GUERRA E PACE (Articolo di Vito Mancuso su la Stampa)

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Ci sono domande alle quali non si vorrebbe rispondere perché si conosce la complessità della situazione, non riducibile a un sì o a un no. Eppure a volte rispondere è necessario, assumendosi i rischi della coscienza morale in azione. Mi chiedono: “Sei a favore dell’invio di armi in Ucraina?”. Rispondo: Sì, sono a favore; credo occorra ascoltare il loro appello e non lasciarli soli, condivido la posizione dell’Ue e del governo. Ribattono: “Ma allora tu sei a favore della guerra! Appoggiando l’invio di armi, dici sì alla guerra, versi benzina sul fuoco, alimenti la carneficina!”.
L’obiezione proviene soprattutto da chi dichiara di volere la pace più di ogni altra cosa e può avere una duplice argomentazione: o di tipo ideologico in quanto sempre e comunque contrari all’uso delle armi, o di tipo pragmatico in quanto consapevoli che contro la Russia non ci può essere Ucraina che tenga, e che anzi, armandola di più, se ne incrementa la strage. Anch’io però amo la pace, ho speso buona parte della vita a servirla e fondarla eticamente, e non per questo le mie conclusioni sono di lasciare inascoltato l’appello degli ucraini e di non aiutarli militarmente nella loro difesa dall’aggressione russa. Ma ho appena scritto aggressione “russa” e mi si stringe il cuore: è dai tempi del liceo che la mia anima si nutre di Dostoevskij, Tolstoj, Čechov, Pasternak; alla memoria di Vasilij Grossman, ebreo nato in Ucraina e di lingua madre russa, ho dedicato un libro. Quando ho incontrato il pensiero teologico russo con Solov’ëv, Florenskij, Sergej Bulgakov, Berdjaev, i grandi pensatori della sofiologia, è stata per me una folgorazione.
E poi, come dimenticare i venti milioni di morti dell’Armata Rossa grazie a cui il nazifascismo è stato sconfitto? Mi ritrovo quindi colmo di perplessità e per sciogliere il nodo cerco di esercitare l’intelligenza spronandola al suo principale lavoro da cui tutto il resto dipende: capire. Ma cosa c’è da capire?
Guerra e pace: ecco cosa c’è da capire. Prendo spunto dal titolo del capolavoro di Tolstoj (che peraltro nella seconda metà della vita fu un pacifista radicale con posizioni politiche prossime all’anarchia) per sostenere che la Storia a volte non consente di optare per la guerra o la pace, come oggi vuole chi, dichiarandosi a favore della pace, è contro l’invio di armi agli ucraini. Talora non si dà guerra “o” pace, bensì guerra “e” pace, con la congiunzione “e” a connettere intimamente i due fenomeni. Come tradurre in latino il titolo di Tolstoj? Me lo chiedo perché il latino ha una capacità molto più ampia dell’italiano di esprimere la congiunzione “e”, che può essere resa con “et”, “ac”, “atque” e con il “que” aggiunto alla fine del secondo termine, per esempio “senatus populusque”, a indicare che i due termini sono così uniti da essere quasi una cosa sola: due atomi che formano una molecola. Quale congiunzione avrebbero scelto Cicerone, Seneca o Tacito per unire oggi “bellum” e “pax”?
La pace non è mera assenza di guerra, è piuttosto un atteggiamento interiore, io penso sia una diversa volontà di potenza e la definisco “coraggio” nel senso etimologico di “azione del cuore”. Ma l’insegnamento pressoché unanime delle tradizioni spirituali e filosofiche è che la pace, non solo non è mera assenza di guerra, ma, per essere veramente servizio della vita e non imposizione (come la “pax romana”) o ideologia mascherata (come l’odio antioccidentale di alcuni), può essere anche presenza di guerra. In che senso?
Nel senso che deve contenere in sé anche la possibilità della guerra come legittima difesa. In questo caso si ha la guerra “giusta”, contemplata unanimemente dalle maggiori tradizioni filosofiche e spirituali. Sintetizzando sapienza greca e dottrina cristiana, Tommaso d’Aquino si chiedeva se è sempre un peccato fare la guerra (utrum bellare semper sit peccatum, cfr. Summa theologiae, II-II, q. 40) e rispondeva di no a tre condizioni: legittimità dell’autorità che la conduce, giusta causa, giusta finalità.
La guerra di Putin non è giusta perché:
1) l’autorità che la conduce è democraticamente illegittima in quanto regime liberticida che nega la libertà, censura l’informazione, incarcera gli oppositori (Navalny), talora li uccide (Politkovskaja, Nemcov, Litvinenko); non è insomma una democrazia ma una “democratura”, come l’ha definita Massimo Giannini;
2) la sua causa è palesemente l’attacco, non la difesa, come afferma una dichiarazione sottoscritta da migliaia di scienziati russi e presentata su questo giornale da Elena Cattaneo;
3) ha come finalità il controllo di un paese sovrano per ridurlo a proprio vassallo.
Al contrario, la guerra condotta dall’Ucraina è giusta perché:
1) viene condotta da un governo eletto democraticamente;
2) è motivata dalla naturale volontà di difendere il proprio paese e la vita dei cittadini;
3) ha come fine la libertà.
Ne viene che questa guerra è ingiusta e giusta al contempo, a seconda della posizione, e non è del tutto vero quanto pensava Gino Strada secondo cui “la guerra giusta non c’è: nove vittime su dieci sono civili”: è vero per la guerra di Putin, è vero per la guerra degli Usa che intendevano esportare la democrazia costruendo menzogne, è vero per ogni altra guerra di aggressione. Non è vero però per la guerra degli ucraini e per ogni altra guerra di difesa.
Il fenomeno Storia è complesso, richiede un’intelligenza delicata e priva di certezze a priori: si pensi alla Seconda guerra mondiale che fu al contempo aggressione nazifascista e lotta contro il nazifascismo e resistenza, e prima ancora si pensi a tutte le guerre di indipendenza che hanno consentito ai popoli oppressi di raggiungere la libertà. Il che attesta che a volte nella Storia non si dà la possibilità di scegliere o guerra o pace, ma le si deve tenere insieme entrambe: e guerra e pace. Volere la pace significa: a) preparare in tutti i modi la pace; b) essere altresì pronto a una guerra di difesa dall’ingiusto aggressore.
La pace e la guerra sono quindi sullo stesso piano? No, la pace è infinitamente superiore, ma proprio per questo essa contiene la possibilità (estrema ma reale) della guerra. Essa non è il contrario della guerra, ne è il superamento, Aufhebung avrebbe detto Hegel indicando il processo che sa custodire anche le ragioni dell’antitesi. L’insegnamento da trarre è che le opzioni di guerra non devono essere escluse a priori e che talora purtroppo è necessario ricorrervi. Ha scritto al riguardo Gandhi, il più celebre padre della non-violenza: “Supponiamo che un uomo venga preso da una follia omicida e cominci a girare con una spada in mano uccidendo chiunque gli si pari dinnanzi, e che nessuno abbia il coraggio di catturarlo vivo. Chiunque uccida il pazzo otterrà la gratitudine della comunità e sarà considerato un uomo caritatevole” (Teoria e pratica della non-violenza, p. 69).
Questa è la risposta all’obiezione di chi è sempre e comunque contrario alla guerra e all’uso delle armi, rimane la seconda di tipo pragmatico secondo cui l’invio di armi agli ucraini contro i russi non serve a nulla a causa della sproporzione delle forze. Si tratta però di un argomento che suppone competenze militari non in mio possesso, io mi posso limitare a dire che se un bambino viene malmenato da un energumeno impazzito non è che io non intervengo perché se no costui si arrabbia ancora di più.
Dobbiamo costruire la pace. È un dovere politico e morale. Forse, a partire dal 24 febbraio, questa è diventata la missione della nostra vita. Al riguardo c’è un livello militare: gli ucraini combattono per la loro libertà e occorre aiutarli militarmente. C’è un livello umanitario: gli ucraini hanno bisogno di assistenza e occorre inviare loro cibo, vestiario, medicine, e accogliere amorevolmente tutti coloro che si mettono in salvo. C’è un livello diplomatico e occorre perseguire e incoraggiare tutte le trattative. Occorre inoltre tenere presente che la guerra riguarderà sempre più anche il popolo russo, consegnato dal suo dittatore a un nero futuro: se si vuole la pace, anche i russi sono da aiutare ascoltando le loro ragioni, onorando la loro maestosa cultura, non emarginandoli come reietti.
Soprattutto dovremmo sorvegliare attentamente la nostra coscienza per far sì che non vi entri il veleno dell’odio, neppure di fronte alle immagini più strazianti della guerra iniquamente condotta da Putin. I russi infatti, per quanto ora costretti a obbedirgli, non sono Putin, così come i tedeschi non erano riducibili a Hitler, gli italiani a Mussolini, i serbi a Milošević, l’umanità a Caino. Nella Amsterdam occupata dai nazisti, una giovane donna ebrea, Etty Hillesum, poi uccisa ad Auschwitz, scrisse in una lettera datata dicembre 1942: “So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e a buon mercato? Ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende ancora più inospitale”.