La prima lettera di Pietro sembra essere un testo nato «dalla comunità di Roma che, avendo Pietro come punto di riferimento, è convinta di esprimere il suo pensiero. Se dunque non l’ha scritta Pietro, è però espressione di una comunità che è cresciuta nella sua memoria». La comunità ha dietro le spalle la testimonianza di Pietro e si trova, in un tempo di particolare persecuzione, rafforzata nella fede e quindi disposta a dare a tutti ragione della propria speranza (cf. 1Pt 3,15). La persecuzione non ha spento la fede, ma ha rafforzato i motivi e la motivazione per dare ragione della speranza.
La trama della lettera inizia con un riconoscimento dell’identità unica dei “fedeli”. La parola “fedeli”, in realtà, appiattisce il senso della parola greca – ekletoi – che significa eletti o chiamati. «Dunque non si tratta semplicemente di fedeli intesi come li intendiamo noi oggi, ma piuttosto di una porzione scelta di umanità». Questa sfumatura non è da poco, ma implica una particolare dignità dei destinatari della lettera, una dignità che li inserisce nell’ottica di una chiamata e, quindi, di una iniziativa di Dio. L’autore della Lettera inizia il suo testo con un invito ad essere: «Siate ciò che siete!».
Alla luce di questa coscienza si coglie il filo conduttore dell’invito alla speranza nonostante le croci, tema che è ben espresso da Gargano nel sottotitolo del suo libro: La ricerca di un senso nella sofferenza umana.
La domanda sul senso della sofferenza non si pone come un quesito soltanto umano, ma alla luce del rapporto iniziato con l’elezione.
C’è un senso alla sofferenza?
Gesù aveva pensato di utilizzare l’analogia del parto, l’autore della prima lettera di Pietro vi aggiunge il riferimento all’oro purificato nel crogiuolo. «Per capire meglio questa seconda metafora, può servire ricordare che gli antichi non avevano gli specchi come li abbiamo noi. Per loro lo specchio era un metallo lucido; una placca d’argento, per esempio, levigata bene che, proprio per questo, rifletteva l’immagine» (27).
Nella lettera di Pietro siamo chiamati a rispecchiarci in colui che è diventato il nostro syngenes, il nostro consanguineo, colui che è divenuto il modello da seguire per non farci derubare del tesoro della nostra pienezza: «Come il santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta» (1Pt 1,15).
Questa prossimità è personale e comunitaria allo stesso tempo: «Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale» (1Pt 2,4-5).
Dio – spiega Gargano – sta costruendo nel suo piano salvifico un edificio spirituale. In questo edificio, c’è una pietra, che è la pietra fondante vera chiave di volta, ma anche pietra d’angolo, pietra comunque su cui tutto il resto dell’edificio trova la sua consistenza, perché è l’unica veramente solida. Ma si tratta soprattutto di una pietra vivente, che possiede una capacità dinamica, identificata ovviamente con la persona stessa di Gesù.