Cattolici e cultura. Antonio Spadaro: apriamoci con l’arte a ciò che non sappiamo

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Non è più tempo del dialogo tra credenti e non credenti come fossero entità autonome da mettere in cattedra a turno: si tratta invece di partecipare a pieno titolo al discorso comune

Fare passeggiate tra musei e mostre, andare al cinema e al teatro, ascoltare buona musica ci espone alla potenza della creatività. Ed è naturale pensare al fatto che la cultura nasce dalla creatività, e che la creatività produce cultura. Ma tra la cultura e la creatività le cose non sono così semplici. Per comprenderlo basta riflettere sul loro rapporto col tempo che passa. La creatività, infatti, rientra naturalmente nel campo semantico della novità, cioè del futuro, del tempo che deve ancora venire. In questo senso è naturalmente profetica. Ma, d’altra parte, se parliamo di «beni culturali» comprendiamo subito che abbiamo a che fare con una eredità del passato, con dei «beni» che ereditiamo. L’arte, infatti, esprime la cultura, riflettendo i valori, le tradizioni e le prospettive di una società in un tempo storico. Quando parliamo dell’arte rinascimentale o barocca, ad esempio, è chiaro che ci riferiamo a un contesto storico specifico con tutte le sue peculiarità. La cultura fornisce uno scrigno – molto più di un database – di simboli, storie, linguaggi. Ovviamente da questa eredità è possibile attingere con abbondanza per l’espressione creativa.

D’altra parte, è anche vero il contrario: la creatività, la novità, il futuro giocano un ruolo chiave nella formazione e nell’espressione dell’identità culturale: attraverso l’arte, la musica, la danza, la letteratura, il teatro, il cinema, è possibile esprimere i propri valori di sempre, le proprie tradizioni e visioni del mondo. La creatività plasma l’immaginazione. E di questo oggi abbiamo bisogno. E ne ha necessità anche la cultura cattolica: rinnovare il modo di immaginare la fede e la sua espressione. E in questo rinnovamento la creatività degli artisti è assolutamente indispensabile.

Voglio ricordare qui le parole del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando alla cerimonia d’inaugurazione di Pesaro Capitale italiana della cultura 2024 ha detto: «Oltre che eredità del passato la cultura è soprattutto presente e futuro, non semplice consumo di ciò che è casualmente disponibile: è un passaggio di testimone da una generazione all’altra». Perfetto: serve proprio ripensare la staffetta, il passaggio di testimone tra generazioni.

Oggi – in piena crisi dell’ordine mondiale e dell’ordine mentale sconvolto dall’intelligenza artificiale – l’arte deve aprirsi a ciò che non sappiamo, a ciò che non sappiamo di non sapere e che le macchine non sono in grado di restituirci con i loro algoritmiLa creatività artistica oggi è una condizione per restare umani, e non solo un’attività umana. Creatività significa bucare la «bolla filtrata» in cui siamo finiti, recuperare una trascendenza radicale che stiamo perdendo, abbassando sempre di più il nostro orizzonte. Il vero problema oggi è questo: come essere creativi al tempo dell’algoritmo? come fare cultura al tempo dell’omologazione?

Se un tempo alla domanda «Chi sono io?» si rispondeva con opere come le Confessioni di Agostino, oggi si risponde con un selfie. Occorre recuperare la distanza tra lo spirito e il selfie, dunque. Questo è il compito di una cultura cattolica che ha nel suo codice genetico la domanda sul senso e l’orizzonte della trascendenza. È questo non può essere frutto del progetto di una Chiesa intesa come «istituzione totale», che è sufficiente a se stessa e che immagina di avere in mano la «regia» del film del mondo. Ma certamente richiede la consapevolezza di essere un personaggio, talvolta persino tra i protagonisti. Anche il dialogo deve forse cambiare forma. Non è più tempo del dialogo tra credenti e non credenti come fossero entità autonome da mettere in cattedra a turno: si tratta invece di partecipare a pieno titolo al discorso comune, senza costruire polarità, che a volte sono persino più accentuate proprio dentro il perimetro ecclesiale.

Il problema è che non riusciamo a uscire dai nostri frame, a pensare la possibilità. L’algoritmo rientra nel campo del probabile. Ci siamo ridotti a pensare la probabilità. E così facciamo sempre gli stessi errori di calcolo. Il pensiero e la creatività che sgorgano dalla fede possono davvero contribuire a favorire l’immaginazione del possibile. Che è ciò di cui abbiamo immensamente bisogno per salvare la nostra comune umanità.