Dove abita Dio? Bella domanda. Nel senso che è la domanda che tutti noi, prima o poi, ci siamo posti. Non c’è una casella postale, un numero di telefono, un indirizzo, un citofono con un pulsante su cui ci sia scritto: “Dio”. È vero, il catechismo di Pio X riassumeva questo interrogativo nella formula che forse tutti ricordiamo, «Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo». Ma il problema è che quella domanda continua a risuonare nella testa: dove abita Dio? C’è un posto fisico dove poterlo rintracciare? Yuri Gagarin, il primo cosmonauta della storia, dalla radio della Vostok 1 si premurò di informare il mondo che «non vedo nessun Dio quassù». Un’affermazione senza senso, come avrebbe dovuto essere ovvio, ma che in tanti presero sul serio, e ci fu anche qualcuno che lo dichiarò pubblicamente. Perché in ogni epoca e latitudine c’è sempre qualcuno che si crogiola nella propria voglia di prendere le distanze da queste «superstizioni». Nel 1990, sul volo di ritorno dal Messico, Giovanni Paolo II come sempre passò lungo i corridoi dell’aereo per salutare a uno a uno tutti i giornalisti del volo papale. Quando arrivò davanti a un collega che stava un paio di file prima di me, questi gli strinse la mano e, senza lasciare il tempo al Papa di aprire la bocca, precisò subito che «io sono laico». Wojtyla gli rispose solo «allora non abbiamo nulla da dirci». Ma prima di allontanarsi, sorridendo, con l’indice della mano destra picchiettò il petto del giornalista, all’altezza del cuore.
Il significato di quel gesto me l’ha spiegato Papa Francesco, all’angelus della prima domenica del nuovo anno. Di fronte alla nostra fragilità, ha detto, «il Signore non si tira indietro. Non rimane nella sua eternità beata e nella sua luce infinita, ma si fa vicino, si fa carne, si cala nelle tenebre, abita terre a Lui estranee… perché non si rassegna al fatto che noi possiamo smarrirci andando lontani da Lui, lontani dall’eternità, lontani dalla luce. Ecco l’opera di Dio: venire in mezzo a noi. Se noi ci riteniamo indegni, questo non lo ferma, Lui viene. Se lo rifiutiamo, non si stanca di cercarci. Se non siamo pronti e ben disposti ad accoglierlo, preferisce comunque venire. E se noi gli chiudiamo la porta in faccia, Lui aspetta. È proprio il Buon Pastore. E l’immagine più bella del Buon Pastore? Il Verbo che si fa carne per condividere la nostra vita. Gesù è il Buon Pastore che viene a cercarci lì dove noi siamo: nei nostri problemi, nella nostra miseria».
Perché, ha aggiunto Bergoglio «ognuno ha il proprio peccato e Lui non si spaventa dei nostri peccati: è venuto per guarirci. Almeno facciamoglielo vedere, che Lui veda il peccato. Siamo coraggiosi, diciamo: “Signore, io sono in questa situazione, non voglio cambiare. Ma tu, per favore, non allontanarti troppo”. Bella preghiera, questa. Siamo sinceri».
Parliamo insomma di un Dio «che vuole abitare con noi. E attende che gli presentiamo le nostre situazioni, quello che viviamo. Allora, davanti al presepe, parliamo a Gesù delle nostre vicende concrete. Invitiamolo ufficialmente nella nostra vita, soprattutto nelle zone oscure… Parlare con chiarezza, concretezza. Le zone oscure, le nostre “stalle interiori”: ognuno di noi ne ha. E raccontiamogli senza paura anche i problemi sociali, i problemi ecclesiali del nostro tempo; i problemi personali, anche i più brutti: Dio ama abitare nella nostra stalla». Non ci serve né un indirizzo, né un citofono. Dio è già dentro di noi. Sempre.
Il significato di quel gesto me l’ha spiegato Papa Francesco, all’angelus della prima domenica del nuovo anno. Di fronte alla nostra fragilità, ha detto, «il Signore non si tira indietro. Non rimane nella sua eternità beata e nella sua luce infinita, ma si fa vicino, si fa carne, si cala nelle tenebre, abita terre a Lui estranee… perché non si rassegna al fatto che noi possiamo smarrirci andando lontani da Lui, lontani dall’eternità, lontani dalla luce. Ecco l’opera di Dio: venire in mezzo a noi. Se noi ci riteniamo indegni, questo non lo ferma, Lui viene. Se lo rifiutiamo, non si stanca di cercarci. Se non siamo pronti e ben disposti ad accoglierlo, preferisce comunque venire. E se noi gli chiudiamo la porta in faccia, Lui aspetta. È proprio il Buon Pastore. E l’immagine più bella del Buon Pastore? Il Verbo che si fa carne per condividere la nostra vita. Gesù è il Buon Pastore che viene a cercarci lì dove noi siamo: nei nostri problemi, nella nostra miseria».
Perché, ha aggiunto Bergoglio «ognuno ha il proprio peccato e Lui non si spaventa dei nostri peccati: è venuto per guarirci. Almeno facciamoglielo vedere, che Lui veda il peccato. Siamo coraggiosi, diciamo: “Signore, io sono in questa situazione, non voglio cambiare. Ma tu, per favore, non allontanarti troppo”. Bella preghiera, questa. Siamo sinceri».
Parliamo insomma di un Dio «che vuole abitare con noi. E attende che gli presentiamo le nostre situazioni, quello che viviamo. Allora, davanti al presepe, parliamo a Gesù delle nostre vicende concrete. Invitiamolo ufficialmente nella nostra vita, soprattutto nelle zone oscure… Parlare con chiarezza, concretezza. Le zone oscure, le nostre “stalle interiori”: ognuno di noi ne ha. E raccontiamogli senza paura anche i problemi sociali, i problemi ecclesiali del nostro tempo; i problemi personali, anche i più brutti: Dio ama abitare nella nostra stalla». Non ci serve né un indirizzo, né un citofono. Dio è già dentro di noi. Sempre.