«La Messa è sbiadita». Così nel tempo è calata la frequenza dei fedeli

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Una ricerca del sociologo Luca Diotallevi indaga sulla presenza dei fedeli all’Eucaristia. Un calo iniziato ben prima del Covid

Anzitutto, bisogna sgombrare la mente da un pregiudizio infondato: «Dopo il Covid alla Messa non c’è più nessuno». Perché, secondo i dati a oggi disponibili, «quello che sembrerebbe un grido di allarme si rivela un alibi, una scusa. Se prendiamo i valori relativi alla partecipazione ai riti religiosi prodotti dalla grande rilevazione annuale dell’Istat per gli anni dal 2015 al 2021, possiamo constatare – forse con qualche sorpresa – che il declino già in atto negli anni precedenti è proseguito nel 2020 e nel 2021, facendo registrare scostamenti minimi». Dunque, «per quanto riguarda il fenomeno in questione, ancora non è stato rilevato alcun cambiamento significativo». Lo chiarisce, con la sua competenza di sociologo e docente presso l’Università di Roma Tre, Luca Diotallevi. Nel volume dal titolo evocativo, «La Messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019», edito da Rubbettino, lo studioso sottolinea che «nel 2019 la platea dei churchgoers italiani non solo è molto più piccola di quanto non fosse del 1993, ma rispetto ad allora è anche profondamente cambiata nella sua composizione e nelle dinamiche che la riguardano o di cui è protagonista». I dati parlano chiaro: «La quota di individui con 18 anni d’età o più che dichiarano di aver partecipato almeno una volta alla settimana a un rito religioso del tipo qui studiato – il che corrisponde al precetto caratteristico della maggior parte delle organizzazioni religiose quantitativamente più consistenti attive in Italia sul versante della offerta religiosa – passa dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019».

Soprattutto dal 2005 in poi «chi abbandona la pratica “regolare” approda piuttosto rapidamente alla condizione di “non praticante” dopo essere transitato più o meno velocemente per lo stadio intermedio della pratica saltuaria». Ma le amare sorprese non sono finite: nel periodo considerato «l’abbandono di una pratica “regolare” interessa le donne assai più che gli uomini». Infatti, se nel 2019 «le donne maggiorenni che dichiarano una pratica almeno settimanale sono ancora più degli uomini: il 28,7% delle prime contro il 18,3% dei secondi», tuttavia «nel caso delle donne si è perso quasi il 40% del valore registrato nel 1993 e nel caso degli uomini poco più del 30%». Ma il drastico calo delle “quote rose” «cambia il ruolo, la forza e la forma della presenza della religione di chiesa nella società italiana, minandone quello che ne era tradizionalmente uno dei pilastri» nella trasmissione della fede alle nuove generazioni.