Arcivescovo di Torino Repole: custodia del creato e convivenza fra i popoli, fiducia ai giovani

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L’arcivescovo di Torino ha scritto una lettera agli under 30. «Credete nella potenza delle vostre idee, non servono atti di forza. Rompiamo la gabbia dell’antropologia del narcisismo»
In che senso i giovani hanno delle “potenzialità sconosciute”?
Nel modo di percepire. Sulla crisi ecologica, ad esempio, ne comprendono appieno il pericolo per il mondo e l’umanità. Sono molto lucidi nel capire che il mito del progresso e del consumo illimitati possono causare l’implosione della nostra casa comune. Attenzione che ritroviamo sia sul piano collettivo sia su quello degli stili di vita individuali. Su questo terreno c’è una convergenza naturale con la Chiesa per cui è stato il Signore ad affidare all’essere umano la custodia del Creato. Anzi, proprio grazie alla sensibilità dei giovani, la Chiesa ha l’opportunità di riscoprire una parte importante della Rivelazione – il Dio creatore che costruisce una casa per le sue creature – per rioffrirla a loro e a tutti.

Come fa sì che da questa convergenza nasca un dialogo costruttivo?

Il primo passo è mettersi dalla loro parte. Provare, cioè, a pensare a che cosa significhi essere giovani nel ventunesimo secolo. I ragazzi sono pochi e, intorno, non trovano prospettive culturali che regalino loro uno sguardo di fiducia sul mondo. Anzi, al contrario. Mettersi dalla loro parte significa ascoltarli. Senza trattarli da bambini. Facendo, dunque, loro proposte alte perché sono in grado di essere interlocutori.
L’ascolto o, meglio, la sua mancanza da parte degli adulti sui temi a loro più cari, a cominciare dalla tutela dell’ambiente, genera nei giovani frustrazione che si esprime in molti modi. Lei stesso ne ha fatto recente esperienza con le attiviste di Extinction rebellion. Dietro la provocazione, però, si scorge l’urgenza di essere presi in considerazione. Che messaggio dare a questi ragazzi?

Vorrei dire loro: abbiate fiducia nella potenza delle idee che portate avanti. Sono belle e buone. Per questo non hanno necessità di intemperanze, di atti di forza che spesso distraggono dal messaggio piuttosto che sottolinearlo.

Che dobbiamo pensare una terra in grado di ospitare tutte le generazioni. Questo vuol dire mettere in discussione la logica dei diritti individuali come intoccabili e della soddisfazione di ogni necessità. Vuol dire avere il coraggio di rompere la gabbia dell’antropologia del narcisismo e accettare la fatica del vivere insieme, facendo spazio alla libertà dell’altro.