Dimenticarsi per trovare la gioia

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   Per  la  gioia,  come  per  l’amicizia,  l’uomo  che  vuole  acquistarla  mediante  una  ricerca affannosa, la perde, e non la troverà proprio perché è tanto ripiegato su se stesso e preoccupato dei suoi interessi, che non pensa più al bene altrui, cioè non si indirizza più a un altro per renderlo felice. In altre parole, non considera più l’altro come una persona, ma in qualche modo come uno strumento  che  gli  può  servire  per  i  propri  scopi,  più  o  meno  elevati.  D’altra  parte,  l’uomo –

l’esperienza ce lo insegna –non può sentirsi a lungo felice da solo, perché la gioia tende ad una felicità con-gli-altri, ad un essere felici-insieme. L’uomo  infatti  è  strutturalmente  relazione,  cioè  è  per  la  sua  essenza  stessa  un  essere indirizzato-verso-l’altro: questo dato fondamentale fa sì che sarà un uomo gioioso solo l’uomo che in tutte le sue relazioni cerca di rendere felici gli altri.

    Evidentemente, la gioia raggiungerà il suo culmine, dove si rivela come il frutto di un reciproco amore disinteressato. È quindi una regola fondamentale che non si può essere sereni e gioiosi interiormente, se non si aiutano gli altri ad esserlo; ciò in pratica significa che bisogna essere più attenti a rendere sereni gli altri che a procurare gioia a noi stessi.

   La letizia spirituale accompagna una vita dedita agli altri, mentre il farci centro di tutto e il chiuderci in noi stessi ci rende tristi e soli. Così, colui che si rende colpevole dall’infelicità altrui, spegna la luce nei propri occhi ed essi diventano torbidi e duri. La letizia invece fiorisce in colui che sostiene  amabilmente  i  propri  fratelli,  che  è  gentile,  è  benevolo,  generoso  verso  di  loro,  che dimostra  pazienza,  comprensione,  apertura  verso  tutti,  che  è  magnanimo  e  rispettoso  nei  suoi rapporti con tutti.

In fondo, si sperimenta che la gioia è un fiore della carità, un raggio dell’amore cristiano, che crea comunione. È chiaro che non si può porgere la mano all’altro, per condividere le semplici gioie della vita, se non si ha il cuore sereno.

Come può, chi non vive in armonia con se stesso, incontrarsi in modo gioioso con un altro?

Anche qui bisogna ribadire che la gioia accompagna una vita limpida e pura. Il libro dei Proverbi osserva:  “Il cuore  felice  rende  lieto  il  volto,  il  cuore  in  pena  abbatte  lo  spirito” (Pr  15,13);  e  il Siracide: “Il cuore dell’uomo modella il suo volto, sia in bene, sia in male. Il viso ilare è indice di animo  sereno,  il  volto  triste  è  segno  di  preoccupazioni  e  affanni” (Sir  13,25-26). Tale  serenità dell’anima sarà il frutto della fedeltà alle proprie convinzioni più profonde e all’impegno di andare avanti accogliendo la vita come dono di Dio. (…)

Ma dobbiamo anche difendere e proteggere la serenità del cuore! Questo richiede da parte dell’uomo un atteggiamento attivo e prima di tutto l’attenzione di allontanare da sé ogni forma di tristezza insana e malvagia, in cui spesso si cela una vera tentazione da cui bisogna liberarsi con tanto più impegno quanto più ne è oscura e imprecisa l’origine.

La tristezza, dice in proposito il Pastore d’Erma, è il peggiore di tutti gli spiriti cattivi. Più di ogni altro spirito malvagio distrugge la capacità creativa dell’uomo, demolisce le forze migliori del cuore e dell’intelligenza, in una parola avvilisce e paralizza i voli più luminosi dell’anima.