Ecumenismo. I gesti d’amore cambiano la storia. Un commento dei teologi Scarafoni e Rizzo: l’unità si genera nelle piccole cose, dalle piccole comunità e si espande alla Chiesa e al mondo

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Durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani torna spesso alla mente con nostalgia la frase di Tertulliano «vedi – dicono – come si amano fra loro» (Apologeticum 39,7). Era evidente la novità dell’amore portata da Gesù Cristo, che riempiva i pagani di ammirazione nei confronti dei cristiani, in un mondo dove prevaleva l’odio. Poi quell’unione nella carità è stata spezzata dal peccato delle divisioni. Le apologie sono diventate trattati per “avere ragione” nei confronti di altri cristiani considerati propri nemici: «altare contro altare», da fratelli in Cristo a eretici da condannare e da scacciare. Il mondo guardando i cristiani può dire: «vedete la desolazione della divisione e come sono frammentati! Non si amano fra loro!». Da testimonianza a contro-testimonianza.

All’inizio del ’900 sono stati fatti i primi veri passi del dialogo ecumenico in ambito protestante. Non è stato facile perché subito si sono evidenziate due anime: quella che voleva incidere sull’aspetto pratico, sull’azione, convinti che «l’azione unisce, la dottrina divide»; e quella di chi cercava l’unità attraverso lo sforzo di giungere ad affermazioni teologiche comuni. La Chiesa cattolica restava sullo sfondo, con tanti sforzi personali di teologi e di comunità monastiche, ma senza l’avallo ufficiale. Il desiderio dell’unione venne accolto dai padri del Concilio Vaticano II; nel prologo al decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio (1965) scrivono: «Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II. Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica». Da allora i fratelli “separati” sono considerati con rispetto e amore; e questo è stato approfondito da Papa Francesco quando dice: «quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (Evangelii gaudium 246).

La Chiesa cattolica ha portato in dono la capacità di mantenere insieme azione e dottrina: sulla scia del Concilio il papa ribadisce che «se ci concentriamo sulle convinzioni che ci uniscono e ricordiamo il principio della gerarchia delle verità, potremo camminare speditamente verso forme comuni di annuncio, di servizio e di testimonianza» (EG 246). Gli altri fratelli in Cristo ci danno la possibilità di imparare molto sulla collegialità e sinodalità, sul ruolo dei laici e in particolare della donna. «Attraverso lo scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene» (EG 246).

Per molto tempo l’ecumenismo era stato un discorso che restava intra-ecclesiale, un dialogo inter-confessionale. La vera novità oggi consiste nel riscoprire la dimensione escatologica dell’unità, che riguarda l’umanità intera, la sua salvezza, tutto il creato. Cristo salvatore offre la salvezza a tutti gli uomini di tutti i tempi. Si passa da una prospettiva ecclesiologica ad una cristologica. Un ecumenismo non fondato sul confronto delle chiese, ma sulla riscoperta della missione comune, in cui la Chiesa non è per se stessa, ma per il mondo, per l’umanità reale specialmente quella sofferente, perseguitata e scartata. In Cristo “fratelli tutti”.

Grazie al dialogo ecumenico e alla ricerca dell’unità dei cristiani può nascere una nuova umanità. «Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento dell’animo, dall’abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità» (UR 7). Queste parole del Concilio oggi risuonano più chiaramente dentro di noi anche grazie all’esperienza della pandemia che ha messo in luce tante povertà nei rapporti umani. Quando esercitiamo il dialogo a tutti i livelli, dai grandi sinodi alle riunioni di condominio ci rendiamo conto che la maggior parte dei problemi nasce dai limiti umani del nostro comportamento: pregiudizi culturali e razziali, critiche reiterate e sterili, autoreferenzialità, narcisismo, incapacità di ascoltarsi, mancanza di pazienza e amorevolezza, mancanza di buone maniere, durezza di cuore, ecc. Siamo sempre più convinti che l’unità si genera nelle piccole cose, dalle piccole comunità e si espande alla Chiesa e al mondo. Papa Francesco insiste tanto sull’importanza dei piccoli gesti che generano processi di unità: «i gesti d’amore cambiano la storia: anche quelli piccoli, nascosti, quotidiani. Perché Dio guida la storia attraverso il coraggio umile di chi prega, ama e perdona» (Angelus 26 dicembre 2020).