Il Tempo Forte della Quaresima: il simbolo del numero quaranta

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Quaranta è un numero simbolico importante nella Bibbia. 40 anni durò il cammino degli ebrei nel deserto; altrettanti furono gli anni del regno di Davide. Era anche il segno della maturità. Da questo numero fu segnata la vita di Mosè, secondo il discorso di Stefano, negli Atti (7,17-43): a 40 anni egli scende in mezzo ai suoi fratelli schiavi in Egitto; per 40 anni conduce il popolo attraverso il deserto; infine, dopo altri 40 anni, sale sul Nebo a vedere finalmente la terra promessa da Dio, là – a 120 anni.- muore ed è sepolto. Infine, a immagine dei 40 anni nel deserto, Gesù vi trascorre 40 giorni nel digiuno, per combattere e superare il Maligno. Al numero “quaranta” attinge il suo significato anche la quaresima: i 40 giorni che incamminano e preparano alla Pasqua diventano un itinerario personale e un percorso ecclesiale di carattere penitenziale.

I 40 anni del popolo di Dio ci insegnano a rifare la storia, a riprendere il nostro cammino, imitando l’esperienza del popolo di Dio nel deserto. È un cammino che guida a una riscoperta personale della fede, del volto di Dio. Nel deserto Israele ha scoperto il Dio dell’alleanza, ma anche il Dio dell’esigente libertà, il Dio paziente e misericordioso, ma anche il Signore che li faceva camminare. Soprattutto il Dio vicino.

È anche il primo annuncio che Gesù rivolge: Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete. Da quel momento compie una serie di gesti che mostrano concreta e vicina la misericordia del Signore: tocca i malati e i lebbrosi, li prende per mano, guarda con affetto, chiama e si lascia toccare, accarezzare e profumare. È il Dio vicino che si lascia accostare. Il Dio che è dentro di noi, nel nostro cuore.

Il contatto con la Parola del vangelo, proposta con abbondanza in questo tempo, diventa il primo strumento che la chiesa ci offre per una fede pensata. confrontata con la nostra esperienza, in grado di fare riscoprire sempre il volto nascosto di Cristo e del Padre. Non sarà un incontro drammatico come quello di Giobbe, ma non meno fruttuoso. Potrà essere simile a quello di Pietro che chiede a Gesù di afferrarlo per mano per non affondare o quello del centurione che invoca: Accresci la mia fede; quello della peccatrice che ai piedi di Gesù attende silenziosa un atto di pacificazione o quello del cieco che implora: «Gesù, figlio di Davide, che io ci veda». È importante accostarci alla parola delle Scritture e ascoltare, renderci disponibili perché il Signore possa operare dentro di noi e cambiarci, perché possa mostrarci il suo volto “vero”, non quello creato dalle nostre fantasie o dalle nostre temporanee paure e sofferenze.

Un aspetto inevitabile della vita è la prova. Lo ricorda Pietro. all’inizio della sua prima lettera (1, 6-9): la prova esalta il valore ella fede, aiuta a percepire in modo adulto la presenza di Cristo. La fede provata non è superficiale, astratta o puramente intellettuale, ma accetta di confrontarsi con la durezza della vita. La prova purifica. La tentazione, la domanda, forse anche la rabbia sono necessarie: allenano e conducono a una robustezza che sa affrontare la fatica, ma esigono risposte personali e scelte responsabili.

Se la fede in ultima analisi ci conduce alla consolazione. questa non si riduce a un rifugio. Comporta la forza di camminare, anche quando la strada è faticosa, impervia o oscura. Il salmo 23 – «Il Signore è il mio pastore»- esprime fiducia nella prova. È la fede adulta che ritrova il cammino nella certezza che Dio accompagna. È importante intravedere la presenza, lasciarsi guidare senza perdere la meta, implorare anche se Dio sembra silenzioso (Sal 22 e 89). Se il cammino nel deserto ha comportato fame e sete, discussioni e mormorazioni, paure e incertezze, reticenze e ribellioni, alla fine ha rivelato il volto di un Dio che camminava insieme, guidava e proteggeva: «Alla fine capirete. Non tutto è sempre chiaro; la prova aiuta a cercare i “segni” che illuminano l’oscurità.

Allora diventa essenziale, per quanti appartengono al popolo di Dio, vivere nella tensione verso la terra promessa, attirati dalla meta. Nell’esodo è stato più importante il cammino che lo stesso possesso della terra stessa. Il cammino quaresimale ci insegna a guardare al, futuro più che al passato, a lasciarci attirare, più che dalle nostalgie, dalle possibilità nuove che la vita ci riserva. La quaresima tende a Pasqua, è un ritorno… al futuro!

Può diventare provvidenziale anche l’amarezza di un insuccesso o la costrizione della vita che ci obbliga a uscire, a incontrare nuovi mondi, nuove realtà, nuove persone. Ci insegna a imparare anche dal poco o dall’imperfetto. Quando il popolo ebraico dovette andare in esilio, fu privato di tutto… ma scoprì la “Scrittura” e la possibilità di vivere la propria fede in ogni luogo: divenne missionario. Quando i primi cristiani, furono cacciati da Gerusalemme, si diffusero in altre città e scoprirono la novità dei pagani credenti: nacque la comunità cristiana di Antiochia.

Il vivere oggi come minoranza ci stimola a una fede più cosciente e personale; a ridarci i nostri ritmi di fede, oltre le “agende” o le agenzie ufficiali. Ci porta a condividere con altri le verità, stimola a intuire insieme la grandezza della fede, a constatare e riconoscere la fede vissuta in tanti luoghi e da persone insospettabili, a rivelare ciò che è segreto. Oggi la fede ci sollecita a vedere i frutti nascosti del bene, come capitò al profeta Geremia che Dio invitò a essere il “racimolatore” dei grappoli sfuggiti ai vendemmiatori (Ger 6,9), anche se la sua risposta, impaziente, fu che era inutile cercare; a fare il “saggiatore” per tentare, se possibile, di staccare le scorie dal metallo, anche se egli stimava la cosa impossibile e non attuabile (6,2730; 15,19-20). La fede ci obbliga a dirigerci verso gli aspetti oscuri, meno visibili.

I 40 giorni di Gesù conducono i discepoli di Gesù – noi compresi a rifare con lui l’esperienza del deserto. Là Gesù ci insegna anzitutto a confidare nella parola di Dio. Essa non ci esonera dalla fatica di cercare, non ci libera dai problemi, ma ci aiuta ad affrontarli con lo sguardo e l’intelligenza della fede, ad avere familiarità con Dio che parla a noi oggi e ci aiuta a dire il nostro “sì”. La parola del Signore ci cambia la vita. Noi non abbiamo visto direttamente Gesù, ma “beati noi che, pur senza averlo visto, crediamo” illuminati dalla parola del vangelo. In questo modo egli salva anche noi.

Sarà importante la parola ascoltata in chiesa, ma abbiamo bisogno anche di una lettura personale, di ogni giorno (in questo ci aiuta anche “Cappella virtuale” come itinerario quotidiano di meditazione e di preghiera), o di un confronto in luoghi informali, magari con amici o vicini di casa con cui riusciamo a condividere qualche momento di ascolto e revisione di vita, uno scambio di esperienze.

In secondo luogo, Gesù ci conduce alla vittoria su Satana. Con la sua parola ci libera dai falsi idoli (denaro e potere), ma anche dalle illusioni e dalle facili soluzioni (cambiare le pietre in pane, fare miracoli clamorosi). La vita diventa impegno per distinguere il bene dal male e scegliere il bene. Ce lo ricorda la prima delle unzioni battesimali. La presenza di Cristo, accolto nella fede, ci garantisce il superamento dell’antico tentatore. È in lui e con lui che la nostra “battaglia” può avere esito positivo. Allora la crescita in età sarà accompagnata da una crescita in grazia, fino a raggiungere quella apertura all’amore di Dio che ci fa superare ogni egoismo.

Infine. Gesù ci affida allo Spirito che lo ha condotto nel deserto. Egli ci impedisce di cadere, ma soprattutto ci rende sempre più ‘figli”di Dio, che è il dono della Pasqua, del battesimo. Ci condurrà fuori” dell’ovile, guidandoci nella missione verso i fratelli; ci porterà anche `dentro”; a cercare interiorità, intensità e qualità nella vita cristiana. Allora potremo celebrare con gioia la notte di Pasqua, portare a tutti, con una fede consapevole e più adulta, l’annuncio della risurrezione e cantare alleluia, “lodate il Signore” che ci ha salvati.

Penitenza. In quaresima questo è un tema costante. Si può obiettare che è negativo, rinunciatario più che propositivo. La vita non può insistere solo sui “no”. È vero: i “no” hanno valore se prima ci sono i “sì”; le scelte positive. Penitenza è metanoia, cioè cambiamento e orientamento di mentalità, atteggiamenti che conducono a scelte e progetti di vita.

In questo senso la quaresima ci conduce anzitutto a riesaminare i valori a cui attingiamo e che determinano il nostro orientamento quotidiano. È questo il positivo della penitenza. Si tratta di riscoprire la serietà delle scelte battesimali, di confrontare e illuminare il nostro pensare e il nostro agire umano con i valori proposti dal vangelo. Significa gettare luce di fede sui fatti della vita, della persona, della comunità cristiana, del creato, del prossimo. È importante mettere in risalto ciò che, nel pensiero di Dio, vale.

Far penitenza significa anche portare buoni frutti. Guardare al futuro pasquale significa trovare la forza e il gusto di crescere nella persona, ma anche di far crescere e costruire tutto il corpo di Cristo. Oggi più che mai diventano importanti le virtù che uniscono e fanno incontrare, come il dialogo, l’ascolto, l’ospitalità. In altre parole quel “frutto dello Spirito” che Paolo chiama amore, gioia, pace (Gal 5,22), quella carità che è paziente, benigna e mite, non è invidiosa, non cerca il proprio interesse, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità (cf 1 Cor 13).