Come la pratica delle Quarantore si diffuse al di fuori dei riti della Settimana santa. Anche a Carnevale

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La pratica devozionale delle cosiddette Quarantore è molto antica e consiste nell’esposizione solenne e continuativa del santissimo Sacramento per quaranta ore consecutive. Essa nacque inizialmente in relazione al fatto che, secondo la tradizione, Gesù giacque per quaranta ore nel sepolcro prima della sua risurrezione. Già intorno al XIII secolo si iniziò a praticare questa forma di solenne adorazione eucaristica durante gli ultimi giorni della Settimana santa (quello che oggi viene definito “altare della reposizione”). Tuttavia, ben presto, tale pio esercizio iniziò a essere messo in atto anche al di fuori dei riti della Settimana santa, soprattutto a partire dalla prima metà del Cinquecento. A Milano, per esempio, nel 1537 è testimoniata un’esposizione solenne del santissimo Sacramento nel Duomo e poi, a turno, nelle varie chiese della città; iniziativa che fu messa in atto principalmente per volere di sant’Antonio Maria Zaccaria insieme ai suoi chierici regolari (i barnabiti). Tutto ciò iniziò a divenire particolarmente frequente poiché nel XVI secolo, con Lutero, si iniziarono a diffondere le idee della Riforma protestante che, tra le altre cose, negava la transustanziazione del pane e del vino in vero corpo e sangue di Gesù, cosa che la Chiesa cattolica, al contrario, affermava fermamente.

In tale contesto la pratica di esporre il santissimo Sacramento per quaranta ore iniziò ad attuarsi anche durante il periodo di Carnevale. Ciò sembra sia dovuto a un episodio accaduto a Macerata nel 1556. Qui infatti, in occasione dei festeggiamenti del Carnevale, si sarebbe dovuta mettere in scena una commedia giudicata sconveniente da due missionari gesuiti che erano lì presenti. Così, per fare in modo che meno persone possibili assistessero a tale spettacolo, i padri pensarono di esporre solennemente Gesù Eucaristia sotto la forma delle Quarantore. A quanto pare, tale iniziativa ebbe molto successo e, da allora, i gesuiti iniziarono a diffondere la pratica delle Quarantore di Carnevale per distogliere i fedeli dagli eccessi della festa profana, come si può leggere in un avviso sacro del 1623: «Questi padri gesuiti per deviare, conforme il solito degl’altri anni, il popolo dalla vanità nel quale si trova immerso nell’ultimi tre giorni di Carnevale, qui pone domenica mattina con gran decoro l’oratione delle 40 hore».

Tale tipo di pratica assunse grande importanza nel tempo poiché, accanto agli aspetti prettamente teologico-dottrinali, molto rilievo era dato anche all’aspetto artistico, con la realizzazione di macchine scenografiche e apparati effimeri volti a rendere l’adorazione eucaristica maestosa e solenne. A tal proposito si parla anche di “teatri sacri”, in quanto tali apparati erano sovente allestiti come delle vere e proprie scenografie, similmente a quelle dei teatri profani. Inoltre, le ore erano spesso accompagnate da canti, sermoni, preghiere, il tutto per coinvolgere il più possibile i fedeli e toccare così i loro cuori. Man mano poi che ci si addentra nel XVII secolo, le “macchine scenografiche” divengono sempre più complesse e articolate, secondo il gusto tipico del periodo barocco, volte soprattutto a stupire e a meravigliare i fedeli, complici anche i giochi di luce attuati con numerosi ceri e candele che, secondo le testimonianze, potevano arrivare a quattromila elementi e anche più. Per l’allestimento di tali apparati, ben presto iniziarono a essere coinvolti artisti di grande spessore come Gian Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona, Carlo Rainaldi. Di quest’ultimo si conserva una bellissima incisione nella quale è raffigurato l’apparato allestito nella chiesa del Gesù di Roma nell’anno 1650, dove è possibile ammirare la grandiosità e la maestosità di tali strutture, tanto grandi e maestose quanto tuttavia provvisorie ed effimere.

di Andrea Fratini