Non abbiamo noi l’ultima parola sulla vita e sulla morte, non siamo noi la fonte di ogni vero amore.
Abbiamo però una capacità sorprendente di distruggere, una capacità sorprendente di illuderci cercando di metterci al posto di Dio e quando lo facciamo generiamo sofferenza per gli altri e per noi stessi, perché
in quel momento si oscura il senso delle cose e il volto dell’altro.
In questa Pasqua siamo chiamati a rimettere al centro non noi stessi ma l’amore crocifisso e risorto di Gesù che supera abbondantemente tutte le nostre miopi ragioni, colpisce le ragioni del Dio Qua-trinus e svela, invece, le ragioni del Dio Trinus.
Il Dio Trinitario non distrugge le persone che non la pensano come lui, non alza muri e steccati con chi ha idee diverse da Lui, non risolve i conflitti imponendosi in modo violento e duro, non vive relazioni fredde e risentite. Ed è l’unico che potrebbe farlo, l’unico che avrebbe le davvero ragioni per imporsi.
Quella rabbia che coltiviamo nel cuore, quell’essere pessimisti scontenti, quella sfiducia crescente in noi non sono voci che vengono da Dio e dobbiamo dire di no a queste voci nella nostra mente e nella nostra coscienza.
Sono voci e sentimenti che ci allontanano profondamente dal mistero di Dio, ma ci allontano profondamente anche dagli altri intorno a noi.
Quando nel nostro cuore viviamo sentimenti ed emozioni forti e profondi dobbiamo chiederci da chi vengono.
Se portano alla pace, se portano all’amore, se portano alla pazienza, se portano alla benevolenza, se portano al dominio di sé, se portano alla riconciliazione, se portano a dare fiducia a Dio e al prossimo, allora vengono da Dio.
Altrimenti significa che non vengono da Dio e dunque non hanno nessun futuro.
Il tempo di Pasqua è il momento in cui avviare un percorso (che nella liturgia dura 50 giorni) in cui imparare a decifrare le voci che si affacciano dentro di noi e che sentiamo fuori di noi, per chiederci da dove vengano e da chi vengono.
L’augurio è che tutta la nostra vita sia un tentativo di rispondere in modo efficace a questa domanda, per cercare di essere più “poveri in spirito”, più affamati di giustizia, più digiuni di colpe.
don Luca Violoni