Il vescovo Douglas ai funerali di don Carlo Molari: “Oggi don Carlo ha raggiunto il suo compimento”

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“La sua vita sacerdotale – ha aggiunto il presule – si è concentrata tutta sull’insegnamento della teologia, sulla riflessione e sulla ricerca teologica, arricchita da una vasta esperienza di guida negli innumerevoli corsi di esercizi spirituali e conferenze”

Anche nel caso di don Carlo ho avuto il dono di visitarlo poche ore prima della sua morte. Con la preghiera l’ho affidato alla misericordia di Dio. Se n’è andato a pochi mesi dalla celebrazione del suo 70° di sacerdozio. Cordiale e sempre attento al suo vescovo; quando andavo a Roma ci sentivamo per telefono, sempre; tutte le volte che rientrava a Cesena veniva a salutarmi. La sua vita sacerdotale si è concentrata tutta sull’insegnamento della teologia, sulla riflessione e sulla ricerca teologica, arricchita da una vasta esperienza di guida negli innumerevoli corsi di esercizi spirituali e conferenze. Ha sviluppato con efficacia il suo talento come teologo, ricercatore e comunicatore della fede per il bene dei suoi alunni e di tanti fratelli e sorelle che partecipavano con frutto alle sue conferenze. Per questo oggi ringraziamo il Signore.

I funerali dei nostri confratelli e amici ci obbligano sempre a una riflessione sulla morte, come ci ha sollecitati il primo brano biblico (Cfr Sap 3, 1-9). Riflettere sulla morte è un bene: perché, come si sa, oggi la morte è un tema rimosso, non se ne vuol parlare, si deve fare presto a seppellire i nostri morti per non sconvolgere la vita ordinaria della nostra società: un morto in casa o per le strade – si pensa – scombussola, rischia di creare traumi, destabilizza l’ordine e l’ordinario della nostra vita. Non solo: quand’anche la si considerasse essa, la morte, – afferma il testo della Sapienza che abbiamo ascoltato –  è considerata una rovina, una sciagura, una disgrazia, ciò che di peggio ti possa capitare: anche se sei un giusto! Per gli stolti la fine dei giusti è una sciagura: “la loro partenza da noi una rovina” (Sap, 3,3).

Una meditazione sulla morte

Quella di oggi, è ancora una volta un’occasione per una meditazione sulla morte: in questo è lo stesso don Carlo che ci guida. Attingo a una sua pubblicazione di qualche anno fa nella quale ha scritto: “La morte ci chiederà quale nome abbiamo acquisito o quale identità abbiamo raggiunto. La domanda centrale della nostra vita storica perciò è: chi stiamo diventando? Noi invece abitualmente ci poniamo altre domande: che cosa stiamo facendo di importante, quanti soldi guadagniamo, che carriera percorriamo, che stima hanno gli altri di noi, quale successo otteniamo con le nostre imprese? (…) La morte non ci chiederà che cosa abbiamo fatto. Quello che realizziamo è certamente sempre precario e provvisorio. (…) Chi siamo diventati invece potrà rimanere. È questa l’unica realtà. (…) Se riusciamo a scoprire ciò che vale per il nostro divenire e quindi a determinare chi stiamo diventando, cioè quale dono di vita fiorisce nella situazione presente, tutto potrebbe essere vissuto in modo consapevole e pieno. (…) Dio, fonte della vita, è quello per cui ora possiamo vivere pienamente” (La vocazione cristiana oggi, CE, marzo 2014, pp. 59-60).

Orientati alla Vita

La morte ci orienta alla Vita: la morte, altro che sciagura! È un passaggio che conduce alla Vita. E la Vita è una Persona: Cristo Signore. La pagina evangelica che abbiamo scelto sottolinea proprio questa verità: “Perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14, 3). C’è un telos, un fine verso cui tutti siamo orientati; è il compimento, è la pienezza, nella quale Cristo è entrato con la sua risurrezione e ascensione; pienezza e compimento riservato anche a noi se, uniti a Lui, se aggrappati a lui: “Perché dove sono io siate anche voi”. Gesù ha detto ai suoi prima di lasciarli: non siate turbati: quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me (Cfr Gv 14, 1-3). Ha scritto un monaco contemporaneo: “Questo suo andarsene in realtà è un ritorno. Lui, andandosene, ci ama fino all’estremo, ci dà il suo Spirito, il suo amore. E, mediante questo amore, lui è ormai sempre presente in noi. Quindi il suo andarsene è il suo venirci incontro totalmente. Proprio andandosene, proprio dando la vita per noi, Gesù ci viene totalmente incontro con il suo amore e ci dice: ‘Guarda, io sono qui per te’. Quando parla del suo ritorno, Giovanni non intende il suo ritorno alla fine dei tempi, ci sarà anche quello, ma è quel ritorno che Gesù fa, proprio dando la vita per noi, morendo ritorna. Dando la vita per me e amandomi fa sì che possa amarlo anch’io, con lo stesso amore. Ciò fa stare di casa insieme. Uno abita dove ama” (F. Mosconi, Non sia turbato il vostro cuore, Il Margine, Trento 2008, p. 181).

Ora don Carlo abita dove ama e dove ha amato per tutta la sua lunga vita sacerdotale. Abita in Dio: in quel Dio che tanto ha cercato di conoscere e di amare, in un appassionato e costante dialogo con la storia, consapevole che la Verità in azione nella nostra mente è più profonda delle nostre idee; ogni volta che amiamo, ci rendiamo conto che il Bene che ci attira supera quello che noi possiamo offrire. Fare teologia – un giorno disse – non è un mestiere o un semplice servizio reso agli altri, ma è un modo concreto di vivere la fede ecclesiale, è uno stile di vita, e per me, oggi, è componente di identità personale, ragione di tutta la mia storia. E la ragione della sua vita oggi ha raggiunto il suo compimento.