l cardinale Piacenza apre i lavori del secondo seminario di formazione sulla confessione. L’incontro con l’amore di Dio rinnova la vita

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Se l’amore umano è capace di far cambiare, tanto più «può far cambiare l’Amore divino, l’incontro personale e storico con il mistero di Gesù di Nazareth, vivo perché risorto». Lo ha sottolineato il cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore, nella lectio magistralis in apertura del secondo seminario di formazione sul tema «Celebrare il sacramento della confessione oggi», promosso dalla Penitenzieria apostolica. La prima parte della due giorni si è svolta ieri pomeriggio, 26 ottobre, nel palazzo romano della Cancelleria.

Il porporato ha messo in rilevo anzitutto che la conversione è «conseguenza del sorprendente incontro con il mistero dell’amore di Dio, che ha scelto sovranamente di entrare nella storia e di farsi uomo, di offrire la sua vita per la nostra salvezza, amandoci fino alla morte e alla morte di Croce, e di rinnovare l’umanità intera ed il cosmo attraverso la potenza della Risurrezione». In questo senso, l’incontro con «un amore così pieno, totalizzante e gratuito è l’unica fonte di un’autentica conversione». Si tratta, ha aggiunto, di un incontro capace di determinare in chi lo vive «un cambiamento del modo di pensare» e, come conseguenza, «un cambiamento del modo di agire».

Quando si utilizza il termine “conversione”, ha evidenziato il penitenziere maggiore, «molte sono le sfumature possibili». Nel suo significato più comune, la conversione è intesa sempre come cambiamento radicale, «non di rado visibile dall’esterno; è il passaggio da uno stile di vita “cattivo” ad uno “buono”». Questa prima accezione ha in sé, allo stesso tempo, «fragilità e forza». La forza sta «nella visibilità dell’autentica conversione»: non si può infatti parlare di conversione se essa «non è visibile, riscontrabile nel modo di vivere, di parlare, di relazionarsi con il prossimo». La fragilità, invece, è «nella tendenziale incapacità, dovuta a superficialità o pigrizia, di andare al fondo delle ragioni di ogni vera conversione, di ogni cambiamento»: senza la comprensione delle «ragioni del cambiamento, si rimane in superficie, stupiti ma non coinvolti».

La conversione, dunque, richiede «un cambiamento del giudizio»; ma allora occorre domandarsi che cosa «possa realmente determinare un cambiamento del giudizio, un cambiamento nel modo di pensare degli uomini». La risposta che si può dare, sia sul piano antropologico-naturale, sia su un piano cristiano-soprannaturale, è che «un reale cambiamento può accadere soltanto per un incontro». Il miracolo del cambiamento «accade solo per il “miracolo” di un amore incontrato, vissuto e corrisposto».

Tale incontro con il mistero è, innanzitutto, «un dono gratuito della Grazia». Come ogni incontro, «non è pre-determinabile, i suoi confini non sono definibili dall’uomo; tuttavia esso accade nello spazio e nel tempo, dentro la concreta esistenza di ciascuno, con quei tratti che, nella propria esistenza, ognuno potrebbe narrare e ricordare». In questo senso la grande Tradizione della Chiesa ha sempre parlato «di una “grazia preveniente”, cioè di un particolare dono di Dio — della Grazia appunto — che precede la conversione e la realizza, senza, tuttavia, mai sminuire la libertà dell’uomo».

È come se il mistero «ci attirasse continuamente a sé con vincoli d’amore, ma sempre nel pieno rispetto della libertà umana e della necessaria gratuità dell’amore». In questa fase della storia della salvezza, «segnata dalla presenza dello Spirito Santo inviato dal Padre per mezzo del Figlio nella Pentecoste», la gratuità dell’incontro con il mistero che «porta a conversione è opera dello stesso Spirito Santo, primo artefice del rinnovamento dei cuori, della Chiesa e, in essa, del mondo». Si può così affermare che la prima opera, «la prima missione affidata alla Chiesa è proprio l’invito alla conversione». La conversione, poi, è opera della libertà, in quanto tutta la forza del Mistero «attrae il cuore ma, ultimamente, non la determina»: la libertà dell’uomo, infatti, è «“chiamata” ad acconsentire alla Verità e all’Amore incontrati ed al bene che da loro deriva». Il penitenziere maggiore si è quindi soffermato a riflettere su due tipi differenti e tendenzialmente successivi di conversione: «la conversione come iniziale, necessario e radicale passaggio dal peccato alla Grazia, e la conversione come cammino progressivo di perfezionamento nella Grazia». Entrambe sono opera della Grazia. E per entrambe è necessario il concorso della libertà. In questo senso, il sacramento della riconciliazione è un vero e proprio “laboratorio di conversione”, che deve essere percepito da tutti i cristiani, perché in «tutti, sempre e ancora, possa accadere il miracolo della conversione».

Gli ha fatto eco stamane il reggente della Penitenzieria, monsignor Krzysztof Nykiel, il quale nella sua relazione ha sottolineato che avvertire il “dovere” di confessarsi non sempre «rappresenta l’inizio o un ricominciamento del cammino di fede». Tuttavia, occorre «camminare all’unisono con lo Spirito e saper intercettare i segnali che qualcosa in un cuore sta per muoversi». Il confessionale diventa così uno «spazio di incontro con l’amore misericordioso di Dio che tutto sa e tutto può». Uno spazio in cui «l’esperienza dell’incontro con Dio, per la mediazione della Chiesa, viene percepita come vera e coinvolgente», al punto tale che «è veramente possibile l’inizio di una metamorfosi del cuore». Bisogna ripartire continuamente «dall’incontro, dalla relazione personale con gli uomini del nostro tempo». E il confessionale rappresenta «il punto di congiunzione di più realtà — Dio, sacerdote, penitente — che operano in sinergia e permettono l’esperienza del perdono, della riconciliazione e del graduale cammino di re-inserimento nella comunità cristiana».

Il confessionale, così, diventa «l’ambiente favorevole in cui ogni sacerdote, assolvendo il penitente dal peccato commesso», diventa «comunicatore privilegiato della divina Misericordia che penetra nell’intimo di ogni coscienza fino al punto da provocarne la conversione del cuore e la gioia della salvezza ritrovata». Per questo motivo costituisce «una delle priorità pastorali, specialmente per i presbiteri in cura di anime, quella di trascorrere sempre più tempo nel confessionale».