IL BEATO ALBERIONE E SAN PAOLO: AFFERRATO DA CRISTO, COME L’APOSTOLO DELLE GENTI

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Il “padre” della Famiglia Paolina voleva che dopo la sua morte non si parlasse più di lui, ma solo del “gigante della fede” nato a Tarso perché, diceva, «è lui fondatore, modello, padre e ispiratore per tutti noi»

Sono trascorsi diversi anni ma ancora oggi mi torna in mente un episodio a prima vista banale: una volta incontrai un padre benedettino. Dopo essermi presentata come una Figlia di San Paolo, egli, volendo fare lo spiritoso, rispose: «Pensavo che san Paolo non fosse sposato. Come mai ha delle figlie?». In quel tempo ero una suora molto giovane e ne avevo ben poco di ciò che si potrebbe chiamare una “santa audacia”. Dunque, cortesemente balbettai qualcosa sul legame spirituale tra l’Apostolo delle genti e la Famiglia che porta il nome di “Paolina”.

Tuttavia, dopo tanti anni e nonostante tutta la fugacità di quel momento, ancora oggi continuo a ripensarci e talvolta a costruire dialoghi fittizi nei quali il mio interlocutore rimarrebbe stupito da una convinzione veramente degna dell’apostolo che non ebbe timore di fronteggiare anche Pietro, il capo dei Dodici.

E come si svolge un dialogo di questo genere? «Pensi al passo della Lettera ai Galati 4,19», dico tirando fuori dalla mia faretra la prima freccia. Ma poi ci ripenso e opto per un tono meno belligerante: «Non è forse anche lei un figlio di san Benedetto?». Così affronto la domanda con un’altra domanda, come – si dice – farebbero i Gesuiti. «Sì, sono un figlio spirituale di san Benedetto, perché è lui che ci ha fondati», precisa con fierezza il membro dell’ordine benemerito. E soggiunge: «Ma san Paolo non ha fondato nessun istituto. Non dovreste forse chiamarvi “giacomiani” oppure “alberioniani”?». Rispondo subito: «No, non possiamo chiamarci così perché il nostro Fondatore così ha insistito in maniera molto chiara: “Dopo la mia morte non si parli più di me, ma solo di san Paolo: lui è il fondatore, il modello, il padre, l’ispiratore per noi». «E in che cosa vi ispira san Paolo? Forse dovete andare in giro anche voi per il mondo?», continua un po’ incuriosito colui che si impegna a testimoniare la fedeltà a nostro Signore oltre che con l’orazione e il lavoro, anche con la famosa stabilitas loci. A questo punto lascio il mio interlocutore fittizio a godersi il posto stabile che ormai gli spetta nella mia immaginazione e vado a cercare la risposta che va ben oltre le battute del momento durante le conversazioni casuali.

Che cosa significa davvero essere “Paolini”? La ricerca mi porta inevitabilmente a riaprire i testi del beato Alberione, che tutti i membri della Famiglia da lui fondata imparano a prendere in mano già nei primi mesi della formazione religiosa. Ciò che sovente colpisce le menti giovani e penetra facilmente nei cuori desiderosi di cambiare il mondo è la coniugazione del verbo “fare”. Del resto, anche il giovane nel Vangelo di Matteo interpella il Maestro su che cosa bisogna fare per avere la vita eterna (Mt 19,16-22). Così, immergendomi di nuovo nei testi del fondatore, mi rendo conto che anche per me – soprattutto nei primi anni della mia vita religiosa – l’aggettivo paolina sapeva anzitutto del fare: siamo paolini perché cerchiamo di fare ciò che faceva e farebbe anche oggi san Paolo, cioè diffondere il Vangelo con tutti i mezzi a nostra disposizione.

Però, è davvero qui racchiuso il nucleo di quella che noi chiamiamo “vita paolina”? Cerco di scrutare negli appunti autobiografici del fondatore della Famiglia Paolina.

Che cosa ha portato questo piccolo sacerdote piemontese ad attribuire la propria opera fondatrice all’Apostolo delle genti? In essi don Alberione afferma esplicitamente che la sua «ammirazione e la divozione per san Paolo cominciarono dallo studio e dalla meditazione della Lettera ai Romani. Da allora la personalità, la santità, il cuore, l’intimità con Gesù… il suo zelo per tutti i popoli, furono soggetti di meditazione». Più avanti, nel medesimo scritto, soggiunge: «In San Paolo si trova il Discepolo che conosce il Maestro Divino nella sua pienezza; egli lo vive tutto…».

Una riflessione molto interessante. All’attività apostolica di san Paolo non spetta il primo posto nell’elenco delle sue ammirevoli qualità. E poi, come mai proprio la Lettera ai Romani e non, invece, gli Atti degli Apostoli che presentano Paolo nel pieno delle sue imprese apostoliche? La Lettera ai Romani è considerata la penultima delle lettere autentiche dell’apostolo. Venne scritta nel periodo in cui Paolo aveva visto non soltanto i frutti appaganti della sua attività evangelizzatrice ma, come risulta dalle lettere precedenti, aveva dovuto anche affrontare degli aspri conflitti nelle comunità da lui stesso fondate. Non mancavano contrarietà anche da parte di coloro che avrebbe dovuto essere “la sua gente”. La Lettera ai Romani, perciò, nacque nel periodo in cui nella vita dell’Apostolo traspariva sempre di più la sagoma della croce anziché i contorni di un’opera umana ben riuscita.

Ecco, proprio questo “tipo” sembra essere il personaggio che ha affascinato il fondatore della Famiglia chiamata “Paolina”. In altre parole, a prima vista potrebbe sembrare che don Giacomo Alberione fosse affascinato dalla figura di Paolo quale uomo intraprendente ed estremamente efficace nella sua attività apostolica. Tuttavia, una lettura più attenta delle sue righe e delle lettere che ha scritto alle comunità cristiane sembra però portare alla luce piuttosto un altro aspetto della sua vita: il fascino dell’Apostolo sta anzitutto nella sua somiglianza con Gesù Cristo. Paolo non è grande agli occhi di Alberione perché ha fatto tante cose per il Vangelo. Paolo è grande perché ha completamente lasciato spazio a ciò che Gesù Cristo ha fatto per lui e in lui.

Questa scoperta mi infonde il coraggio di ritornare al mio interlocutore immaginario che ho richiamato all’inizio. Desto la sua attenzione con una tirata amichevole alla manica del suo abito religioso e gli dico: «Sì, padre, san Paolo ha tanti figli e figlie. Anche se non ha fondato nessun istituto religioso noi veniamo chiamati “Paolini” perché, proprio come Paolo, ci siamo lasciati afferrare completamente da Gesù Cristo».