Dal perché al come: un’opportunità di questo tempo (crisi coronavirus)

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Quasi ogni giorno la vita ci fa impattare con sorprese, più o meno rilevanti, che ci urtano, ci scuotono e ci portano a riflettere fino a chiederci il motivo della loro presenza sulla nostra strada.

Molto spesso quando sul più bello stiamo viaggiando ed ammirando il panorama e ringraziando pure il Signore per quella tregua che non ci pare vera, ecco che si affaccia prepotentemente senza chiedere nessun permesso una novità, una sofferenza, un disturbo comunque della nostra quiete. E fin che si tratta di un fatto personale forse ne comprendiamo l’origine e ce ne diamo spiegazione, ma quando si tratta di qualcosa di ben più grande, indipendente da noi e dalle nostre azioni, allora la nostra mente comincia a frugare nella storia, a passare in rassegna eventi simili e a cercare ragioni/motivazioni per dominare la nuova situazione che si è presentata.

Scatta in noi come un senso di responsabilità che ci spinge a interrogarci su quell’evento così negativo con tutto il suo carico di sofferenza fino al punto da confrontarci con quest’ultima, non limitandoci semplicemente a ignorarla o dimenticarla, a rimuoverla o a far finta che sia sparita o che…non ci abbia colpito; al contrario la responsabilità comporta il coraggio di trovare una risposta esplicita e del tutto personale, cosciente e motivata a quel male che ci ha colpito e che ci interpella. Tutto ciò alla luce di quel principio psicologico secondo cui l’uomo può non essere responsabile del male che incrocia la sua vita, ma è certo responsabile in ogni caso della risposta che dà al male.

La domanda del perchè

Di fronte alla pandemia che ha colpito il mondo intero in questi primi mesi del 2020 provocando migliaia e migliaia di morti, soprattutto anziani che costituivano un’intera generazione di nonni buoni e saggi, siamo rimasti sbigottiti e senza parole in un primo tempo. Poi man mano che passavano le settimane trascorse in lockdown è emersa la domanda sul perché di un tale evento che ci ha messi tutti in ginocchio ben consapevoli di non aver potuto controllare tutto e difenderci adeguatamente. E così siamo andati da Dio con i nostri interrogativi sul perché di una simile tragedia, perché non interviene, non risponde alle nostre richieste, e poi ancora chiedendogli dov’è Lui che può tutto e invece sembra ignorare la sofferenza e non fare nulla per difendere l’umanità. In un incontro online di gruppo è proprio emerso questo interrogativo…

In sostanza ci troviamo tutti uniti di fronte al male con l’interrogativo del perché: “Perché mi è successa quella cosa ingiusta? Per- ché quella violenza di cui sono stato vittima? Perchè la vita mi ha riservato questo destino così amaro? Perché Dio ha permesso questa pandemia? Perché non risponde alle nostre preghiere?”, ecc.

Queste domande rivelano il nostro assillante bisogno, legittimo in buona parte, di conoscere e capire la realtà, ma anche di dominarla cercando di esserne i padroni assoluti fino a poterla persino manipolare per i nostri scopi. Quasi tutti invece ci siamo accorti in questo periodo della nostra fragilità e incapacità a far fronte a questo momento delicato non avendo mezzi di difesa e brancolando nel buio dei no- stri miseri tentativi di spiegazione. Non abbiamo trovato risposte ai nostri numerosi perché e la domanda rimane lì sospesa per altri tentativi.

In effetti questa domanda sposta l’attenzione sull’esterno rispetto a noi stessi cercando un responsabile, un capro espiatorio a cui attribuire la colpa del male e disagio conseguente. Ma con quale risultato alla fin fine? Di avere una spiegazione logica forse, ma per niente vitale né tanto meno utile e positiva. Sarebbe un semplice tirarsi fuori lavandosi le mani come Pilato.

La domanda del come

In realtà la domanda da cui viene una risposta davvero responsabile non è il perché, pur comprensibile e legittimo, ma il come: “Come fare perché questo episodio assuma senso? In che modo posso recuperare questo evento perché divenga significativo, parte di una storia di salvezza? Come rivivere quella reazione perché sia meno risentita e infantile e la ferita di un tempo non continui a rendere difficile o impossibile la relazione con qualcuno?”.

Ecco la domanda giusta, quella tipica del credente che è anche domanda intelligente e che dovrebbe essere frequentemente posta al proprio cuore. Poiché, a ben pensare, non ci sono solo le situazioni-limite, ma un po’ tutte le vicende della nostra vita sono incompiute e limitate. Anzi, come scrive Carlo Molari, “la maggior parte delle situazioni storiche sono contrarie alla volontà di Dio, perché inquinate dal peccato e limitate dall’infedeltà di uomini e donne e sono come tali insensate o assurde” (Ha un senso la propria vita?, in Rocca 21/1998, p. 55). Dunque chiedono un coinvolgimento attivo e responsabile da parte del credente o l’interpellano con quella domanda strategica tutta centrata attorno al “come”, ovvero attorno alla responsabilità dell’io.

L’esempio di Maria

Mi viene in mente che persino Maria Santissima di fronte all’Angelo che le svela il progetto dell’Incarnazione del Figlio di Dio esclama non un perché proprio a lei, bensì: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” (Lc 1,14). Qui Maria non chiede spiegazioni a Dio circa il progetto su di lei, ma il come evidenzia la sua disponibilità, coinvolgimento e responsabilità.

Maria quindi ci sollecita a prendere posizione e a coinvolgerci in ogni avvenimento più o meno bello della nostra vita. Se rispondiamo alla chiamata della vita accogliendo il progetto divino iscritto in essa, dobbiamo anche essere attenti a collocare ogni evento della nostra esistenza dentro la storia di salvezza che Dio ci propone. Anche al male quindi cerchiamo di dare un significato: quale senso, che significato può avere per il mio/nostro cammino spirituale questo episodio? Come posso/possiamo integrarlo nell’esperienza della mia/nostra storia con Dio?

L’esempio di Gesù

Guardiamo anche a Gesù che si è venuto a trovare in una situazione ben drammatica, dominata dal male, quando si trovò di fronte alla sua condanna da parte del sinedrio e di Pilato. Una situazione di certo ingiusta e peccaminosa. Ma Gesù, che pure ha conosciuto l’angoscia e il disorientamento tipicamente umani del “perché” (“Dio mio, Dio mio, per- ché mi hai abbandonato?”, Mt 27,46), se l’è addossata sulle spalle questa negatività, si è coinvolto in prima persona in essa, si è lascia- to interpellare da quel male, ha colto la do- manda e l’attesa profonda che saliva da quel vortice di peccato, ove l’umanità era perduta e come intrappolata e risucchiata.

Gesù ha risposto al male sottomettendosi ad esso e alla sua violenza, senza rispondere con altrettanto male; si è lasciato contaminare sì da esso ma per caricarselo come agnello innocente. E proprio agendo così ha fatto andare a vuoto la violenza provocante e ha sconfitto il male, anzi non solo lo ha sconfitto, ma lo ha trasformato in occasione positiva, di grazia, di perdono, di amore, di salvezza: “Per le sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53,5). Quanto grande è stato quel male, tanto grande ora la possibilità di grazia che ne deriva, grazie all’opera trasformante del Figlio di Dio, Agnello sofferente. La sua risposta è diventata simbolo di ogni risposta alla domanda sul co- me affrontare con responsabilità il male; simbolo dunque della trasformazione radicale del male, della piena responsabilità umana, dell’autentica integrazione del negativo.

Per questo la croce di Cristo è piantata saldamente al centro della vita umana; per questo è condizione di vita e di sopravvivenza per tutti gli uomini, è garanzia di relazione e comunione per la società, perché solo attraverso di essa, che è l’albero della vita, il male non ha più l’ultima parola e la morte può essere vinta.

Allora di fronte a qualsiasi evento dipende da noi assumere la posizione del coinvolgi- mento e responsabilità oppure del tirarcene fuori lavandoci le mani. Di fronte soprattutto al male possiamo prendere posizione assumendolo e trasformandolo come Gesù che ne ha fatto lo strumento di salvezza e redenzione per tutta l’umanità. Sarà la nostra parte di croce per partecipare con Cristo alla redenzione universale.

Amare da cristiani significa proprio questo: prenderci cura di tutte le situazioni che capitano trovando il loro senso e significato dentro il mistero della redenzione che è mistero  di morte e risurrezione, di morte per la vita. Questo ci è possibile assumendo lo stesso sguardo di Dio sulle cose e la realtà, sulle persone e le situazioni. Gesù accoglieva tutti ed ha accettato anche la morte dando ad essa il significato del dono supremo per dimostrare amore e misericordia all’umanità.

Don Roberto Roveran,

Delegato isf