Emozione e fede

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Anche le emozioni sono una risorsa. Le emozioni non sono “nemiche” della fede, ma si collocano normalmente dentro il suo percorso. La Chiesa ha stima delle emozioni nel mondo giovanile. Per una nuova figura di educatori.

Il mondo giovanile oggi, che occorre ascoltare meglio per essere fedeli alla vita e al senso di essa come il vangelo ce la presenta, è difficilmente riconducibile a categorie che comprenda tutti i giovani. Si tratta di preadolescenti cresciuti troppo in fretta, adolescenti quasi adagiati nel consumismo, ma sempre pronti a tradirlo per mete più alte, giovani stanchi di compilare curriculum che spesso sono troppo ingenui, giovani adulti con la laurea breve in attesa di impiegarsi ai call center, giovani finalmente al lavoro, pronti per il matrimonio, ma indecisi…

Il mondo delle emozioni

Di questo mondo variegato il seminario di studio ha voluto leggere con attenzione il mondo delle emozioni. Sono emozioni gli impulsi, le passioni, le paure, la noia, l’allegria, l’entusiasmo, la meraviglia, il fascino, la tristezza, l’infatuazione, l’innamoramento, la delusione, l’attrazione, il brivido del rischio e tanto altro… Il mondo delle emozioni è il contesto prevalente delle relazioni e dei rapporti umani. Le emozioni attraversano tutto il vivere quotidiano. Esse restano al centro delle osservazioni e del mondo relazionale (Rosa Il Grande). Dare un nome alle emozioni, anche a quelle che accompagnano o sono il tutto di esperienze sporadiche di fede, organizzarle, comprenderle e saper leggere quelle degli altri è un compito necessario da svolgere con urgenza.

Le emozioni sono di tutti, ma in particolare il seminario le ha volute leggere dentro il mondo giovanile per collegarle al discorso dell’educazione alla fede. Molti giovani guardano con preoccupazione alla carica di emotività che accompagna il credere o la ricerca religiosa, bollandola come religiosità totalmente incerta e vagamente pericolosa. Si tratta di una religiosità del sentire, del provare, del tentare. A questo punto ci poniamo una domanda: è forse più autentica una fede che, lasciando da parte sentimenti ed emozioni, faccia leva unicamente sulla chiarezza della ragione e sulla conseguente solidità della dottrina? Noi adulti siamo chiamati a censurare dalla vita di fede dei giovani le emozioni perché disubbidirebbero a dettami evangelici?

Rispondere a questi interrogativi significa rispondere al rapporto fede-vita, sentimenti e ragione, abbandono in Dio o calcolo. C’è uno spazio nella vita di fede per questa prorompente carica di emozioni e di affettività?

Un primo punto di non ritorno è la stima nei confronti del vasto mondo delle emozioni che caratterizza il mondo di oggi, e in particolare i giovani. Gli adulti non sono chiamati ad essere punitivi nei confronti di tali comportamenti, anzi devono imparare a gestire le proprie emozioni, per dare ancora più concretezza all’esperienza della fede. C’è chi ha detto che, nel tempo dell’indifferenza, si impone per la comunità credente la necessità di ritrovare la via delle emozioni nell’annuncio della fede. Si tratta di una via profondamente evangelica perché lo stesso Gesù nel suo parlare tocca le corde dell’affettività e usa il registro delle emozioni per mostrare il volto misericordioso di Dio e la forza travolgente del suo amore che cambia la vita (Pina De Simone).

Oggi i giovani, soprattutto i giovanissimi, possono essere chiamati “nativi digitali” perché sono nati con il cellulare e il computer in mano e hanno molteplici possibilità di essere stimolati da emozioni di ogni genere, usando sistemi operativi che permettono di eseguire più programmi contemporaneamente. Il loro è un mondo che permette un grande arricchimento, che va sempre di più affrontato con intelligenza e bravura.

Esistono anche aspetti problematici, che non vanno demonizzati, ma seguiti con cura. In questo contesto si è passati dall'”emozione-come-mezzo” all'”emozione-come-fine” oppure all’emozione vissuta come strumento altrui e non del suo titolare, per creare bisogni indotti. Sono sorte in questo modo aggregazioni, che non sono legate a ragioni di tipo geografico, etnico, ideologico o anche religioso, ma al consumo emozionale di beni, servizi, prodotti culturali o semplicemente mass-mediali. I ragazzi fanno gruppo in “comunità di consumo”, che si relazionano in base ad una passione comune nei confronti di un prodotto, un marchio o un’attività di consumo (Brusati).

 L’emozione nella ricerca di fede

La domanda che ci facciamo è come accettare la sfida e accompagnare questo mondo interiore e spirituale, che i giovani tengono sotto traccia, ad aprirsi a una vera spiritualità che vada oltre se stessi e si confronti con il dato concreto della spiritualità di Gesù Cristo. Nel mondo giovanile e adolescenziale esiste una ricerca di “qualcosa di più”, che chiede agli adulti risposte vere e profonde e non ingannevoli.

L’età della giovinezza è quella in cui si decide l’orientamento della propria vita sul piano affettivo, professionale e sociale. Dal punto di vista religioso sembra invece che tutto si sia già consumato prima. Occorre dunque ripartire da capo e impostare senza risposte precostituite il discorso della fede e la partecipazione alla comunità cristiana. Ogni giovane ha bisogno di essere aiutato a perseguire alcuni obiettivi importanti per la sua vita, in maniera esplicita e forte: il riconoscimento di Gesù nella sua identità di Figlio di Dio e Salvatore; l’appartenenza alla Chiesa, fondata sul battesimo; la conoscenza amorevole e orante della sacra Scrittura; la partecipazione all’eucaristia; l’accoglienza delle esigenze della sequela; l’impegno di fraternità verso tutti gli uomini; la testimonianza della fede in Gesù fino al martirio (Nosiglia).

Un’esperienza che è alla portata di tutti è l’aggregazione giovanile con tutte le sue molteplici forme che cambiano a seconda dell’età, delle tradizioni locali e delle stesse proposte. Le associazioni sono un’ottima alternativa alle “comunità di consumo” per produrre appartenenza ad un ideale e per rinforzare decisioni di vita e scelte impegnative per tutti.

Ha affermato l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia: «È la Chiesa che deve fare per prima il passo di “andare verso”, cioè di fare la scelta di uscire dal tempio per vivere in mezzo ai giovani, là dove sono e si trovano. Aprirsi e non restare chiusi dentro le proprie certezze, essere disponibili a cambiare guardando in faccia la realtà e scoprendo in essa cose nuove anche là dove sembra che tutto sia negativo e contrario ai principi della fede o della morale cristiana. Individuare dunque i varchi possibili, ma farlo insieme con i giovani non in senso paternalistico ma seriamente e con animo aperto all’amore…».

Proprio perché si dà giusta importanza alle emozioni, ai simboli, ai significati e alla bellezza è importante accostarsi alla liturgia in maniera privilegiata, come luogo del mistero e non delle facili manipolazioni, come contemplazione e mistica, e soprattutto come “ascetica” ed “etica”. I sensi interiori di cui parla la mistica medioevale sono imparentati con tante emozioni dei giovani d’oggi.

In questa prospettiva le emozioni giovanili diventano lo squarcio spontaneo che rende accessibile il bene, dando voce al desiderio di vita e di felicità che esse esprimono, all’invocazione di trascendenza, di spiritualità, di divino, di infinito che si portano dentro, alla ricerca del senso che caratterizza ogni esperienza di amicizia e di amore. Nelle emozioni si esprimono i bisogni antropologici fondamentali che sono in pratica gli agganci che ci permettono di costruire vite buone e felici (Nanni). Nell’educare alla fede occorre essere certi che non si stia manipolando le emozioni, ma che la spinta naturale verso la maturità dell’uomo come essere razionale, libero e responsabile, lo porta ad uscire dal mondo soggettivo delle percezioni e delle emozioni per trascendere il solo mondo sensibile e misurabile e per incontrare il mondo della fede (Versaldi).

Occorrono allora luoghi concreti, ponti tra la strada e la chiesa, scuole dove i giovani possono sentirsi accolti ed essere aiutati ad esprimere le proprie emozioni, nella musica, nel teatro, nelle pagine web, nel volontariato, nel servizio educativo alle generazioni più giovani, nella consapevolezza di essere amati da Dio e di poter amare tutti. Sono spazi in cui la preoccupazione organizzativa non deve sovrastare mai l’attenzione al vangelo e quindi alla persona.

È possibile lavorare sulle emozioni per aiutare a costruire una vita secondo lo Spirito, che ha il suo centro la persona di Gesù. L’esperienza dell’Arsenale della pace, del Sermig, è un esempio lampante di spiritualità giovanile, di emozioni portate al massimo in una visione del mondo inteso come luogo di pace e di giustizia, di accoglienza e di fiducia. L’esperienza di una Chiesa scalza (Olivero), perché tutta appoggiata su Dio, sulla sua Parola, sa innamorare ancora i giovani per aiutarli a vivere nello Spirito di Dio.

Nuove figure di educatori

Le “nuove” figure di educatori non giocano a fare da leader, ma costituiscono una comunità educante, capace di uno sguardo globale e condiviso sulla vita, sulle interazioni con il territorio e su un progetto formativo pure condiviso. Gli educatori devono sempre parlare con il “noi”, non con l’ossessione dell’io che lega a sé le persone, spegne ogni sogno e distribuisce libertà che diventano schiavitù. Si tratta di adulti con cui misurarsi per un forte bisogno di riconoscimento, di sostegno nella ricomposizione di esperienze frammentate e di fragilità e per coniugare la sconfitta con le conquiste. Da qui l’interrogativo: quale volto di Dio incontrano i giovani nelle nostre chiese? Troppe ringhiere e cenacoli non sono capaci di accogliere la strada; garantiscono solo, ma allontanano (Ciotti).

Un vero educatore di questi nostri tempi e che i giovani hanno capito, seguito e amato, è stato Giovanni Paolo II, che non ha mai usato il termine “dovete”, ma sempre il termine “potete, siete”. Egli stabiliva una sintonia con i giovani prima ancora di parlare con loro. Non li blandiva, li sapeva ascoltare e li orientava sempre a mete alte, difficili. Sapeva che i giovani temono più la mediocrità che il sacrificio. Chiedeva cose molto alte. Volava alto, si spingeva su traguardi impegnativi. Sapeva parlare al cuore di ciascuno. Usava la pedagogia di Gesù.