Il metodo di discernimento «vedere, giudicare, agire» fu elaborato nella JOC (Jeunesse Ouvrière Chrétienne, Gioventù Operaia Cristiana) in Belgio e promosso dal cardinale Joseph Cardijn, negli anni venti del secolo scorso. Negli anni quaranta fu chiamato «Revisione di Vita», e definito da Yves Congar la prima spiritualità «nata dai laici, fuori dai monasteri e dagli ambienti ecclesiastici», segno di speranza per la ricostruzione di una umanità cristiana nella partecipazione attiva di tutti.
Giovanni XXIII suggerì la sua pratica nella Mater et Magistra, e Paolo VI arrivò a definire il Concilio Vaticano II come «la Revisione di Vita di tutta la Chiesa».
La Chiesa latinoamericana applicò la Revisione di Vita come metodo per discernere il suo cammino, nelle conferenze episcopali di Medellín (1968) e di Puebla (1979), accantonandola in quella di Santo Domingo (1992) per la deriva ideologica di molti gruppi e movimenti ecclesiali e politici che l’avevano adottata.
Ma lo Spirito Santo soffia dove vuole e proprio questo metodo fu profeticamente completato a Santo Domingo. Nel documento conclusivo al paragrafo 1.3.6 «Gli adolescenti e i giovani», nella conclusione 119 si legge: «promuovere il protagonismo [dei giovani] attraverso la metodologia del vedere, giudicare, agire, verificare e celebrare».
La Conferenza di Aparecida (2007) recuperò il metodo e lo valorizzò nel documento finale coordinato dal cardinale Jorge Bergoglio. Egli da Papa lo ha riproposto a tutta la Chiesa per un discernimento evangelico (cfr. Evangelii gaudium 50-51) per «una Chiesa in uscita». Nella Laudato sii lo ha utilizzato dando molta importanza al «celebrare».
«Vedere, giudicare e agire» potrebbero essere usati anche da una multinazionale, da un partito. Il discernimento cristiano si differenzia grazie ai momenti profetici, quando interviene lo Spirito Santo. Per questo è molto importante la celebrazione: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. … La comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeggiare”. … La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi» (Evangelii gaudium 24).
Questo tempo di grande disagio nella pandemia per la celebrazione dei sacramenti, si deve trasformare in opportunità per discernere meglio la profonda unione fra fede e vita in diretto contatto con il mistero pasquale da parte di tutta la comunità.
Il Concilio Vaticano II favorisce la actuosa participatio, la partecipazione attiva e fruttuosa del popolo di Dio. In Sacrosantum concilium 7 si chiarisce che Cristo è sempre presente «alla sua Chiesa, specialmente nelle azioni liturgiche» (Christus Ecclesiae suae semper adest, praesertim in actionibus liturgicis): espressione latina che mette bene in evidenza la reciprocità di relazione, rispetto alla traduzione italiana «è presente nella sua Chiesa», che potrebbe significare semplicemente che Egli è rappresentato da qualcuno. Invece è presente mediante una relazione straordinaria con tutta la sua Chiesa, definita sua sposa (Christus Ecclesiam, sponsam suam dilectissimam, sibi semper consociat).
Il tempo per eccellenza della celebrazione liturgica è la Pasqua, nella quale la comunità festeggia insieme le «grandi opere di Dio» e ringrazia. I doni ricevuti gratuitamente dal Signore ci fanno gioire e ci danno forza e luce per fare della nostra vita un impegno per gli altri, specialmente per i poveri e gli scartati (cfr. Laudato sii 237). Anche la sinodalità (σύν – con; e ὁδός – via, «camminare insieme») è senza dubbio una di quelle «magnalia Dei», grandi opere di Dio pasquali, che Egli già ci ha donato ma che ancora aspetta di vedere realizzata.
Se sapremo celebrare insieme come popolo di Dio, diventeremo Chiesa sinodale.
La sinodalità non è una costruzione umana. Bisogna fare spazio allo Spirito Santo per sciogliere la durezza dei cuori. Altrimenti, come è successo al metodo di Revisione di Vita, usato impropriamente in maniera ideologica, per creare una sinodalità apparente si potrebbe ricorrere a soluzioni sociologiche e politiche. Non si tratta di passare dalla monarchia alla democrazia, confondendo la Chiesa con lo Stato Vaticano.
Si tratta di rimettere al centro della vita comunitaria Gesù Cristo e di vivere una nuova Pentecoste. Il paradigma rimane il Concilio Vaticano II: una volta iniziato, nel momento della condivisione reale, proprio sull’argomento della «celebrazione liturgica», non fu più possibile imbrigliare lo Spirito Santo e tenerlo sotto il controllo di pochi, e così la novità poté entrare nel mondo.
In questo periodo pasquale la Chiesa rilegge il libro degli Atti degli Apostoli, dove si percepisce con chiarezza l’azione libera dello Spirito Santo nella evangelizzazione e nel creare e formare le comunità della Chiesa nascente. È questo il momento liturgico e il tempo favorevole di riprendere fortemente il discorso sinodale. Sarà molto più facile, più bello e gioioso realizzare questo cammino ecclesiale. Mai come in questo aspetto possiamo scoprire il valore dell’antico principio «lex orandi, lex credendi», aggiungendo anche «lex vivendi».
Nell’ottobre del 2022 si terrà a Roma un sinodo sulla «sinodalità». La profezia sinodale dalla Chiesa cattolica come rugiada potrebbe dissetare tutto il mondo cristiano, e insegnarci a vivere davvero nella partecipazione. Un salto antropologico mai pienamente realizzato fino adesso, anche se chiaramente ispirato da Gesù.
* Don Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo insegnano insieme teologia in Italia e in Africa, ad Addis Abeba. Sono autori di libri e articoli di teologia.