DIO NON C’È (O QUASI) NELLE CANZONI DI SANREMO. RESTA L’IO

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Abbiamo ascoltato in anteprima i 28 brani scelti da Amadeus in gara al Festival che si svolgerà dal 7 all’11 febbraio. Ecco le nostre prime impressioni

Io, io, io, sempre fortissimamente io. Forse mai come in quest’edizione le canzoni di Sanremo riflettono l’individualismo dominante nella società di oggi. Abbiamo ascoltato ieri in anteprima tutte di seguito le 28, dicasi ventotto, canzoni scelte da Amadeus che si contenderanno la vittoria del Festival che si svolgerà dal 7 all’11 febbraio. Lo stordimento dopo questa maratona musicale è inevitabile, ma fatta la solita premessa (che in questo caso vale più di altre volte) sul fatto che occorra riascoltarle per poterne ricavare un giudizio più preciso, due tendenze saltano subito all’orecchio: si parla quasi esclusivamente d’amore; l’amore è un sentimento che non genera felicità, ma tormento o, nella migliore delle ipotesi, rimpianto.

D’accordo, Sanremo è Sanremo, ed è comprensibile e forse giusto che sia una bolla in cui rifugiarsi per cinque serate dimenticando la guerra in Ucraina, la crisi economica e i mille altri problemi che funestano la vita reale. Però che depressione, specie nei testi dei tanti artisti giovani. Prendiamo uno dei più bravi, Lazza. Il suo ultimo album, “Sirio”, è stato il dominatore della hit parade del 2022. Ma lui canta: “Primo in classifica ma non importa, mi sento l’ultimo come persona”. E, rivolgendosi alla sua lei, implora: “Aiutami a sparire come cenere”. Sulla stessa linea William Busetti, 21 anni, in arte Will, che arriva da Sanremo Giovani: “Siamo ferite che ballano, io non sopporto chi parla. No, siamo dolori che canterò e so che se torni non basterò”. Ariete, classe 2002, invece canta un amore tra due donne, una relazione di cui la protagonista non pare essere proprio convintissima: “Amore incerto, vorrei sapere se vado o se resto. Mi sa che resto”. In questo mondo dominato quindi dalla precarietà anche sentimentale, arrivano le parole definitive cantate da Leo Gassman, convinto di “avere talento per trasformare le sfide in sfighe”.

E i più grandicelli? Rimpiangono la loro gioventù, provando compassione per i ragazzi di oggi: “Non volevamo crescere. Anche morire giovani non puoi più perché adesso c’hai la family e dipende da te” (Articolo 31). Oppure si struggono per amori finiti, come Giorgia (“E tu alla fine eri una bella canzone che non si può ascoltare a ripetizione, maledizione!”); o come i Modà, che, parafrasando I giardini di marzo di Lucio Battisti, si chiedono: (“Che giorno è? È il primo giorno senza te. Lasciami con la nostra canzone e un bicchiere con dentro un tramonto”).

Discorso a parte per Gianluca Grignani, che conferma la sua sensibilità con un testo spietato nei confronti di sé stesso in cui immagina una telefonata con il padre. Che così si rivolge a lui: “Ciao, sono papà. Come va Gianluca? Ma no che non sto male. Ma quando accadrà tu verrai al mio funerale?”. In questo oceano di pessimismo Dio o, più in generale, per la spiritualità fanno capolino solo nell’inno femminista di Levante (“Credo nel Dio che prego. Padre nostro, Padre nostro, posso andare in cielo?”) e nell’intensissima interpretazione di Anna Oxa di Sali (Canto dell’anima). Per il resto, non resta che lasciarsi trasportare dalle trascinanti atmosfere dance alla Raffaella Carrà di Furore delle redivive sorelle Paola e Chiara o dell’altro duo Colapesce e Dimartino che con Splash prova a bissare il successo di Musica leggerissima in cui si cantava: “Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente”. Perfetta sintesi anche di quest’edizione del Festival.