Gesù e il caos. Imparare a stare a testa alta fidandosi della luce della fede di Antonio Spadaro

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Gesù parla ai suoi discepoli. È a Gerusalemme, poco prima del suo arresto. L’evangelista Luca
(21,25-36) ci riferisce le sue parole che dispiegano scenari di caos estremo. “Vi saranno segni nel
sole, nella luna e nelle stelle” e “le potenze dei cieli saranno sconvolte”, dice Gesù. Regneranno,
dunque, la destabilizzazione e lo sconvolgimento. I punti di riferimento del giorno e della notte
saranno intaccati. L’orologio cosmico non funzionerà più. Il ritmo del mondo si incanterà. Le
lancette perderanno il loro ritmo.

E sulla terra? Si imprime come in uno specchio l’immagine del caos che agita gli animi: “Angoscia
di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti”, dice il Maestro. La terra diventa liquida di
mare in tempesta. Il cielo crolla e l’abisso inghiotte. Resta l’ansia per le ondate che sommergono di
tenebre il mondo. È un naufragio.

E gli uomini? Come gli esseri sballottati sulla tolda di una nave, essi “Moriranno per la paura e per
l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra”. Spesso sono i sentimenti che ci rendono vivi o morti,
che ci vivificano e ci tramortiscono. È la condizione umana di ansia e attesa, di paura, che introduce
un senso di morte. Non ci sono sfumature di grigio nella visione di Gesù che si immerge nelle
ombre dell’uomo spaesato, il quale vede crollare le sue certezze e la sua stabilità. In questo caos
possiamo vedere ogni sofferenza umana, ogni sopraffazione, ogni persecuzione.

Ma ecco che proprio quando le acque scure del naufragio cosmico sembrano inghiottire il visibile,
ecco che la visione si fa nitida: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande
potenza e gloria”. Proprio le tenebre esaltano la potenza e la gloria del Figlio dell’uomo che viene.
Non c’è nulla di tremendo nella sua manifestazione. C’è, invece, la luce che spacca le tenebre in un
contrasto ottico dirompente. Quando ci sono le tenebre, proprio allora scoppia la luce. Non ci sono
prima le tenebre e poi la luce, no: quando le tenebre invadono il campo visivo, allora, proprio allora,
la gloria si squaderna. È questo il paradosso della grazia, l’ossimoro della speranza, l’annuncio del
Vangelo della resurrezione, il senso della fede: non c’è abisso che sia destinato a rimanere ombra
perché al suo interno vuole scoppiare la luce. Dio non è fuori dalla tragedia e dall’angoscia: la abita
e la fa brillare dall’interno.

La sua manifestazione non è separata dal buio, non è esterna al mio
intimo tormento. Dio mi scoppia dentro. Dio invade lo spazio oscuro, il buco nero dell’anima del
mondo. Gesù chiaramente illustra questa luce potente come una liberazione. È questa rivoluzione
che spinge ad alzare il capo: “risollevatevi e alzate il capo”, esorta il Maestro. L’uomo tramortito
dalla paura tende a curvarsi per proteggersi, per ripararsi, per nascondersi. O tende ad appannarsi
per non essere preso dalle ubriachezze. Bisogna restare sobri: “che i vostri cuori non si
appesantiscano”, chiede Gesù: “State attenti a voi stessi!”.

Questo è l’appello a un esercizio dello
spirito che permetta di non rimanere vittime delle onde della vita. Bisogna imparare a stare a testa
alta fidandosi della luce della fede che spacca il buio. Lo sguardo, dunque, deve essere alto e vedere
oltre: deve drizzarsi. Il movimento del capo che si drizza richiede elasticità, prontezza, l’agilità di
non lasciarsi sopraffare del terrore che incombe. Occorre vegliare e pregare per “comparire davanti”
al “Figlio dell’uomo”, cioè stare in piedi davanti a lui. Se la vita si ripiega su sé stessa non vede la
luce, si lascia trascinare dalle onde, naufraga