché per «guarire gli uomini» occorre una «fede sana», che possa tener conto della psiche umana: «la psicologia per me ha una funzione di critica della fede. Essa ci mostra dove la spiritualità fallisce nel confronto con i bisogni umani e le strutture psicologiche, rendendo per conseguenza gli uomini malati». Tanto più che la psicologia condurrebbe anch’essa gli uomini a un incontro più intenso e più profondo con il divino: «Essa ci incoraggia a guardare in faccia tutta intera la nostra verità e a portarla davanti a Dio. Perché non si può incontrarlo veramente se non mostrandogli quello che siamo veramente in quanto uomini. » Quando gli si domanda se si sente più monaco o più psicologo, Anselm Grün risponde senza esitare: « La mia identità è quella di un monaco che cerca sempre il segreto di Dio, cercando di rafforzare la sua comprensione della Bibbia e degli insegnamenti cristiani più importanti. Vorrei aiutare gli altri nella ricerca di una vita nutrita di fede. Non sperimento una doppia identità, sono un monaco che si interessa degli esseri umani e dei loro problemi».
Una parola che purifica
A 65 anni Anselm Grün volge oggi uno sguardo sereno sulla sua vita, citando il suo passo preferito della Bibbia: «Una delle parole più importanti è, secondo me, quella di Gesù nel vangelo secondo Giovanni: “Voi siete già puri per la parola che vi ho rivolto” [15,3]. Visibilmente Gesù ha avuto una maniera di parlare che dava alle persone la sensazione di essere in accordo con se stessi. Mi piacerebbe poter parlare e scrivere in questa maniera anch’io. Perché si sentano accettati così come sono e anche perché si accettino. Mi piacerebbe che le mie parole sprigionassero una parte di questo spirito purificatore di Gesù». Ed è proprio con le sue parole che questo infaticabile benedettino tenta di trasmettere le luci della tradizione cristiana: l’importanza della libertà interiore, la possibilità di accettarsi e di nutrire la vita alle sorgenti della fede.
Aurèlie Godefroy