Chiesa e covid /3. Pagnoncelli: ora i credenti possono fare la differenza nella società

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«Le potenzialità per essere ancora significativi nella società italiana di oggi ci sono e sono tante. E i cattolici devono crederci per primi»​

«Quello che stiamo vivendo è un tempo propizio per la Chiesa e i credenti, perché hanno molto da dire sui grandi temi che dobbiamo affrontare per uscire dalla pandemia causata dal Covid-19». È ottimista Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos Italia e grande investigatore dell’opinione pubblica (non solo) nel nostro Paese. Pagnoncelli è anche un attento osservatore delle realtà cattoliche italiane, che indaga e osserva sistematicamente nel proprio lavoro.

Dottor Pagnoncelli partiamo dall’accusa di “irrilevanza” che viene mossa ai credenti all’interno dell’attuale società. Davvero i cattolici sono poco incisivi?
La risposta è piuttosto complessa. Anche se rispetto al passato un calo c’è stato, bisogna anche dire che a volte influisce più che il sentire esterno, quello interno del cattolico stesso, che a volte non percepisce le potenzialità che potrebbe esprimere anche in questa società.

Cioè molti non credono in se stessi?
Siamo davanti a una frammentazione identitaria, cioè non si avverte che la fede debba restare in collegamento con quanto si fa nella quotidianità. E questo riduce la fede a un frammento della propria identità che non dialoga con gli altri. Siamo davanti più a una irrilevanza vissuta soggettivamente piuttosto che al mancato riconoscimento da parte degli altri. Insomma sui temi all’ordine del giorno spesso si rinuncia a esternare il punto di vista sui propri valori.

Qualche esempio di frammentazione?
Pensi al tema dei migranti. Quando papa Francesco come primo viaggio si recò a Lampedusa tra i credenti la percentuale dei pareri positivi era molto alta. Una settimana dopo allo stesso campione di cattolici richiesto di esprimersi sui respingimenti in mare, registrava una elevata percentuale favorevole. Ecco un esempio di scollamento tra i diversi frammenti dell’identità, che sembrano essere vasi non comunicanti tra loro.

Eppure la percentuale di credenti, di cattolici che si impegnano nel sociale e nel mondo del volontariato risulta, anche dalle sue indagini, elevato.
È vero, c’è una notevole partecipazione dei cattolici al mondo del volontariato. C’è nei credenti una forte attitudine, più degli altri, a darsi, a fare nel “sociale”. Ma anche qui il rischio è di trovarsi davanti a un altro frammento identitario, lasciando forse ai margini la consapevolezza da parte di non pochi credenti di cosa voglia dire oggi essere credenti nella vita quotidiana.

Ci si impegna, dunque, per “tradizione”?
No, per volontà. Ma il tutto viene percepito – soprattutto dagli altri – come un atto dovuto, scontato, è quasi naturale che la Chiesa faccia così. Ma dare per scontato qualcosa comporta spesso la perdita del valore che c’è dietro a questo impegno. Come dire che la Chiesa o il credente “devono” fare così, non che “vogliono” farlo.

Tanto impegno nel sociale dovrebbe portare anche a un impegno politico, che invece sembra difficile da compiere.
E pensare che proprio in questo momento storico, i credenti e la Chiesa avrebbero davvero molto da dire, a iniziare dal concetto di Bene comune, che nasce proprio in campo cristiano. Siamo davanti a un bivio: uscire dalla crisi costruendo progetti per il Paese di domani; o limitarsi ad azioni per uscire dalla crisi senza pensare al futuro.

Quali temi vede prioritari per l’impegno socio-politico dei credenti?
Metterei al primo posto la sostenibilità, che significa immaginare un mondo futuro abbandonando gli aspetti critici del passato. E questo tema porta con sé scelte attente e coerenti con il bene comune. Come spendere i soldi che vengono stanziati: per tutti o secondo le necessità vere? Mettere in campo politiche che affrontino davvero l’attuale divisione tra “garantiti” e “non garantiti”. L’uso responsabile delle risorse. La lotta all’evasione fiscale. O le politiche per la natalità con il sostegno ai giovani perché trovino lavoro, casa e possano mettere su famiglia. Senza dimenticare il tema dell’educazione e della formazione che passa, per esempio, attraverso l’attività degli Oratori, realtà aperta a tutti dove inclusione e accoglienza trovano letteralmente cittadinanza. O il ricorso ai vaccini legato al concetto del senso civico, e il green pass come atto di responsabilità e di solidarietà. Certo, per molti di questi temi, servono atti di governo, ma il singolo credente è chiamato a riflettere sul proprio comportamento su alcuni aspetti che hanno il Bene comune come finalità. E riflettendo scoprirà di avere molto da offrire.

Riflessione da estendere alla comunità?
Certamente, recuperando però il concetto di comunità non come il guscio che mi protegge rispetto all’esterno, ma come luogo di diritti e doveri nel quale esiste uno scambio tra i componenti. Ecco la vera comunità che dobbiamo recuperare, in cui la nostra identità non va perduta, ma è capace di confrontarsi con gli altri.

Parole che richiamano gli inviti che papa Francesco rivolge spesso alla Chiesa e che la Cei e diversi vescovi italiani hanno in più occasioni ripreso e modulato.
Richiami chiari e forti, soprattutto che invitano tutti i credenti – e anche i non credenti – a riscoprire il proprio senso di responsabilità rispetto al Bene comune, alla vita della comunità, partendo dal senso di essere cristiani e dall’idea di futuro che si vuole proporre per il bene di tutti.

Per la Chiesa una responsabilità grande.
La Chiesa ha tutte le potenzialità per essere ancora più significativa nella società di oggi. E i cattolici devono crederci per primi.